Iraq

Situazione attuale e ultimi sviluppi

«Baghdad come Capitol Hill» titolavano alcuni giornali il 28 luglio 2022 dando conto dell’invasione del Parlamento iracheno avvenuta il giorno prima da parte dei sadristi (i seguaci del politico e religioso sciita Muqtada al-Sadr). Tale avvenimento era così paragonato all’assalto dell’anno precedente al Senato statunitense, ad opera dei sostenitori dell’ex Presidente Donald Trump. La protesta non violenta irachena contestava la nomina a premier del filo-iraniano Mohammed al-Sudani, che aveva ottenuto la maggioranza relativa (74 seggi su 329) alle elezioni dell’ottobre 2010 con il partito al-Sairoun e che è ritenuto corrotto e inadeguato dai sadristi. Nonostante gli appelli alla calma lanciati da al-Sadr, la protesta è diventata violenta e armata, estendendosi all’intera Zona Verde, una cittadella fortificata della capitale Baghdad sede di edifici governativi e ambasciate straniere.

Nelle strade sono comparsi veicoli blindati e artiglieria leggera, con lanci di granate e razzi Rpg, riportando l’Iraq sul baratro di una guerra civile. Gli scontri si sono rapidamente estesi ad altre zone del Paese, tra cui le città di Nassiriya, Bassora e Kirkuk, vedendo contrapporsi violentemente sul terreno le milizie sciite: quelle filo-iraniane affiliate alla Hashd ash-Shaabi e le Saraya al-Salam sadriste, cui si è aggiunto l’intervento delle forze di sicurezza irachene. Numerose le vittime civili, a causa di spari sulla folla. Dopo aver chiesto per mesi elezioni anticipate, al-Sadr ha condannato le violenze, annunciando un ritiro dalla politica al quale credono in pochi.

Sul fronte economico, la disoccupazione resta alta e i salari molto bassi. L’Iraq è in difficoltà anche nell’approvvigionamento di carburanti per il consumo interno, mentre prospera il contrabbando. In forte e rapido aumento i prezzi degli alimenti, in alcuni casi addirittura raddoppiati visto che l’Iraq importa circa il 50% del proprio fabbisogno, scontando la crescita globale dei costi. A questo vanno aggiunte la siccità, il caldo torrido e le numerose tempeste di sabbia. C’è poi la carenza di risorse idriche: i laghi Sawa e Hamrin si sono prosciugati, mentre la portata dei fiumi Tigri ed Eufrate si è dimezzata rispetto agli anni Settanta, anche a causa della costruzione di dighe e ai prelievi in Turchia e Iran. Nel 2019, le Nazioni Unite hanno classificato l’Iraq come il quinto Paese più vulnerabile al Mondo ai cambiamenti climatici e alla desertificazione. La situazione è negativa anche sul fronte della sicurezza, con 130 attacchi rivendicati dal sedicente Stato Islamico (Isis) soltanto nel primo quadrimestre del 2022.

Per cosa si combatte

La crescente influenza iraniana è al centro delle proteste di piazza che da tre anni animano il Paese. La repressione delle milizie filo-iraniane, con uccisioni mirate e rapimenti di attivisti, resta impunita. Una delle più grandi sfide politiche dei prossimi Governi sarà proprio nel riportarle sotto il controllo delle autorità. La loro principale richiesta è il ritiro delle truppe statunitensi. L’Iraq è così diventato terreno di scontro tra Stati Uniti e Iran. La tensione tra i due Paesi ha toccato il suo apice il 3 gennaio 2020, quando Qasem Soleimani, il comandante iraniano delle brigate al-Quds (una delle cinque forze che compongono la Guardia Rivoluzionaria iraniana), è stato assassinato dal missile di un drone statunitense sganciato sul suo convoglio nella zona dell’aeroporto di Baghdad. Gli interessi iraniani (e statunitensi) in Iraq sono molti. Nel 2016, le milizie sciite filo-iraniane (addestrate e armate dall’Iran) avevano contribuito alla caduta del sedicente Stato Islamico attorno a Mosul, prima che le forze speciali irachene (addestrate e guidate dall’Occidente con gli Usa in testa) entrassero nella città per liberarla dai seguaci dell’autoproclamatosi califfo al-Baghdadi. Dall’uccisione di Soleimani, gli attacchi missilistici contro la Green Zone a Baghdad e le basi militari irachene che ospitano personale di sicurezza straniero sono aumentati, mettendo a rischio anche i molti civili che lavorano nelle strutture.

Quadro generale

Gli attacchi terroristici con autobombe e kamikaze, soprattutto nella capitale Baghdad, sono diminuiti: l’Iraq è diventato, almeno da questo punto di vista, un luogo relativamente tranquillo per la popolazione. Dopo la caduta del sedicente Stato Islamico nel dicembre 2017 e il ritorno di tutte le città irachene sotto il controllo del Governo centrale e delle milizie vicine ad esso, la situazione interna sembrava migliorare notevolmente. Ma la percentuale di povertà e malessere sociale nel Paese non si è mai ridotta, nonostante l’Iraq sia uno dei maggiori produttori di petrolio. Il potere che molte milizie sciite pro-Iran hanno acquisito dalla caduta dell’Isis, divenendo di fatto capaci di controllare molte aree del Paese e della Capitale, ha amplificato quel senso di malessere, esploso definitivamente nell’ottobre 2019 quando migliaia di giovani hanno cominciato a protestare nelle principali città contro le interferenze esterne, puntando il dito soprattutto contro Teheran. Gli arresti arbitrari, i rapimenti e le uccisioni mirate di attivisti e giornalisti da parte di forze governative e milizie associate hanno portato alle dimissioni del Governo in carica e alla nomina a primo Ministro, nel maggio 2020, di Mustafa al-Kadhimi.

Nell’ondata di violenze che ha colpito il Paese dall’ottobre 2019 a metà 2021 sono morte oltre 560 persone tra manifestanti e forze di sicurezza. Gli abusi contro i manifestanti sono rimasti quasi sempre impuniti.

L’Iraq è da tempo terreno della disputa tra Usa e Iran, i due principali finanziatori del Paese. Verso la fine del 2019 le milizie sciite filo-iraniane che avevano combattuto l’Isis hanno iniziato a protestare contro le basi statunitensi istituite nel Paese per quella guerra. Dopo l’uccisione di un contractor americano a Kirkuk (27 dicembre 2017), gli Usa avevano risposto con raid aerei in Siria e Iraq contro postazioni di Kata’ib Hezbollah (milizia sciita-irachena filo-iraniana), uccidendo 25 miliziani e ferendone 55. Il 31 dicembre, un gruppo di dimostranti era riuscito a penetrare nell’ambasciata Usa a Baghdad e a incendiare una torre di guardia, issando sui muri le bandiere della Kata’ib Hezbollah. Il 3 gennaio 2020, all’1 del mattino, un drone statunitense colpisce un convoglio che transita nei pressi dall’aeroporto di Baghdad. Sul convoglio c’è Qasem Soleimani, uno dei militari più potenti dell’Iran, comandante della brigata al-Quds (una unità della Guardia rivoluzionaria)me stratega militare sia dell’esercito iraniano sia del Presidente siriano Bashar al-Assad, oltre che delle milizie pro-Iran in Iraq. Soleimani era responsabile dell’addestramento dei miliziani da mandare a combattere. L’attacco, definito da Donald Trump un successo, scatena le forze iraniane che, l’8 gennaio del 2020, lanciano 30 missili balistici contro basi Usa in Iraq, ferendo 109 persone.

Intanto, la pandemia da Covid-19 ha ulteriormente colpito la già fragile economia irachena. Il Ministero delle Finanze ha stimato che circa 7 dei 40milioni di iracheni riceve un salario o una pensione dal Governo. A causa della crisi del petrolio, le entrate del Governo, che ottiene dalla vendita dell’oro nero il 97% dei fondi per il pagamento degli stipendi pubblici, sono crollate del 47,5% nel 2020. Per questo motivo, salari e pensioni sono stati pagati in modo discontinuo, acuendo il malessere economico e sociale. Le ripercussioni della pandemia e la volatilità del prezzo del petrolio stanno continuando ad aggravare i problemi economici dell’Iraq. Il Pil ha subito una forte contrazione nel 2020, mettendo sotto pressione le casse statali.

Secondo l’Agenzia Onu per i Rifugiati (Unhcr), decenni di conflitto e violenze hanno creato dal 2014 oltre 3,3milioni di sfollati interni, il 18% della popolazione. Al momento, oltre 6milioni e mezzo di iracheni necessitano di assistenza umanitaria e di questi 3milioni sono bambini. Ma l’Iraq ospita anche circa 300mila sfollati di Paesi confinati, prevalentemente civili in fuga dalla Siria. Il 10 ottobre 2021 si sono tenute nuove elezioni che hanno portato in Parlamento due blocchi: la coalizione Salvare la Patria, guidata dal religioso Muqtada al Sadr (quasi 200 seggi), e il Quadro di Coordinamento, guidato dall’ex primo Ministro Nuri al Maliki (88 parlamentari). A causa di un mancato accordo tra i due schieramenti, al momento di scrivere l’Iraq è ancora senza un Governo.