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Contro il nucleare: “Non è una questione di schieramento”

di Leonardo Delfanti

(Pyeongchang-Corea del Sud ) – Quando incontriamo Ruth Mitchell, prima australiana a ottenere il Nobel per la Pace, siamo a Pyeongchang, per il Nobel Peace Summit. Con il motto “Stronger Togheter” quest’anno la conferenza ha voluto porre l’attenzione sul valore della comunità come fondamento della pace sociale, il dialogo e la fratellanza tra i popoli. La dottoressa Mitchell è neurochirurgo, presidentessa dell’organizzazione vincitrice del Nobel per la Pace nel 1985 International Physicians for the Prevention of Nuclear War (IPPNW) e membro del consiglio International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN), Premio Nobel per la Pace nel 2017 “per il suo lavoro volto ad attirare l’attenzione sulle catastrofiche conseguenze umanitarie di qualsiasi uso di armi nucleari e per i suoi sforzi innovativi per raggiungere una proibizione basata sul trattato di tali armi”.

Oggigiorno, a causa della minaccia nucleare sorta dal conflitto tra Ucraina e Russia, potrebbe sembrare più facile chiedere il bando delle armi atomiche. Tuttavia, questo non è il caso. Può spiegarci perché?

Viviamo in un mondo dove 13.000 testate atomiche minacciano di distruggere l’umanità. Mai come ora il rischio di un conflitto nucleare è stato così alto. A differenza dei leader mondiali che cercano la sicurezza nel possesso dalle armi di distruzione di massa, la maggior parte delle persone crede che dovremmo abbandonare le armi atomiche.  Parlo come medico quando evidenzio il costo umano che queste armi generano; rammento a tutti le storie degli indigeni che hanno vissuto i test nucleari e dei sopravvissuti a Hiroshima e Nagasaki.

Uno degli approcci utilizzati oggi per spiegare il problema dell’atomica è anche la questione di genere. Potrebbe spiegarci perché?

Esiste una prospettiva femminista che spiega gli interessi legati al tema del nucleare: gli arsenali atomici drenano energie in cambio di una promessa di sicurezza. Ma chi ne trae vantaggio? L’industria militare e certe persone al potere, molte delle quali sono uomini. Tutto ciò non rende sicuri i singoli esseri umani che dormono a casa nei loro letti. Non dà vita alle comunità.  Una delle critiche a queste orribili e vili armi di distruzione di massa è che rubano risorse: se guardiamo ai miliardi di dollari che ogni anno vengono spesi per mantenere i programmi nucleari, possiamo dire che si tratta di un furto ai danni di progetti capaci di rendere le persone davvero sicure. Parlo di acqua potabile, istruzione, vaccinazione e accesso all’assistenza sanitaria. Queste cose costano denaro. E quando spendiamo soldi per armarci, li stiamo sprecando.

Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di un problema di sicurezza comune, creatosi in seguito alla natura trasversale delle numerose crisi che stiamo attraversando.

Non credo che investire nelle armi nucleari aumenti le chance di assicurare un futuro migliore ai nostri figli. L’idea secondo cui “io sono al sicuro, se tu sei al sicuro” non vale per l’atomica. La realtà è che tutti noi dovremmo liberarcene per creare un mondo dove la minaccia dell’estinzione non incomba incondizionatamente su tutti noi.  Tali strumenti servono interessi diversi da quelli dell’umanità. O ci sbarazziamo delle armi nucleari, o loro si sbarazzeranno di noi.

Quale sarebbe il primo passo che ogni individuo o comunità potrebbe compiere per iniziare a prevenire e bloccare l’uso di armi atomiche?

Il primo passo è apprendere di più sui loro effetti e scoprire se il nostro Paese ha effettivamente firmato e/o ratificato il trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPNW). Se ciò non è accaduto, allora abbiamo il diritto e la responsabilità di chiedere azioni concrete. Io vivo in Australia e voglio che il mio governo prenda posizione contro le armi nucleari. Dobbiamo ricordarci che qualsiasi movimento nasce dal passaparola e si nutre di relazioni umane, connessioni e vita. L’opposto delle armi nucleari.

Quest’anno il Nobel Peace Summit si tiene nella Penisola Coreana, il cui ininterrotto conflitto è frutto anche di un uso coercitivo della minaccia atomica. Quale sarebbe la sua proposta per una soluzione?

Il caso della Penisola coreana mostra i pericoli di un mondo in cui le persone credono di ottenere prestigio dal possesso delle armi nucleari. Il dilemma mostra l’urgenza di stigmatizzare la minaccia della guerra nucleare come strumento di coercizione. Tutto ciò è oggi illegale per il diritto internazionale.  Alcune persone proveranno a dire che il leader nordcoreano non è una persona a cui affidare le armi atomiche. Concordo, ma voglio fare un passo in più: nessuno dovrebbe essere in possesso di armi nucleari. Non esistono mani sicure quando si parla di armi di distruzione di massa. Nessuno sul pianeta è abbastanza saggio, abbastanza sano, abbastanza equilibrato per poter mettere il dito su quel pulsante.  Come la bomba atomica deve essere tolta alla Corea del Nord, così tutti dovrebbero esserne privati.

Cosa dovrebbero fare oggi i media perché le persone facciano esattamente ciò che suggerisce?

Penso che i media abbiano un ruolo nella creazione di una discussione responsabile e vorrei invitarli a impegnarsi con la società civile per dare voce al crescente malcontento.  Una storia da raccontare potrebbe essere quella dei recenti dati pubblicati da Nature Food. Grazie a un robusto modello climatico, lo studio ha mostrato ciò che accadrebbe in vari contesti di utilizzo delle armi nucleari. Questo lavoro mostra che il 3% dell’arsenale nucleare mondiale, se usato in guerra, porterebbe un terzo del pianeta a morire di fame. Si tratta di un lavoro rivoluzionario realizzato da climatologi esperti. Dobbiamo prenderlo sul serio per riorientare la discussione.  Le armi atomiche sono una delle maggiori minacce alla salute umana: ora lo possiamo dimostrare. Diffondiamo questi dati e lasciamo che si formi un’opinione pubblica al riguardo.

Come possiamo convincere quanti credono nel deterrente nucleare come strumento per controllare la violenza armata?

Questa è una domanda molto importante. La gente dovrebbe sapere che la maggior parte delle persone che hanno lavorato per l’abolizione del nucleare sono le stesse che hanno un passato nella messa al bando delle armi leggere e di piccolo calibro. Parte del modello che abbiamo utilizzato per lavorare sul trattato per l’abolizione delle armi nucleari si ispira al trattato di Ottawa, che vieta l’uso delle mine antiuomo.  Avere uno strumento legale di riferimento aiuta a focalizzare la mente, a stigmatizzare e delegittimare un certo tipo di violenza. Quando penso all’impatto che le armi leggere hanno sul corpo umano mi unisco alle richieste dei miei colleghi per una politica più ragionevole e umana. È necessario capire che queste iniziative non hanno un colore politico: si tratta di benessere umano. Vogliamo che le persone siano semplicemente in grado di vivere e senza doversi confrontare con una minaccia di morte e distruzione. Nei decenni passati molte persone hanno lottato per un mondo libero dalla minaccia atomica, penso alle voci degli hibakusha, i sopravvissuti all’uso delle armi nucleari. Ricordo che quando è stato negoziato il trattato per la proibizione delle armi nucleari nel 2017, Setsuko Thurlow, una sopravvissuta di Hiroshima, ha detto: “Ho aspettato questo giorno per settant’anni. Questo è l’inizio della fine delle armi nucleari”.  In un momento in cui è molto difficile lavorare per la pace, voglio onorare lei e tutti gli hibakusha che hanno dato la vita per combattere l’atomica e per un mondo in cui non ci siano più sopravvissuti a un’esplosione atomica. Grazie alle loro storie possiamo capire le ragioni della pace, e la motivazione è molto più grande del problema.

Nel testo l’immagine di Ruth Mitchell è tratta da FB 

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