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Una danza mediterranea per il dialogo

di Leonardo Delfanti

Sabato scorso si è conclusa la quarantaduesima edizione di Oriente Occidente Dance Festival, festival storico della città trentina di Rovereto, nota anche per la sua Campana della pace. Sfruttando il linguaggio universale della danza, come strumento privilegiato per la creazione di ponti tra culture e luoghi solo apparentemente distanti, la manifestazione ha tessuto la sua riflessione sul tema dei diversi Mediterranei che attraversano quel bacino allargato che un tempo chiamavamo “Mare Nostrum”. Forte di una riflessione incentrata sul dialogo e sull’educazione alla bellezza come esercizio attivo di cittadinanza, Oriente Occidente è riuscito negli anni a consolidarsi per l’alto valore artistico e divulgativo, come dimostrano le oltre novemila partecipazioni registrate quest’anno a cui vanno aggiunge quelle gratuite, impossibili da numerare.

Fedele alla visione della cultura come diritto universale imprescindibile, il direttore, Lanfranco Cis, si è lasciato ispirare nell’ideazione di questa edizione dal Nobel per la letteratura Gabriel García Márquez: “Un’immagine che mi accompagna da molti anni nella creazione del festival potrebbe essere quella presente in Cent’anni di solitudine, dove, a un certo punto, gli abitanti di Macondo sentono dei pifferi in lontananza: sono gli zingari che annunciano il loro arrivo in città. Gente bella, nuova, che parla un’altra lingua e che, mescolandosi nelle strade, crea un momento di grande festa condivisa”.

È infatti il rito politico del teatro dal vivo ciò che la direzione del festival ha voluto ricreare a Rovereto, dopo due anni di difficoltà che hanno aiutato a riformarne la missione: sostenibilità e accessibilità sono il focus del bilancio sociale 2021, che vede Oriente Occidente anche partner di Europe Beyond Access, rete internazionale dedicata a rendere lo spettacolo il più fruibile possibile, per tutti. Allo stesso tempo, il festival è entrato a far parte dell’European Dancehouse Network, la prestigiosa rete europea che lega 47 centri di produzione e ricerca coreutica, tra cui il Salder’s Wells di Londra e la Maison de la Danse di Lione, al fine di incoraggiare una cultura della partecipazione artistica a tutti i livelli della società. Un’opera di decolonizzazione tanto del pensiero quanto dei processi produttivi, dunque, che a partire dal Mediterraneo intreccia le sponde del Pacifico, dell’Atlantico e del Mar Nero sia in termini geopolitici e narrativi: “Ci interessava, insomma, affrontare un territorio che affacciandosi sul mare, incrociasse i tre filoni del mito, delle voci e delle rotte che creano la moltitudine dei popoli del mare”, dice ancora Cis.

Se, difatti, Oriente Occidente si configura come strumento di connessione tra identità eterogenee, non va dimenticato il ruolo attivo che la divulgazione ha nel fornire strumenti critici a quanti vogliano approfondire i grandi temi della geopolitica. È così che anche quest’anno una serie di conferenze in collaborazione con la rivista Limes ha trovato nel Mart il luogo ideale ove riflettere insieme sul tema de I Mediterranei plurali e identici, luogo di intersezione tra molteplici universi solo apparentemente distaccati. È in quest’ottica che, oltre ai grandi esponenti della coreografia europea, quali Roberto Zappalà e Mourad Merzouki, trovano spazio anche le riflessioni della brasiliana Lia Rodrigues e della compagnia T.H.E Dance Company di Singapore. Allo stesso tempo, grande visibilità è stata data a un’altra forma d’arte capace di scavalcare i limiti del tempo e dello spazio: la musica, infatti, è tornata protagonista grazie anche al concerto dell’armeno Gevorg Dabaghyan. Il più virtuoso maestro di duduk, strumento musicale divenuto patrimonio UNESCO nel 2008, è stato chiamato a celebrare l’entrata della bandiera armena tra le 102 nazioni e organizzazioni che hanno formalmente aderito al Memorandum di Pace della Fondazione Opera Campana di Pace di Rovereto. Per l’occasione, il nostro direttore editoriale, Emanuele Giordana, ha presieduto un incontro sul Nagorno Karabakh nelle sale della Fondazione che ospiteranno fino al prossimo 4 ottobre la mostra Le guerre degli altri del fotoreporter Roberto Travan inaugurata tre settimane fa in un incontro tra l’autore e la nostra Alice Pistolesi.

In copertina e nel testo due momenti del festival. Sotto, il direttore Lanfranco Cis

 

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