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Diritti LGBTQ+: chi fugge nella Ue non sempre è al sicuro

All’inizio di quest’anno hanno fatto notizia storie di guardie di frontiera ucraine che hanno impedito alle persone trans, in particolare alle donne trans (incluse quelle già riconosciute legalmente come tali dallo Stato ucraino) di uscire dall’Ucraina assieme ad altri rifugiati. I bombardamenti russi hanno portato all’imposizione della legge militare, per la quale gli uomini adulti sono tenuti a restare e combattere mentre solo donne, bambini ed anziani possono lasciare il paese. Questi episodi hanno messo in luce i rischi specifici per la sicurezza delle persone LGBTQ+ in situazioni di conflitto e di migrazione forzata, ed i notevoli ostacoli alla mobilità internazionale e alla protezione che molte persone LGBTQ+ devono affrontare.

Il Pride contro le discriminazioni

La prima parata del Pride si è tenuta nel giugno 1970 per celebrare l’anniversario dei moti di Stonewall, una rivolta contro la violenza della polizia nei confronti della comunità LGBTQ+. Il mese del Pride rimane dunque un momento di riflessione sulla violenza governativa contro le persone queer, sia attraverso la criminalizzazione o la persecuzione nei Paesi di origine delle persone LGBTQ+ che chiedono asilo, sia attraverso i regimi di frontiera e le barriere all’asilo poste alle persone LGBTQ+ dagli Stati che accolgono i rifugiati. I dati disponibili sono limitati, ma nel 2021 l’UNHCR ha rilevato che la maggior parte degli Stati industrializzati e diversi Stati a medio reddito riconoscono ora l’orientamento sessuale e l’identità di genere (OSIG) come motivi per ottenere lo status di rifugiato. La Convenzione sui rifugiati del 1951 definisce rifugiato qualsiasi persona che: per il fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese… (leggi tutto l’articolo su Unimondo)

In copertina foto di Sharon McCutcheon @sharonmccutcheon (Unsplash)

 

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