Burundi

Nonostante sporadici segnali di apertura e miglioramento, il Burundi rimane ancora oggi intrappolato nella crisi economica e politica scoppiata nel 2015, quando la popolazione scese in piazza per protestare contro il tentativo dell’allora Presidente Pierre Nkurunziza, già al potere da 10 anni, di candidarsi per un terzo mandato. Il dissenso popolare fu brutalmente represso dalle forze armate e dagli alti funzionari del Governo: la violenza provocò 1.200 morti e attirò l’attenzione della comunità internazionale sul Paese. L’Unione Europea e gli Stati Uniti imposero sanzioni economiche. Anche se partite dal basso e segnate da una sorprendente coesione fra hutu e tutsi, le proteste del 2015 non furono in grado di eliminare dalla scena politica Nkurunziza, che rimase al potere fino alle elezioni del 2020 e morì poco dopo. Nei suoi anni al governo, Nkurunziza ha vanificato le conquiste democratiche ottenute dopo la fine della guerra civile nel 2005, spostando il Paese verso una politica sempre più autoritaria e reprimendo qualsiasi forma di opposizione al suo potere. Oggi a guidare il Burundi è Évariste Ndayishimiye, ex generale dell’esercito e Ministro degli Esteri, eletto nel 2020 in una tornata elettorale segnata da un’ampia campagna di repressione. Nonostante la violenza contro i membri dell’opposizione fosse leggermente diminuita all’indomani delle elezioni, secondo la Commissione d’Inchiesta inviata nel Paese dalle Nazioni Unite le uccisioni, le sparizioni, le torture, le detenzioni arbitrarie e le molestie nei confronti di coloro che si oppongono al Governo sono continuate per tutto il 2021. Ndayishimiye si è impegnato a recuperare parte della credibilità persa negli anni precedenti mostrando una maggiore apertura rispetto al suo predecessore. Nel 2021 ha graziato più di 5.200 prigionieri e ha diminuito la repressione sull’informazione. La sua strategia ha riscosso successo: a novembre 2021, gli Stati Uniti hanno revocato le sanzioni al Paese, seguiti a febbraio 2022 dall’Unione Europea, che ha accettato di riprendere il dialogo politico con il partner africano nel tentativo di normalizzare le relazioni deterioratesi dopo il 2015. Le preoccupazioni per le violazioni dei diritti rimangono però alte. Continuano gli omicidi e i rapimenti a sfondo politico da parte della polizia. I crimini commessi nel 2015 dalle forze dell’ordine rimangono impuniti e a settembre 2022 Ndayishimiye ha arbitrariamente sostituito il primo Ministro e diversi membri del suo Governo, accusati di aver cospirato un colpo di Stato contro di lui. Intanto diversi incidenti hanno sottolineato la mancanza di sicurezza in molte aree del Paese. A settembre 2021, l’esplosione di diverse granate è stata segnalata nelle città di Gitega e Bujumbura. Qualche giorno dopo, tre colpi di mortaio lanciati dal gruppo ribelle Red-Tabara hanno colpito l’aeroporto internazionale di Bujumbura: è una delle diverse azioni del movimento nel Paese. Attacchi di gruppi armati sono stati segnalati anche a Cibitoke e in altre Province al confine con la Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Ad agosto 2022, il Burundi ha accettato di inviare le sue truppe nella Rdc come parte della nuova missione regionale creata dagli Stati dell’Africa Orientale. Non è una sorpresa: il Burundi confina con la Rdc dove le sue formazioni militari, già silenziosamente dispiegate da diversi mesi, inseguono i ribelli di Red-Tabara.