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Pace possibile per il Sudan del Sud?

di Alice Pistolesi

Per il Sudan del Sud il 27 giugno potrebbe essere ricordato come un giorno di pace. Proprio ieri il presidente del Paese, Salva Kiir e il suo rivale, il leader ribelle Riek Machar, hanno firmato a Khartoum, in Sudan, un accordo per tentare di mettere la parola fine su una guerra interna durata oltre cinque anni.

L’accordo

Kiir e Machar si sono incontrati per la prima volta in quasi due anni la scorsa settimana. A sponsorizzare l’accordo i Paesi confinanti, fortemente interessati a far finire i combattimenti.

Alla firma di ieri erano presenti il presidente dell’Uganda Yoweri Museveni e  il suo omologo sudanese Omar al-Bashir. Nell’ambito dell’accordo dovrebbe iniziare nelle prossime ore il cessate il fuoco.

“Le parti continueranno i colloqui a Khartoum per discutere le modalità di attuazione del cessate il fuoco, e dopo che sarà entrato in vigore verrà discussa la questione della condivisione del potere”, ha detto a Reuters il ministro degli Esteri sudanese Al-Dirdiri Mohamed Ahmed.

L’accordo quadro anticipa quello definitivo e consentirà l’accesso per gli aiuti umanitari tramite un corridoio, la liberazione dei prigionieri e un governo di unità transizionale da formare entro quattro mesi, che governerà il paese per 3 anni e sarà seguito da elezioni generali. L’accordo permette poi ai membri dell’Unione Africana e al blocco regionale dell’Africa orientale, l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD) di “schierare le forze necessarie per sorvegliare il cessate il fuoco permanente concordato”.

Una pace per il Paese non è certo scontata. Va infatti tenuto conto che i precedenti tentativi di porre fine ai combattimenti non sono stati mantenuti.

Tre capitali nel dissenso

Uno dei punti proposti dell’accordo era di stabilire tre diverse capitali per Sudan del Sud, in modo da distribuire il potere, ma un portavoce di Machar ha respinto questa ipotesi. “Firmeremo il quadro oggi, con alcuni emendamenti. In particolare, rifiutiamo le tre capitali, il Sud Sudan è un paese unico” ha detto il portavoce Mabior Garang Mabior. “Rifiutiamo anche la ripresa della produzione di petrolio prima di un accordo negoziato globale” ha poi detto Mabior.

Il vicino Sudan

Il presidente sudanese Omar al-Bashir ha salutato l’accordo come un “dono per il popolo del Sudan del Sud”. Gli interessi economici del Sudan, nei confronti del ‘suo vecchio Territorio’ sono molto forti. La secessione del Sudan del Sud ha infatti colpito duramente il Paese: al Sud si trovano gran parte delle riserve petrolifere della regione.  Per questo a margine dei colloqui di pace, i due Paesi hanno concordato un piano per raddoppiare la produzione di petrolio dal Sud, ma non sono stati forniti dettagli su come raggiungere questo obiettivo. Khartoum e Juba hanno concordato di riparare le infrastrutture petrolifere distrutte dalla guerra entro tre mesi e hanno deciso di creare una forza congiunta per proteggere i campi petroliferi dagli attacchi delle forze ribelli su entrambi i lati del conflitto.

Cauto ottimismo

Un altro round di negoziati si terrà nella capitale del Kenya, Nairobi, e l’ultimo è previsto nella capitale etiopica Addis Abeba. Il passo in avanti nella direzione della pace è stato fatto ma è necessario frenare l’ottimismo dato che molti altri gruppi di opposizione, tra cui l’alleanza dell’opposizione del Sudan del Sud (Sud Sudan Opposition Alliance, SSOA), stanno ancora portando avanti la resistenza armata. Per questo molti analisti chiedono un accordo più completo e inclusivo, per garantire che le altre opposizioni non vengano tralasciate. La disposizione per l’Unione Africana e l’IGAD di fornire forze per sorvegliare il cessate il fuoco non è stata accettata con favore dal gruppo ribelle: per questo non vi è alcuna garanzia che il cessate il fuoco funzionerà.  

I precedenti

Kiir e Machar avevano già firmato un accordo di pace nell’agosto 2015, violato nel luglio 2016 dalla ripresa dei combattimenti. I negoziati di Khartoum sono arrivati ​​dopo una serie di colloqui mediati dal primo ministro etiope Abiy Ahmed, la scorsa settimana ad Addis Abeba.

Il conflitto

Gli anni di guerra interna hanno devastato il giovane Paese nato nel 2011 dalla scissione dal Sudan. Decine di migliaia di persone sono morte e quasi quattro milioni di persone, ovvero un terzo della popolazione, sono state sfollate a causa delle violenze. La guerra ha distrutto anche la debole economia del Paese e ha rovinato l’agricoltura.

Durante la guerra, la produzione di petrolio (che rappresentava il 98% delle entrate di Juba) è crollata a circa 120mila barili al giorno da un picco di 350mila, secondo la Banca Mondiale.

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