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Russiagate, la resa dei conti

di Tommaso Andreatta

Prime incriminazioni nell’inchiesta guidata dal procuratore speciale Robert Mueller sulle presunte interferenze russe nella campagna elettorale americana. Ad approvare le accuse è stato – secondo quanto riporta la Cnn citando fonti a conoscenza della vicenda – un gran giurì federale.

I capi di imputazione sono ancora secretati, sigillati su ordine di un giudice federale. Al momento non si conoscono le accuse.

L’equipe di Mueller ha cercato di far luce sulle attività di lobbying svolte dall’ex direttore della campagna di Trump Paul Manafort, dall’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn e altri.

Per il presidente Usa Donald Trump si parla di «ostruzione alla giustizia». L’impeachment può essere deciso solo dal Congresso. Formalmente il grand jury non può accusare il presidente, ma l’indagine tocca tutti i punti dello scandalo.

«Il presidente repubblicano – scrive Repubblica – è accusato di avere chiesto all’ex direttore dell’Fbi James Comey di insabbiare l’inchiesta sui contatti tra il suo staff e funzionari russi durante la campagna elettorale, alla ricerca di materiale compromettente contro Hillary Clinton.

Sono ormai molte le testimonianze che confermano i contatti tra i russi e, tra gli altri, Jared Kushner, genero del presidente, marito di Ivanka Trump. Kushner ha ammesso gli incontri pur difendendosi: “Nessun contatto improprio, non sono colluso”».

Il Russiagate affonda le proprie radici nel marzo 2016. Allora Trump nominò Paul Manafort manager della sua campagna elettorale contro Hillary Clinton e Carter Page suo consulente. Entrambi erano e vengono considerati molto vicini a Mosca. In agosto venne costretto alle dimissioni perché accusato di avere ricevuto finanziamenti provenienti dallo storico nemico ai tempi della guerra fredda.

All’epoca si iniziò a dire che Vladimir Putin avrebbe sostenuto Trump pur di non far vincere Clinton, sostenuta da Barack Obama. Questo perché il tandem Hillary-Barack aveva portato alle sanzioni economiche alla Russia a seguito del suo intervento nel conflitto interno all’Ucraina.

Come ricorda il sito money.it, a pochi giorni dal voto, alcuni hacker russi pubblicarono i contenuti di alcune mail dell’entourage democratico, con Trump che subito attacca la sua avversaria, accusandola di essere una donna vicina ai poteri forti.

«Hillary – sintetizzava il quotidiano Libero – ha mentito quando ha detto, una volta scoperto che aveva il server illecito, che avrebbe fatto avere al governo tutte le email “di lavoro”: ne sono infatti venute fuori, ad oggi, almeno 160 che lei aveva tenuto nascoste, dalle quali si vede che la sua intenzione era proprio quella di non far mai accedere nessuno ai contenuti dei suoi scambi. Quindi, e’ ovvio che nelle 35 mila che lei ha detto di aver cancellato in quanto di carattere “personale” ce ne saranno chissa’ quante ancora dal contenuto imbarazzante, vuoi su Bengazi, vuoi sulla Clinton Foundation, vuoi sui suoi rapporti con Obama e altri compari di famiglia, partito e governo. Hillary ha mentito quando ha detto “che nessuna email – definita o definibile “top secret” – sia mai transitata sul suo computer privato” e che “il server non è mai stato oggetto di hacker o manomissioni esterne”».

Oltre che con gli hacker russi l’ex first lady ed ex segretario di Stato dovette fare i conti anche con le rivelazioni di Wikileaks: sempre in prossimità delle elezioni vennero pubblicate alcune mail della candidata che provarono più di un imbarazzo. «In particolare, alla candidata democratica venne additata la colpa della guerra in Libia, oltre ad altre rivelazioni sulla vita anche privata sia dei suoi più stretti collaboratori sia della sua famiglia».

Ed è sempre money.it a fare il punto della situazione dopo la vittoria del miliardario newyorchese sulla moglie dell’ex presidente democratico Bill Clinton: «Donald Trump quindi vince a sorpresa le elezioni, nominando il generale dell’esercito in pensione Michael Flynn come consigliere per la sicurezza nazionale e Jeff Sessions come ministro della Giustizia».

A capo dell’Fbi venne confermato il repubblicano James Comey, che era stato nominato da Obama ma che in campagna elettorale aveva rispolverato un’inchiesta sugli affare della famiglia Clinton.

«Ad inizio anno però ecco che dalla figura di Michael Flynn nasce il Russiagate. A colloquio con il vice presidente Mike Pence, l’allora consigliere per la sicurezza nazionale omette di dichiarare di aver parlato delle sanzioni inflitte a Mosca in diversi incontri tenuti con l’ambasciatore russo Sergey Kislyak. Un particolare che costa a Flynn il posto e che danno il via all’indagine dell’Fbi e della commissione del Congresso».

Dopo il caso Flynn spuntò una relazione di un ex agente della Gran Bretagna in cui si parlava di un dossier russo su Donald Trump, che sarebbe stato utilizzato per ricattare il tycoon: «Nelle pagine in questione si parla di giochi sessuale e di affari poco limpidi intrattenuti a Mosca».

Ma la svolta sul Russiagate sarebbe arrivata nel maggio scorso quando Trump, sorprendendo anche il proprio staff, ammise via Twitter di aver condiviso con il ministro degli esteri russo Lavrov alcune informazioni riservate in materia di terrorismo.

Ad inguaiare ulteriormente l’attuale inquilino della Casa Bianca ora c’è anche il memorandum dell’ex capo dell’Fbi, James Comey, che era stato licenziato da Trump. Nel rapporto si dice che il presidente gli chiese di insabbiare il Russiagate.

«In particolare, secondo Comey ci fu una richiesta specifica di Donald Trump per far calare il silenzio sull’indagine riguardante Flynn, che sempre più appare essere il vero elemento chiave di questa vicenda».

Donald Trump rischia l’impeachment, cioè il rinvio a giudizio in quanto accusato di aver commesso illeciti nell’adempimento ed esercizio delle proprie funzioni.

Il pensiero va al presidente Richard Nixon, che però si dimise il 9 agosto 1974, prima dell’imminente impeachment per lo scandalo del Watergate. Il neopresidente Gerald Ford concesse a Nixon, colto da un malore, il perdono presidenziale, strumento previsto dalle prerogative della Casa Bianca. Nessun processo, se non quello della storia.

Finora negli Usa solo due presidenti sono finiti sotto inchiesta: Andrew Johnson nel 1868 e Bill Clinton nel 1998, quest’ultimo a seguito della nota vicenda a sfondo sessuale. Clinton dichiarò il falso dicendo di non aver mai avuto un rapporto sessuale con la stagista Monika Lewinski. Ne seguirono polemiche infinte e la dotta distinzione sul fatto che un rapporto orale non sarebbe un rapporto sessuale. Clinton, come Johnson venne assolto. Capriole che, fatte le dovute distinzioni, potrebbero ripetersi per Trump. Lui potrebbe essere il terzo presidente messo sotto impeachment.

PS Paul Manafort e Rick Gates, incriminati oggi (30 novembre 2017) nell’ambito del’l’inchiesta sul Russiagate, sono agli arresti domiciliari. Sono stati chiesti 10 milioni di dollari di cauzione per Manafort e 5 milioni per Gates.

 

 

 

 

 

 

http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2017/10/28/russiagate-primi-capi-accusa_hwONxxGHuWgWZ8SmhxMk3J.html?refresh_ce

http://www.repubblica.it/esteri/2017/08/03/news/russiagate_nuova_fase_il_procuratore_mueller_seleziona_il_grand_jury-172303760/

https://www.money.it/Russiagate-cosa-e-cosa-rischia-Donald-Trump

https://it.wikipedia.org/wiki/Impeachment_di_Bill_Clinton

foto tratta da https://www.salon.com/2016/10/29/pwned-by-putin-how-the-russian-despot-ruthlessly-trolled-our-so-called-democracy/

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