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Marcia del Ritorno, dall’Onu pesanti accuse a Israele

Ci sono “ragionevoli motivi” per ritenere che la risposta delle forze di sicurezza israeliane alle manifestazioni palestinesi della Marcia del Ritorno includa violazioni gravi delle leggi  internazionali umanitarie e di difesa dei diritti umani. A dirlo è il rapporto della commissione di inchiesta internazionale indipendente Onu incaricata di indagare sulle manifestazioni che si sono tenute a Gaza tra il 30 marzo e il 31 dicembre 2018. In particolare il mandato della commissione era quello di concentrarsi sulle violazioni del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario.

Il testo, che uscirà in versione integrale intorno alla metà di marzo 2019, è stato presentato ai sensi della risoluzione S-28/1 del Consiglio per i diritti umani. La commissione, presieduta dall’argentino Santiago Caton, è stata nominata dal presidente del Consiglio per i diritti umani Onu (Ohchr). Nell’anticipo di rapporto si legge che nonostante le diverse richieste, Israele non ha concesso alla commissione l’accesso nel Paese o al Territorio palestinese occupato, né ha collaborato o fornito informazioni. La commissione ha esaminato con particolare attenzione tre giorni di dimostrazione: il primo giorno di manifestazione, il 30 Marzo, il 14 maggio che ha visto il maggior numero di morti e feriti e il 12 ottobre, uno dei due giorni di dimostrazione con il più alto numero di vittime.

Per redigere il rapporto la commissione ha condotto 325 interviste e incontri con vittime, testimoni, funzionari governativi e membri della società civile. Ha raccolto oltre 8mila documenti, tra cui dichiarazioni di giuristi, relazioni mediche, rapporti open source, contenuti dei social media, comunicazioni scritte e pareri legali di esperti, filmati video da drone e fotografie.

Il testo riporta il punto di vista israeliano: “Le forze di sicurezza israeliane hanno dichiarato di aver percepito una nuova minaccia alla sicurezza nelle manifestazioni”. Dimostrazioni che avrebbero celato quindi “attività terroristiche”. “Questa valutazione si basava in parte su dichiarazioni di personaggi pubblici palestinesi, inclusi leader di Hamas, che parlavano del ritorno e del superamento della barriera, anche in termini ambigui o infiammatori”. Durante le prime manifestazioni le forze israeliane avevano rinforzato le loro posizioni alla barriera con truppe aggiuntive, tra cui più di 100 bersaglieri, e avevano lanciato volantini su Gaza per mettere in guardia contro la partecipazione. Secondo la commissione, quindi, le regole di ingaggio hanno apparentemente permesso il fuoco vivo ai manifestanti come ultima risorsa in caso di minaccia imminente alla vita di soldati o civili israeliani.

Regola d’ingaggio però non condivisa dal diritto internazionale. Secondo la commissione, infatti, le manifestazioni erano di natura civile e, “nonostante alcuni atti di violenza significativa, non costituivano un combattimento o una campagna militare”. Il gruppo di esperti scrive infatti che “le norme di applicazione  basate sulla legge internazionale sui diritti umani consentono la forza potenzialmente letale da parte delle forze dell’ordine o delle forze di sicurezza solo in autodifesa o difesa degli altri quando c’è una minaccia imminente alla vita. L’uso della forza da parte di uno Stato deve essere necessario per raggiungere un obiettivo legittimo di applicazione della legge e la forza utilizzata deve essere proporzionata al danno evitato”. Per considerare una minaccia per la vita l’aggressore dovrebbe avere una prossimità geografica sufficiente affinché l’attacco abbia successo. Vicinanza che non esisteva nel caso delle manifestazioni della Marcia.

La commissione ha esaminato tutti i 189 decessi e rintracciato oltre 300 feriti causati dalle forze di sicurezza israeliane nei siti di dimostrazione e durante le manifestazioni. Ad eccezione di un incidente verificatosi a Nord di Gaza il 14 maggio e di un altro nel centro di Gaza il 12 ottobre – che potrebbero aver costituito una “minaccia imminente per la vita o lesioni gravi” per la sicurezza israeliana – la commissione ha trovato motivi ragionevoli per credere che, in tutti gli altri casi, l’uso di munizioni vere da parte delle forze di sicurezza israeliane contro i manifestanti sia stato illegale.

Le vittime si trovavano infatti a centinaia di metri di distanza dalle forze israeliane. I militari hanno sparato a giornalisti e personale medico, chiaramente indicati come tali, così come a bambini, donne e persone con disabilità. E ancora, la commissione scrive che le forze di sicurezza israeliane hanno ucciso e mutilato dimostranti palestinesi che non costituivano una minaccia e che sarebbero potute essere usate alternative meno letali e più difensive. L’uso della forza è stato quindi sproporzionato e inammissibile. Dalle indagini l’equipe Onu sostiene quindi di aver “trovato fondati motivi per ritenere che i manifestanti siano stati fucilati in violazione del loro diritto alla vita e del principio di distinzione del diritto umanitario internazionale”.

Intanto in Israele il premier Benjamin Netanyahu sta facendo i conti anche con una questione tutta interna. Il procuratore generale israeliano, Avichai Mandelblit, ha infatti comunicato in una nota l’intenzione di incriminare il primo ministro  per corruzione, abuso di fiducia e frode.

Le inchieste che riguardano il premier sono tre. Una di queste è il cosiddetto ‘Caso 1000’ che riguarda il sospetto di aver accettato regali da imprenditori in cambio di favori. Un altro è il ‘Caso 2000’ che mette in luce contatti con l’editore del quotidiano ‘Yediot Ahronot’ per ridurre la tiratura di un giornale rivale, mentre la terza è il ‘Caso 4000’ e riguarda i rapporti tra la compagnia di telecomunicazioni Bezeq, proprietaria del sito di informazione Walla, contattata per garantirsi una copertura giornalistica favorevole. Nei primi due casi il premier è sospettato di frode e abuso di ufficio, mentre nell’ultimo anche di corruzione. Netanyahu ha sempre respinto le accuse.

Qui il testo dell’anticipazione di rapporto

Qui la scheda conflitto dell’Atlante su Palestina e Israele

(Red/Al.Pi)

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