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Triangolo (balcanico) esplosivo

di Edvard Cucek

Quanto accade recentemente tra Kosovo, Montenegro e Bosnia ed Erzegovina, particolarmente nella sua parte che oggi conosciamo come Republika Srpska (una delle due entità bosniaco erzegovesi), è il tema delle analisi di osservatori che ormai da due decenni seguono attentamente le perturbazioni politiche da quelle parti. Spuntano segnalazioni argomentate e preoccupanti riguardo a una possibile e molto plausibile azione della Serbia (indubbiamente incoraggiata dalla Russia di Putin) nell’intento di creare i presupposti per le nuove spartizioni delle “zone calde”: la Republika Srpska della Bosnia ed Erzegovina, il Nord del Montenegro di maggioranza serba e l’ormai “stabile focolaio” del Nord di Kosovo, sempre a maggioranza serba.

Kosovo e Piano Ahtisaari

Nella situazione kosovara all’orizzonte non si intravede ancora una soluzione accettabile per entrambe le parti. Anzi, nella recente intervista rilasciata dal Presidente della Serbia Aleksandar Vučić questa domenica alla testata giornalistica serba “Blic” alcuni dubbi sembrano sparire. Dopo aver confermato la conclusione della compravendita del sistema missilistico russo Pancir S1 (Pantsir S1) e non aver negato l’eventuale acquisto di un altro sistema, sempre di produzione russa (più avanzato ed efficace, l’S 400) Vučić ha parlato apertamente dei possibili scenari sul territorio conteso dello Stato kosovaro. Il Presidente serbo pare convinto che “il pacchetto” della Ue che sarà proposto al popolo serbo da entrambe le parti del confine serbo kosovaro come via d’uscita dalla crisi in realtà non sarà altro che un evidente ultimatum per l’ingresso della Serbia in Europa. E’ il cosiddetto “Ahtisaarijev plan” -Piano di Ahtisaari. Senza mezzi termini Vučić sta avvertendo la comunità internazionale che inviterà il suo popolo a decidere se accettare le proposte. Nonostante l’Accordo di Bruxelles firmato il 19 aprile 2013 con il quale la Serbia, pur non riconoscendo il Kosovo come uno stato sovrano, aveva iniziato a normalizzare normalizzare le relazioni con Pristina – vincolando qualsiasi futura azione per la tutela della minoranza serba solo alla compatibilità con la Costituzione kosovara – Belgrado pensa adesso a un referendum. Impossibilitato, a suo dire, a trovare un’intesa intorno al tavolo delle trattative, Vučić ha infatti deciso di lasciare la scena a una consultazione popolare di cui l’esito sarà di certo non valido e la svolta delle trattative tra serbi e kosovari resterà ancora una grande incognita.

Ortodossi 

Salendo un po’ verso Nord, l’instabilità e le sporadiche ma forti e violente proteste nelle città montenegrine dopo l’approvazione della Legge sulla libertà religiosa dello scorso dicembre non si placcano. Come possibile soluzione per dare voce al popolo spunta l’idea anche qui di un ipotetico referendum nelle regioni di maggioranza serba. Alla popolazione serba contraria alla legge non manca il sostegno morale della vicina Serbia. Sostegno in termini di un aiuto che si concretizzerebbe in caso “la situazione dovesse sfuggire al controllo”, con un sostegno morale per non abbandonare i fratelli in questo storico momento. Visti i continui arrivi degli estremisti serbi sul suolo montenegrino per alimentare la rivolta contro la decisione del Presidente Milo Djukanović di non rivedere e di non abrogare la contesa legge approvata dal Parlamento montenegrino, la Serbia sembra pronta a qualsiasi svolta. Alla ribellione chiamano anche i vertici della Chiesa ortodossa serba – soprattutto nella vicina Serbia – mentre i vertici della stessa in Montenegro sono spesso presenti durante le manifestazioni contro Djukanović e il Governo montenegrino.

Goodbye Bosnia – Welcome RS-exit

Salendo più a Nord verso la Bosnia siamo testimoni dell’ennesimo blocco delle istituzioni statali, questa volta causato dalla sentenza emanata dalla Corte costituzionale della Bosnia ed Erzegovina con cui sono state abrogate tutte le iscrizioni delle entità sulle proprietà catastali dei terreni agricoli, in quanto esclusivamente proprietà dello Stato bosniaco. La sentenza ha fatto scattare la rabbia dell’esponente serbo bosniaco della Presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina Milorad Dodik.
Dodik, già conosciuto come negazionista del genocidio di Srebrenica e di tutte le stragi compiute dall’esercito serbo bosniaco negli anni Novanta, in questa occasione ha minacciato, per l’ennesima volta e sempre tramite referendum, di chiedere al popolo (soltanto serbo bosniaco e soltanto nell’entità di maggioranza serba) “se accetta ancora l’esistenza di un’istituzione con dentro giudici stranieri”, descritta come principale causa per il quale il Paese non potrà mai funzionare. In più Dodik ha minacciato di passare ai lavori preparatori per un referendum di indipendenza della Republika Srpska dalla Bosnia ed Erzegovina se la Corte costituzionale continuerà con sentenze, secondo lui, sempre a discapito del popolo serbo. Dodik ha aperto la seduta straordinaria di Parlamento della Republika Srpska del 17 febbraio proprio con le parole “Goodbye Bosnia- Welcome RS exit”.

La Corte costituzionale è garante della esistenza dello Stato bosniaco imposto negli Accordi di Dayton del 1995 e di conseguenza è garante dell’esistenza delle due entità bosniaco erzegovesi le quali senza lo Stato bosniaco non avrebbero nessun potere giuridico e sarebbero praticamente da ricreare da zero. Sono soluzioni che fanno pensare ai referendum degli inizi degli anni Novanta e all’odore della polvere da sparo e del sangue. Se a breve i tre Paesi dovessero trovarsi nelle circostanze in cui gli ipotetici referendum possono mutare in quello che da quelle parti si chiama “događanje naroda”- ovvero i popoli in strada a cercarsi la propria giustizia, qualche strumentalizzazione da parte dei politici in cerca di “salvaguardare” i consensi potrebbe essere più che reale. E’ proprio quello che ora si teme.

Inoltre, durante la seduta straordinaria del Parlamento popolare della Republika Srpska di ieri sono state approvate le proposte, avanzate proprio da Dodik ed alcuni esponenti del suo partito SNSD durante la seduta precedente, a sfavore della visita ufficiale del presidente montenegrino Djukanović – definito “persona non grata” – in Bosnia ed Erzegovina (prevista dal 2 al 3 marzo prossimi). La decisione è stata argomentata con una “possibile minaccia per gli interessi nazionali del popolo serbo nello Stato bosniaco”. Sarebbe un brutto precedente: dalla fine del conflitto in Croazia e poi in Bosnia non è ancora successo che ad un presidente dello Stato confinante nella regione venga negata la possibilità delle visite ufficiali.

In copertina: veduta di Belgrado

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