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La guerra afgana vista da Islamabad

Pubblichiamo un estratto dell’articolo di Emanuele Giordana per il dossier Ispi Crisi Afghanistan: la comunità internazionale al bivio a cura di G. Battiston e N. Missaglia. Per leggere tutto l’articolo e il dossier clicca qui 

La conclusione della guerra afgana resta comunque una vittoria personale del premier pachistano. Se la si osserva dal Pakistan si comprende bene del resto perché tutti i governi pachistani abbiano appoggiato, finanziato e offerto rifugio al movimento talebano, pur trattandosi di un fenomeno interno all’Afghanistan e non una creazione del Pakistan, come spesso viene erroneamente definito. A Islamabad è sempre apparso come vitale avere a Kabul un esecutivo, se non direttamente controllato, perlomeno solidale col Pakistan, in omaggio alla famosa dottrina militare della “profondità strategica”, la strategia che mira ad avere alle proprie spalle un Paese “amico” in caso di guerra con l’India.

Questo appoggio, sia durante la campagna dei mujahedin contro l’invasore sovietico, sia durante il conflitto tra Talebani e forze di occupazione americane e Nato, si è rafforzato anche per via del forte attivismo diplomatico dell’India, tradottosi nell’apertura di diverse sedi diplomatiche oltre all’ambasciata di Kabul, nel finanziamento delle attività di cooperazione (circa 3 mld di dollari dal 2001) e nell’assistenza militare ai governi Karzai e Ghani.

Non di meno, per il Pakistan, l’interesse ad avere a Kabul un governo amico e stabile significava e significa la ripresa del commercio interasiatico (la Grand Trunk Road passa dall’Afghanistan) sia la possibilità che un esecutivo talebano abbia influenza sulle forze jihadiste interne, specie nell’area tribale (tribal belt) della provincia di Khyber Pakhtunkhwa. Il Pakistan si è per altro sforzato sia di appoggiare negoziati di pace (anche prima del processo di Doha) sia di consigliare il nuovo esecutivo talebano perché diventi più inclusivo e aperto a relazioni diplomatiche anche con gli ex nemici.

L’interesse nazionale pachistano è infatti anche quello di avere come vicino un Paese stabile e sgombro da pesanti interferenze straniere anche se restano antiche divergenze, prima tra tutte il riconoscimento della Durand Line, la frontiera tra Pakistan e Afghanistan che Kabul non ha mai riconosciuto. Infine, durante la guerra, il Pakistan ha sempre fatto il possibile perché il movimento talebano non arrivasse a prendere in considerazione (cosa comunque lontana dalla strategia della Rahbari Shura) una cantonalizzazione del Paese con la nascita del temuto Pashtunistan, un’idea di aggregazione delle aree pashtun (pathan in Pakistan), divise dalla Linea Durand e attualmente sotto il controllo di Kabul (Ovest) e di Islamabad (Est).

Se dunque la vittoria dei Talebani è anche una vittoria del Paese dei puri, non è così evidente –contrariamente al sentire comune di molti afgani – che i Talebani vogliano essere semplicemente una colonia pachistana eterodiretta da Islamabad. Al contrario, i Talebani sembrano propensi a mantenere un’autonomia che rafforzi la sovranità nazionale e che superi la situazione del primo Emirato che – riconosciuto solo da Pakistan, Emirati Arabi Uniti e Arabia saudita – si trovò completamente isolato dal consesso internazionale.

Restano infine da segnalare sul Pakistan almeno altri due elementi del recente passato gravidi di strascichi: le difficoltà interne (non solo coi jihadisti ma in generale con l’opinione pubblica) nate dalla scelta di aver negoziato con gli americani l’appoggio logistico alle truppe di occupazione e il numero di soldati e civili pachistani morti nelle operazioni legate alla guerra al terrore (circa 67mila) oltre alle ricadute politiche sull’ospitalità, oltreché ai Talebani, garantita a Osama bin Laden…. (continua su Ispi)

In copertina Imran Khan

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