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Putin teme un voto di protesta

di Ambra Visentin

Tutti in Siberia. La capitale della Russia potrebbe essere trasferita oltre gli Urali. Questa la proposta del ministro della Difesa russo Sergej Shoigu, tra i candidati alle elezioni della Duma di settembre, che ha anche parlato di trasferimento possibile delle istituzioni. Una dichiarazione che ha lasciato molti perplessi e che per l’analista Alexander Kynev è una dimostrazione di “mostruosa incompetenza professionale e di come non sia necessario sapere nulla di demografia, economia o reale stato del Paese” per esserne alla guida.

Che le elezioni parlamentari del 19  settembre della Duma (450 seggi) abbiano in serbo ancora molte “stranezze” è d’altronde un dato di fatto per il politologo Gleb Pavlovsky, il quale descrive un panorama elettorale in mutamento e sottolinea come il diminuire del livello di controllo sui partiti della cosiddetta “opposizione sistemica” (ossia opposizione di facciata), in particolare sui comunisti, rappresenti un problema fondamentale per il Cremlino. “È una situazione molto nota ai regimi dittatoriali (…) ovvero quando una sfida sorge in un luogo inaspettato, dove non avrebbe dovuto esserci”, riassume il politologo, non escludendo l’ipotesi estrema di un possibile ritiro del partito comunista dalle elezioni.

Secondo Pavlosky, infatti, la censura interna non ha funzionato dal momento in cui diversi candidati sono stati messi in lista, quando invece “non avrebbero dovuto esserlo”. Esemplare in questo senso il caso di Pavel Grudinin del Partito Comunista che nel 2018 conquistò quasi il 12% dei voti alle presidenziali e la cui candidatura è stata ora annullata sulla base di una presunta partecipazione azionaria ad una società registrata in Belize.
Dal canto suo Russia Unita, il partito di governo, presenta un rating ai minimi storici e teme un voto di protesta. Non sembra essere un caso se le statistiche ufficiali del VTsIOM (Centro russo di ricerca sull’opinione pubblica) danno previsioni di scarsa partecipazione elettorale. Fa “parte della macchina di propaganda del Cremlino”, afferma il politologo Kirill Rogov, secondo il quale i dati rappresenterebbero materiale volto a demotivare la popolazione alla partecipazione e a facilitare i brogli. Tuttavia, rileva l’esperto, se la fiducia nelle elezioni in quanto pratica politica è in drastica diminuzione, l’interesse per la politica a partire dagli anni 2000 ha continuato a crescere.

L’esacerbarsi delle tensioni interne, con un governo “nervoso” privo di una vera base di consenso e forze dell’ordine in “ipertonia”, sembra uno scenario ormai inevitabile. “È una situazione molto rischiosa per il regime”, spiega Victoria Poltoratskaya, ricercatrice presso il Government Transparency Institute di Budapest. Più vengono potenziate le forze dell’ordine, al fine di soffocare i disordini nel Paese, più il rischio di una presa di potere da parte di quest’ultime a fronte di un governo sempre più impopolare si concretizza. Se in passato la campagna elettorale aveva presumibilmente rappresentato il momento di tensione maggiore per il Paese, “purghe”, censura e disordini sembrano ora destinati ad aumentare nella fase post-elettorale.

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