Site icon atlante guerre

Iracheni ancora in piazza

Il primo ministro iracheno Adel Abdul Mahdi si dimetterà se i partiti politici potranno accordarsi sulla sua sostituzione. L’annuncio del presidente Barham Salih è arrivato nella serata di ieri, perché messo alle strette dalla portata delle proteste che da settimane infiammano il Paese e che hanno prodotto numeri allarmanti di morti e feriti.

L’Osservatorio iracheno per i diritti umani ha diffuso ieri il bilancio delle vittime della repressione governativa. Da venerdì 25 al 31 ottobre sono stati circa 100 gli uccisi e 5.500 i feriti. La Commissione d’inchiesta indipendente incaricata dal Governo di far luce sulla repressione della prima ondata di proteste, aveva invece documentato l’uccisione di 149 manifestanti e 6 poliziotti dal primo al 6 ottobre.

Ma nonostante la sanguinosa repressione le piazze restano piene di persone, tende, smartphone che di notte illuminano le marce, di canti. I manifestanti hanno bloccato il porto di Umm Qasr, a Bassora, da dove arrivano grano, verdure, olio, zucchero, poi distribuiti a tutto il Paese. Le piazze, appoggiate da gran parte dei capi tribali, continuano a chiedere lo stop alla corruzione e misure urgenti a favore dell’occupazione, per la carenza di servizi sanitari, la bassa qualità dell’istruzione, contro la diffusione illegale di armi nelle città, i frequenti sequestri di persona, l’alto tasso di criminalità. La protesta, partita dal licenziamento del generale Abdul Wahab al Saadi che si era distinto durante la guerra contro lo Stato Islamico e molto amato dalla popolazione, si è subito evoluta nella denuncia della situazione del Paese e nella richiesta di dimissioni del governo del premier Adel Abdul-Mahdi.

L’Iraq è da anni allo stremo: le ricchezze prodotte dalle compagnie petrolifere non vengono redistribuite tra la popolazione. L’Iraq ha una popolazione di poco meno di 40 milioni di persone ed è il quinto produttore ed esportatore di petrolio al mondo e il secondo produttore del gruppo Opec. Nonostante la grande ricchezza, però, la disoccupazione giovanile si attesta al 25% e secondo la Banca mondiale, poco meno dei tre quinti della popolazione vive con meno di 6 dollari al giorno. Le città meridionali, ad esempio, ricchissime di petrolio, vivono da anni l’assenza dei servizi essenziali e presentano livelli di disoccupazione elevatissimi, più alti della media del Paese. Inoltre moltissimi contadini sono costretti a scappare dalle campagne desertificate dal crollo del livello di Tigri ed Eufrate.

(Red. Al/Pi)

Next: Gli “squadroni della morte” della Cia in Afghanistan
Exit mobile version