Situazione attuale e ultimi sviluppi
Il 23 gennaio 2022 il Burkina Faso ha vissuto un colpo di Stato conclusosi il giorno successivo con l’arresto del Presidente Roch Marc Christian, del Presidente del Parlamento Alassane. Bala Sakandé e di alcuni Ministri. Christian è stato costretto alle dimissioni e il Paese è passato nelle mani di una giunta militare guidata dal colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba.
I soldati golpisti hanno preso le armi chiedendo riforme dell’esercito, cure migliori per i soldati e supporto maggiore alle famiglie dei feriti. Le parole di un portavoce all’Associated Press hanno sottolineato che le richieste dei militari in sollevazione hanno origine anche dalla dura battaglia contro gli estremisti islamici che il Paese sta affrontando. Gli insorti chiedono infatti un aumento della forza lavoro occupata in questo senso. Da parte sua, la società civile non è sembrata molto preoccupata per il nuovo sconvolgimento violento della vita politica del Paese. Il Governo Christian si era da tempo mostrato sordo alle richieste dei cittadini. Da mesi le manifestazioni di protesta, in particolare dei giovani, erano represse in modo sistematico. I social e l’accesso al web erano sottoposti a continue repressioni. Anche la mattina del 23 gennaio, quando le prime notizie sugli spari nelle caserme che preannunciavano il colpo di Stato hanno cominciato a circolare, comunicare è stato quasi impossibile per i burkinabé: Internet risultava bloccato, niente social, niente Whatsapp. Il cambio di guardia politico non ha finora posto rimedio alla violenza jiihadista, uno dei motivi del golpe e uno dei problemi che più preoccupa la popolazione burkinabé. L’ultimo attacco islamico è avvenuto contro il villaggio di Seytenga, nel Nord del Paese, tra l’11 e il 12 giugno 2022. 86 vittime, tutte civili, bambini donne e uomini. Si teme però che la cifra possa salire, perché molte persone sono state trascinate via e verranno probabilmente giustiziate altrove. Nella settimana precedente l’attacco, Seytenga era stato teatro di scontri tra miliziani islamici ed esercito, che aveva dichiarato di aver neutralizzato 40 jihadisti dopo che 11 militari erano stati uccisi.
L’eccidio successivo, ha ammesso il portavoce del Governo Lionel Bilgo, potrebbe essere la “ritorsione contro le azioni dell’esercito”. Ha aggiunto anche che “il Paese è stato colpito, ma le forze armate stanno facendo il loro lavoro”.
Da sette anni il Burkina Faso lotta contro la piaga jihadista, soprattutto nelle Regioni settentrionali e orientali. Sinora i morti sarebbero almeno 2.000, gli sfollati 1,9 milioni.
Per cosa si combatte
Il primo attentato terroristico in Burkina Faso è avvenuto il 15 gennaio 2016. Si era, all’epoca, appena insediato il nuovo Presidente: da appena un anno la sollevazione popolare aveva costretto Blaise Compaorè, al potere da 27 anni, a lasciare il Paese. Ora gli attacchi terroristici e le incursioni nei villaggi delle Regioni settentrionali sono quattro o cinque al giorno.
Gli analisti spiegano la catastrofe anche come una delle onde lunghe della crisi libica, che ha portato armi, mezzi e miliziani prima in Mali e poi nel Nord del Burkina Faso. Nei primi anni, la strategia del terrore si è caratterizzata come uno scontro fra i diversi gruppi dell’estremismo islamico. Operano attualmente sei sigle diverse nella Regione, di cui cinque si ispirano ad Al Qaeda e uno all’Isis. Poi, lo jihadismo è diventato una forma di controllo del territorio, che si esprime attraverso attacchi ai “simboli del potere occidentale” (chiese, caserme) oppure ai luoghi vitali della popolazione (mercati, punti di accesso all’acqua, luoghi di produzione del piccolo artigianato locale). Di fatto il Nord del Paese è fuori controllo. I gruppi terroristici hanno anche favorito e soffiato sul fuoco sulle tensioni fra i vari gruppi etnici.
Il risultato finale è una vera a propria “pulizia” del territorio, nel quale l’unica “autorità” riconoscibile è lo stesso gruppo estremista dominante. L’obiettivo potrebbe essere, nel medio periodo, la ricostituzione di un nuovo nucleo di Stato Islamico, dopo la distruzione del Califfato.
Quadro generale
Burkina Faso significa “Paese degli uomini integri”. Il nome lo si deve a Thomas Sankara, il padre della nazione che governa per soli 4 anni, dal 1983 al 1987, segnando però in modo profondo l’identità del Paese africano nel segno dell’indipendenza e dell’emancipazione nazionali. Parla di anticolonialismo e di sviluppo endogeno, autonomo; è attento a cultura e istruzione, all’ambiente; è convinto sostenitore dell’emancipazione femminile.
Sankara è assassinato da un commando di sicari. Gli succede uno strettissimo collaboratore, Blaise Compaoré, che detiene il potere per 27 anni. Il suo Governo si trasforma presto in un regime repressivo. Gli oppositori sono comprati oppure eliminati: gli si possono attribuire 110 omicidi politici. Il Paese si avvicina di nuovo alla Francia e agli altri Paesi occidentali, riapre agli investimenti esteri e all’iniziativa privata. La condizione dei burkinabé precipita, tanto che a cavallo tra 2010 e 2011 quasi la metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Il Regime cade nell’ottobre 2014, dopo un errore politico fatale: Compaoré tenta di modificare unilateralmente la Costituzione per legittimare una sua “rielezione” alla Presidenza. Una sollevazione popolare lo depone. Nel 2021, compare come indagato nel processo per la morte di Sankara.
Nel 2015, inizia l’era di Roch Marc Christian Kaboré. Eletto Presidente della Repubblica, confermato tale nel novembre 2020, si insedia il 16 gennaio 2016. Tre giorni dopo, a Ouagadougou avviene il primo attentato nella storia del Paese.
Ha inizio così la stagione del terrorismo, che dura ancora e rappresenta uno dei principali problemi del Burkina Faso. La sua serietà è aggravata dal fatto che le bande di jihadisti spesso si mescolano e uniscono a gruppi preesistenti di banditi. I territori in cui queste milizie si muovono diventanto terre di nessuno in cui clan criminali di diversa provenienza obbediscono e perseguono fini differenti e in rotta di collisione reciproca. Spesso si tratta di ingenti traffici illegali di armi e droga; il business dei sequestri; lo sfruttamento artigianale delle miniere d’oro. Lo Stato è assente o vessatorio: verso le istituzioni, la popolazione civile nutre solo sfiducia.
Lasciata a sé stessa e nel disperato tentativo di ordinare il caos, si è costituita in milizie locali di autodifesa. Presenti specie nell’Est del Paese, sono state legalizzate dal Governo attraverso una legge ad hoc che fissa una formazione di soli 14 giorni per la nascita di uno di questi gruppi. La mossa ha però inasprito le fratture tra comunità, spaccate tra filogovernativi e filoestremisti. E ha creato un altro strumento di minaccia e terrore per i civili: nemmeno le milizie civili risparmiano infatti attacchi contro scuole, mercati e altri luoghi pubblici.
In questo quadro, si inseriscono fattori ambientali e sanitari che esacerbano la condizione del Burkina Faso. Il Paese è soggetto a ricorrenti crisi dovute alla siccità. Il cambiamento climatico ha però aumentato i periodi di penuria d’acqua e aggravato le inondazioni. Insieme alla pandemia da Covid-19, questa situazione ha accresciuto la malnutrizione severa e acuta delle fasce più vulnerabili della popolazione. Secondo il Programma Alimentare Mondiale (Wfp) dell’Onu, la stima delle persone che soffrono di malnutrizione è triplicata rispetto al 2019, toccando nella prima metà del 2021 quota 3,4 milioni.
Ad oggi, questo fa del Burkina Faso una delle peggiori crisi umanitarie al Mondo.
Da ultimo, non va dimenticato il diffuso sentimento antifrancese. In molti ritengono che le politiche imperialiste d’Oltralpe siano state una delle cause dei mali diffusi nel Paese e nell’Africa occidentale. Gli interventi militari francesi che si sono succeduti negli anni nell’Area sono sempre più spesso giudicati inefficaci o in alcuni casi addirittura ambigui nei rapporti con alcune forze jihadiste. Per non parlare delle ingerenze nelle decisioni di politica interna della Regione. La recente svolta di Macron, che sta progressivamente riducendo la presenza militare francese nel Sahel, potrebbe via via ridurre questo risentimento. Per ora, però, resta molto forte, tanto che di recente la popolazione burkinabé ha bloccato un ingente convoglio militare francese in transito tra Burkina Faso e Niger.