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Un presidente anti-sistema in Salvador? (aggiornato)

di Maurizio Sacchi

L’elezione presidenziale di ieri nel Salvador è stata l’ottava da quando è stata approvata la Costituzione del 1983, e la sesta dalla firma degli accordi di pace del 1992. Queste elezioni definiranno i nuovi presidente e vice-presidente della Repubblica fino dal giugno di quest’anno al 30 maggio 2024. Il sistema elettorale salvadoregno prevede un ballottaggio fra i due primi partiti, nel caso nessuno raggiunga il 51% dei voti. Al momento però, stando ai primi risultati parziali già oltre l’89%, Bukele ha già vinto come ha dichhiarato alla stampa locale. Dietro al favorito Nayib Bukele, c’è il candidato di ARENA, il partito tradizionale della destra; e terzi, sempre nei sondaggi, arrancano gli ex-guerriglieri del Frente Farabundo Martì (Fmln), che termina quest’anno il suo secondo governo consecutivo.

Bukele: uomo nuovo ma messaggio già sentito

Bukele ha solo 37 anni. E’ di origine palestinese (suo padre è di Betlemme) ed è stato a lungo appoggiato dal Fmln – che lo ha poi espulso – nella sua corsa a sindaco, prima di un Paese poi della capitale. Immigrato in Salvador, era proprietario di un’agenzia pubblicitaria in difficoltà, che il figlio ha risollevato e portato a essere un’impresa di comunicazioni di successo. Prima di lanciarsi in politica. La sua linea politica è cosa già sentita: accusa entrambi i partiti tradizionali di essersi messi in combutta per creare un sistema spartito di corruzione; ha incentrato la sua campagna elettorale su un rap ossessivo : devuelvan lo robado , restituite quello che avete rubato; ha promesso di dichiarare guerra aperta alla corruzione; e ha in progetto un ammodernamento strutturale del Salvador, che include un porto e una ferrovia. Ma non segnala da dove prenderà i soldi. Questo in un’economia che oggi – secondo la Banca mondiale – vede il 37,8% della popolazione al di sotto della soglia di povertà, mentre Il 10% più ricco della popolazione riceve circa 15 volte il reddito del 40% più povero.

Insicurezza e violenza: le maras

Eppure l’insicurezza e la violenza continuano a essere le principali preoccupazioni degli elettori salvadoregni anche mentre si sono recati alle urne domenica per scegliere il loro prossimo presidente. Soprattutto la violenza organizzata delle maras, le bande criminali che di fatto controllano buona parte del territorio e dell’economia, problema lasciato in secondo piano da tutti i candidati, anche perché per ora le politiche adottate dai governi, sia di destra sia di sinistra, hanno fallito clamorosamente. Le maras sono più forti che mai, e se un solo segnale apparentemente positivo era giunto con il dimezzarsi del tasso di omicidi, durante la politica di pugno di ferro dell’ultimo governo, a metà gennaio una raffica di omicidi, tra cui quello di otto agenti di polizia, ha raffreddato ogni ottimismo.

Già la politica delle “esecuzioni extra-giudiziarie” che ha accompagnato la guerra frontale alle bande è costata al Salvador la stigmatizzazione delle Nazioni unite, come si legge nel rapporto sui diritti umani del 2018: “Ho trovato un modello di comportamento nel personale di sicurezza, che potrebbe essere considerato come il ricorso a esecuzioni extragiudiziali e uso eccessivo della forza, alimentato da deboli risposte istituzionali, a livello di indagine e giudiziarie… spezzare il ciclo dell’impunità è una necessità assoluta.”
Ora, come fanno notare diversi analisti, c’è il rischio che l’appuntamento elettorale sia preso come occasione dalle maras per una dimostrazione di forza. Mostrando i muscoli con scontri armati durante o dopo le operazioni elettorali, le bande potrebbero mandare un messaggio a tutta la classe politica: venire a trattative con loro, visto che non possono essere sconfitte. E lo scarso peso dato al tema da tutti candidati a tutto ciò – il principale problema della maggioranza dei salvadoregni – potrebbe far pensare a trattative sotterranee già in corso.

Povertà ed emigrazione

La verità è che il fenomeno delle maras è strettamente legato a quello dell’emigrazione. Paradossalmente, molti membri delle maras sono stati spediti qui dagli Stati uniti, nell’ambito della guerra che Clinton fece alle gang. Ed ora sono loro i gestori del colossale flusso di migranti che ripercorrono a ritroso la stessa strada. Una migrazione – migliaia hanno raggiunto la carovana della speranza partita dall’Honduras – che è una fuga da città invivibili, taglieggi e miseria,. Circa mezzo milione di centroamericani ogni anno partono illegalmente per gli Stati uniti. E chi gestisce il traffico di questi migranti sono le maras. Spesso in combutta con le forze di polizia.

L’uomo nuovo Bukele avrà i mezzi per affrontare il problema? I critici dicono che Bukele non è riuscito a capire le cause profonde dell’appartenenza alla bande, come l’esclusione sociale e la povertà, concentrandosi sulla prevenzione attraverso lo sport e la programmazione culturale. Per il momento, Bukele tiene a rafforzare la sua immagine di uomo nuovo, pragmatico, al di fuori delle logiche del potere. Il suo messaggio di rinnovamento è comunque arrivato ai giovani, che secondo El Pais, pensavano di votarlo in tre su quattro.

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