Situazione attuale e ultimi sviluppi
Forti scontri scuotono il Nord Kivu, una delle aree da sempre più implicate nel conflitto nato per il controllo delle fonti minerarie, soprattutto del coltan. Il 19 maggio 2022 sono ripresi i combattimenti tra le forze armate della Repubblica Democratica del Congo e il gruppo ribelle M23. La violenza ha scosso l’Area nonostante il Governo fosse proprio in quei giorni impegnato a riprendere il dialogo con i gruppi armati nel cosiddetto “processo di Nairobi”.
Rappresentanti governativi e l’ambasciatore keniota distaccato a Kinshasa sono stati infatti inviati nell’Ituri e nelle due Province del Kivu per incontrare i delegati dei ribelli, delle milizie e degli altri movimenti armati attivi nel Paese. Ai colloqui non hanno però partecipato tutti i gruppi, M23 compreso. Secondo un report pubblicato dal Congo Research Group, sono circa 120 i gruppi armati ancora attivi nell’Est del Paese, ricco di risorse minerarie, oro, diamanti e idrocarburi.
Il 6 luglio 2022 a Luanda, il Presidente congolese Felix Tshisekedi, quello ruandese Paul Kagame e il loro omologo angolano João Lourenço si sono incontrati per cercare una soluzione. Kinshasa sostiene che i ribelli siano sostenuti dal Ruanda, ma Kigali nega. Il cessate-il-fuoco stabilito durante l’incontro non è stato attuato. Il conflitto ha provocato una nuova crisi umanitaria che ha ulteriormente esasperato la popolazione congolese.
L’ultima ondata di violenza ha infatti spinto decine di migliaia di persone ad abbandonare le proprie case in cerca di relativa sicurezza in diverse parti del Paese. Le persone in fuga sono state esposte a violenze, campi e negozi sono stati abbandonati e numerosi bambini sono stati separati dalle loro famiglie.
Ma i gruppi armati non solo l’unico moltiplicatore di violenza nel Paese. Un documento delle Nazioni Unite, inviato al Ministro della Difesa nel febbraio 2022, accusa i soldati congolesi di “almeno 231 violazioni” dei diritti umani commesse tra il 6 maggio 2021 e il 9 febbraio 2022 nel Nord Kivu.
L’esercito congolese si sarebbe macchiato di attacchi, rapimenti, reclutamento e utilizzo di minori, violenze sessuali e torture. Gli esecutori sarebbero i soldati del 3.410esimo reggimento delle Forze Armate della Rdc, che erano di stanza nella Regione.
Per cosa si combatte
La Repubblica Democratica del Congo è stata più volte definita “uno scandalo geologico” a causa dell’abbondanza smisurata di materie prime che possiede sia sul suolo che nel sottosuolo: diamanti, coltan, oro, cobalto, rame, niobio. A questo si aggiungo legnami pregiati, biodiversità, vastità di terre coltivabili. Questa estrema ricchezza suscita da sempre gli appetiti più sfrenati.
Il conflitto che da oltre venticinque anni affligge il Paese si può riassumere come un intreccio di avidità, corruzione, illegalità, malapolitica e di etnicismi.
Al centro sempre la contesa per il controllo del ricco territorio, in particolare dell’Est, al confine con Burundi, Ruanda e Uganda. Tre Stati con i quali il Paese ha rapporti di vicinato non ottimali. Sullo sfondo si muovono le grandi potenze: Stati Uniti, Francia e Cina.
Dal 1994, nella Rdc si è susseguita una ininterrotta serie di conflitti, alcuni dei quali hanno origini durante gli anni del mobutismo (1965-1997). Sono quindi attivi conflitti nelle regioni del Kasai, dell’Ituri e del Nord Kivu, del Kivu meridionale, del Katanga.
All’ordine del giorno anche la repressione delle tante bande armate e dell’esercito governativo: si stima che le milizie e i movimenti armati attivi nel Paese superino abbondantemente il centinaio.
Quadro generale
La Repubblica Democratica del Congo (Zaire dal 1971 al 1997) ha conquistato la propria indipendenza dal Belgio nel 1960, cessando così di essere la colonia personale di Re Leopoldo II. È il Paese francofono più popoloso al Mondo, con più di 90milioni di abitanti. Sono oltre 200 i gruppi etnici che vi vivono. Insieme, i popoli mongo, luba, congo (bantu) e mangbetu-azande rappresentano circa il 45% della popolazione.
Da quando esiste, la Rdc è stata attraversata da momenti più o meno lunghi di crisi, guerra e scontri. I problemi sono ancora tutti irrisolti. Dal 1994, inoltre, il Paese è scosso da guerre civili e conflitti con Stati confinanti. Permangono i focolai di guerriglia come pure il clima di violenza generalizzata, continua il saccheggio delle risorse e i livelli altissimi di corruzione. Lo stato di prostrazione del Paese, sia economicosociale che culturale, è ancora oggi in gran parte conseguenza delle politiche del vecchio dittatore Mobutu Sese Seko Kuku (fuggito da Kinshasa nel 1997): per 32 anni ha depredato sistematicamente le risorse e le casse dello Stato, ha accumulato immense fortune personali e ha lasciato andare verso la totale distruzione l’intero sistema-Paese.
Gli anni seguenti alla fine dell’era Kuku non sono andati meglio. L’arrivo di Laurent Desire Kabila padre al potere ha significato un solo anno di pace. Poi, la rottura dell’alleanza con il Ruanda e l’Uganda ha innescato il conflitto congolese (1998-2003), considerato la prima “guerra mondiale” africana per il coinvolgimento di otto diversi eserciti e le interferenze di molti Paesi e multinazionali occidentali. La Rdc è rimasta a lungo divisa in quattro macro-Regioni, riunificate solo con la fine del conflitto, costato (secondo le stime, dati certi non ce ne sono) da 4 a 5,5milioni di vittime.
Da allora e per tutto il periodo della presidenza di Kabila figlio, la pace vera e propria non è mai tornata. A fasi alterne, il Katanga, le regioni dell’Alto e Basso Kivu, l’Ituri e le quattro province del Kasai (cioè, i territori più ricchi di materie prime) sono stati segnati da scontri, violenza indiscriminata, cosiddetti conflitti “a bassa tensione” e su scala locale. L’arrivo al potere di Felix Tshisekedi dopo le elezioni del 30 dicembre 2018 non fu segnato dal sangue, ma il suo partito non aveva i numeri in Parlamento per poter governare e dovette così siglare un’alleanza con il predecessore Joseph Kabila. L’alleanza, secondo molti, ha bloccato ogni possibilità di cambiamento, almeno fino alla fine del 2020, quando la maggioranza è saltata e si è aperta una lunga crisi di Governo la cui soluzione ha richiesto mesi di trattative.
Escluso Kabila, la nuova coalizione maggioritaria, denominata “Union sacrée de la Nation”, include i partiti di Jean-Pierre Bemba e di Moise Katumbi, che prima erano all’opposizione. Il 15 febbraio 2021 è stato nominato primo Ministro Jean-Michel Sama Lukonde, che fino a quel momento era direttore generale della Gecamines, la società pubblica mineraria. Per sbloccare però la crisi politica in modo definitivo e raggiungere delicati equilibri si è dovuto attendere la nomina del nuovo Governo nell’aprile 2022. Sotto traccia, il Presidente Tshisekedi è riuscito a déboulonner (a svitare, come recitava il suo slogan) il partito di Kabila: l’abbandono di molti deputati ha eroso la cortina che Kabila stesso si era costruito come protezione.
Liberatosi della zavorra kabilista, al termine del primo Consiglio dei Ministri del nuovo Governo (tenutosi nella notte fra il 30 aprile e il primo maggio 2021), Tshisekedi ha annunciato una decisione inedita: proclamare lo stato d’assedio delle due Province più insicure del Paese, Ituri e Nord Kivu. Nonostante il tentativo di utilizzare per la prima volta l’Articolo 85 della Costituzione, che consente lo stato d’assedio quando “gravi circostanze minacciano l’indipendenza o l’integrità del territorio nazionale”, la situazione nelle due Regioni non è migliorata.
Anche su altri fronti la Repubblica Democratica del Congo continua a essere un territorio estremamente difficile: secondo la Banca Mondiale, nel 2022 il 70% dei congolesi vive sotto la soglia di povertà, una persona su tre soffre di fame acuta e l’aspettativa di vita si aggira intorno a 59 anni per gli uomini e 61 per le donne. C’è poi la questione crescita demografica: le stime dicono che entro il 2050 la popolazione aumenterà del 121%. Un ulteriore stress test per il Paese.