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Il Sudamerica al voto

di Maurizio Sacchi

Nel Sudamerica scosso da due drammi epocali – la pandemia, e la peggior crisi economica degli ultimi 100 anni – gli appuntamenti elettorali prossimi riflettono ansie e speranze di molti Paesi. Tutta l’area avverte anche il sostanziale disinteresse mostrato dal “grande fratello” statunitense, che ha spostato il focus dell’attenzione verso il Pacifico e l’Estremo Oriente. Il primo evento che esaminiamo riguarda l’Argentina.

ARGENTINA

Il Frente de Todos, che riunisce le varie anime del peronismo al potere, ha subito una netta sconfitta alle Primarie – dette Elecciones Primarias Abiertas Simultáneas Obligatorias -o PASO-, un appuntamento proprio del sistema argentino, che hanno visto la vittoria dell’erede del neoliberista Macri, sconfitto solo due anni fa da Alberto Fernandez, già ministro dell’economia nei governi di Cristina Kirchner. Il delfino di Macri,  Horacio Rodríguez Larreta ha conquistato la fondamentale provincia di Buenos Aires, che  è quasi il 40 percnto  del elettorale nazionale, e il peronismo si è affermato solo in 7 delle 24 province.

Queste primarie preparano solo il voto del 14 di novembre, ma il segnale è inequivocabile, e prelude a una netta sconfitta del governo appena due anni dopo il trionfo del peronismo, che aveva trovato un suo equilibrio fra le due anime che da sempre lo divide. Questa divisione spesso aspra è detta in Argentina “la interna”, ed è sempre stato un punto vulerabile non solo del partito che fu di Evita, ma anche di tutto il sistema politico argentino. Una sconfitta annunciata, che suona come una condanna per l’operato di Fernandez, su entrambi i fronti della crisi. 

Malgrado i 110mila morti per Covid, secondo gli analisti l’elettorato ha punito Fernandez per la gestione dell’economia. E i dati sono altrettanto scoraggianti. In Argentina l’inflazione galoppa al 53 percento annuo, con tassi mensili che oscillano fra il 3 e il 4 percento. Per difendere i propri risparmi, le famiglie ormai cambiano immediatamente in dollari i salari, e per molti generi, come gli elettrodomestici, esprimono i prezzi nella valuta Usa. 

Con una larga parte dellloccupazione che dipende dal settore pubblico, e l’adeguamento dei salari che è sempre in ritardo rispetto all’inflazione, il risultato è l’impoverimento della popolazione. E le promesse della campagna elettorale peronista si scontrano ora con la dura realtà. L’Argentina avrebbe un gran bisogno di investitori esteri, ma la mancanza di fiducia degli operatori stranieri si basa su una politica economica che negli ultimi decenni è stata come minimo ondivaga; alternando periodi di chiusura nell’intento di favorire la produzione nazionale, ad aperture incontrollate. Così Rodríguez Larreta, leader di Juntos – il nuovo nome dell’opposizione- -, e attualmente sindaco di Buenos Aires, vede aprirsi la concreta possibilità di sconfiggere il peronismo unito, solo due anni dopo la sonora sconfitta del suo padre politico Macri.  Anche se difficilmente un cambio politico di questo tipo sarà in grado di risolvere i problemi strutturali dell’economia e della società argentina.

BRASILE

In Brasile manca un anno esatto alle elezioni presidenziali, e il consenso del Presidente Bolsonaro è in calo continuo.  L’eco clamorosa suscitata dal rapporto sulla pandemia del Senato che lo accusa di crimini penali non fa che aggravare la sua posizione.  Già in agosto un sondaggio gli aveva attribuito il 24 percento delle intenzioni di voto, contro un 40 percento all’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, secondo Il rilevamento, condotto dalla società di consulenza Ipespe in vista delle elezioni presidenziali di ottobre 2022.  Il rilevamento, in caso di ballottaggio, prevede una vittoria di Lula con il 51percento dei voti contro il 32 di Bolsonaro. Il terzo posto è occupato da Ciro Gomes, del Partito democratico laburista (Pdt, di centrosinistra), con il 10 percento delle intenzioni di voto, seguito da Sergio Moro,l’ex giudice simbolo dell’inchiesta anti-corruzione ‘Lava Jato’, con il 9. 

Ora il rapporto del Senato brasiliano, che tra le altre accuse si propone di incriminare Jair Bolsonaro per crimini contro l’umanità, espone il Presidente in carica vede minacciata seriamente la possibilità di una rielezione. L’accusa verte sulla gestione catastrofica della pandemia da Covid-19, che ha mietuto già più di 600mila vittime accertate.  La reazione del Presidente è stata sprezzante : “Non sono colpevole di nulla”. Ma l’ostentata e reiterata opposizione all’uso delle mascherine, alle misure di distanziamento, la dichiarazione che la pandemia fosse niente più che una normale influenza, la promozione di farmaci da tempo già dichiarati inefficaci dalla comunità scientifica insistendo sui cosiddetti farmaci di trattamento precoce come l’idrossiclorochina, un antimalarico, mostrano il contrario.

Nelle parole della commissione, ”Jair Bolsonaro ha fortemente collaborato alla diffusione del COVID-19 nel territorio brasiliano e, come tale, si è dimostrato il principale responsabile degli errori commessi dal governo federale durante la pandemia“. alle 1.200 pagine del rapporto della commissione di 11 senatori, in cui si dettaglia la miriade di errori e di criminali negligenze della gestione della crisi. La decisione di procedere con le accuse dipenderà però dal procuratore generale del Brasile, nominato da Bolsonaro e suo alleato. Difficilmente il Presidente sarà costretto a rispondere ai giudici per accuse che lopoterebbero in carcere, e infatti ha reagito dichiarando di “essere stufo di rispondere alle domande sul Covid”.

L’ufficio del procuratore generale Augusto Aras ha detto in una dichiarazione che il rapporto sarebbe stato attentamente analizzato una volta ricevuto. Ma la sua fedeltà al presidente mette a rischio un simile esito. il senatore Omar Aziz, che ha presieduto la commissione, ha detto ad Al Jazeera che c’erano abbastanza prove per mettere Bolsonaro dietro le sbarre, aggiungendo che  “…se il procuratore generale non fa nulla, andremo alla Corte suprema e anche alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia (…) Continueremo a fare pressione per assicurarci che sia fatta giustizia“. Il voto del Senato per approvare il rapporto è fissato per il 26 ottobre. 

COLOMBIA

Dopo le proteste e il prolungato sciopero generale causato dalla proposta di riforma fiscale del presidente Duque, poi ritirata, l’attesa si appunta sulle elezioni presidenziali del prossimo anno. I risultati del sondaggio Invamer mostrano che il candidato di Colombia Humana, Gustavo Petro, guida le intenzioni di voto dei colombiani con il 30,2 percento, in un certo senso un dato storico, trattandosi diel primo rappresentante chiaramente di sinistra a condurre le previsioni di voto. Ma c’è da registrare un calo rispetto  al 38,3 percento  del sondaggio di aprile, forse da attribuire al calo della tensione dopo il rifluire delle proteste.  Al secondo posto, molto distaccato, il conservatore Sergio Fajardo con il 14,6 percento.  In un eventuale secondo turno, Gustavo Petro supera anche tutti i suoi avversari, con il 53,4 per cento se dovesse affrontare Sergio Fajardo, che raccoglierebbe  il 43,5 per cento.

NICARAGUA

La Conferenza episcopale del Nicaragua ha dichiarato, riguardo alle elezioni presidenziali previste per il 7 novembre, che “abbiamo perso una preziosa opportunità per raddrizzare il corso del nostro Paese e risolvere i problemi sociali, politici ed economici, non accogliendo la pluralità di pensiero di tutti i settori; al contrario, sono stati esclusi”. criticando la mancanza di garanzie democratiche. Il Presidente Daniel Ortega cerca un terzo mandato consecutivo. mentre ben  sette candidati presidenziali dell’opposizione  sono in carcere.

Lo scontro fra Ortega e la Chiesa cattolica dura da lungo tempo e già all’inizio di ottobre  Ortega  ha accusato i sacerdoti nicaraguensi, a Managua durante una manifestazione, di agire da “terroristi” per le loro denunce sulle violazioni dei diritti umani. Per Ortega, i leader religiosi hanno partecipato a “un tentativo di colpo di stato” in seguito al sostegno della Chiesa alle manifestazioni iniziate nell’aprile 2018 e brutalmente represse dal Governo. La dichiarazione dei vescovi prosegue: ”I diritti politici inerenti alla cittadinanza possono e devono essere concessi secondo le esigenze del bene comune. Non possono essere sospesi dall’autorità senza un motivo legittimo e proporzionato“.

VENEZUELA

A novembre sono previste elezioni amministrative nel Paese governato da Maduro. Che auspica la partecipazione dell’opposizione, per legittimare la consultazione, e respingere le accuse di chi sostiene che il suo regime e la sua stessa carica come illegittimi, come gli Stati uniti , che anche con l’amministrazione Biden riconoscono il leader dell’opposizione Juan Guaidó come presidente ad interim. Uno spiraglio era costituito dai dialoghi di riconciliazione fra il movimento Bolivariano e l’opposizione in Messico, ma la crisi politica è stata aggravata questa settimana dall’estradizione negli Stati Uniti da Capo Verde dell’uomo d’affari colombiano Alex Saab, vicino a Maduro, e dalla reazione del governo venezuelano, che ha annunciato la sospensione della sua partecipazione ai negoziati in corso con l’opposizione in Messico. Ma soprattutto, è la crisi economica e sociale in Venezuela, che ha provocato una diaspora senza precedenti in tutte le Americhe, a gravare su questo apuntamento elettorale, e a renderlo quasi irrilevante rispetto al dramma in corso.

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