Situazione attuale e ultimi sviluppi
L’inasprirsi del conflitto in Ucraina ha consentito al Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan di rilanciare il suo progetto del 2014 teso a creare una zona “cuscinetto” lungo il confine tra Turchia e Siria. Larga 30 chilometri e lunga 480, partirebbe a Est del fiume Eufrate per arrivare fino all’Iraq. Nella guerra tra Kiev e Mosca, il dodicesimo Presidente della Turchia, ininterrottamente al potere da 19 anni, ha poi giocato la carta del mediatore tra le due parti. Sfruttando questo ruolo che si è ritagliato, Erdoğan mira ora a prendere il posto della Russia nel Nord della Siria, controllando tutta la zona di confine con Ankara. Un’operazione che ha subordinato anche al via libera turco all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, mentre la stessa creazione della zona cuscinetto era già stata oggetto di un accordo Turchia-Usa raggiunto nell’agosto 2019. A partire dal 2016, Erdoğan ha già condotto tre operazioni militari transfrontaliere con truppe di terra nei cantoni curdo-siriani. Nell’ultimo anno ha intensificato gli attacchi condotti dal proprio territorio, diretti anche contro postazioni militari del Regime centrale di Damasco. Tra i motivi di queste manovre c’è la volontà turca di mettere fine all’esperimento (unico in Medio Oriente) del confederalismo democratico della Rojava, così da togliere ai curdi la possibilità di avere una terra tutta loro nel Kurdistan siriano. A ciò si aggiunge il tentativo di impedire ai curdi turchi dell’organizzazione politica e paramilitare del Partito del Lavoratori del Kurdistan (Pkk) di continuare a far base in quei territori per proseguire la lotta armata in Turchia. Il Pkk si era stanziato in quelle aree dieci anni fa, quando gli Stati Uniti si erano affidati alle Unità di protezione popolare (Ypg), costola siriana del Pkk, per combattere sul terreno il sedicente Stato Islamico (Isis). Nella zona cuscinetto che intende realizzare, Erdoğan ha inoltre in programma di costruire nuovi insediamenti abitativi nei quali trasferire forzatamente almeno uno degli oltre tre milioni di profughi siriani fuggiti dal loro Paese a partire 2011, dopo lo scoppio della guerra in Siria, e da allora residenti in territorio turco. Al posto delle unità curde, il controllo di quella “fascia di sicurezza” verrebbe affidato da Ankara alle milizie arabe e turcomanne alleate della Turchia.
Ancora riguardo alle operazioni transfrontaliere turche, ci sono poi le oltre 4.000 azioni militari che l’esercito turco ha condotto nel Kurdistan iracheno a partire dal 2015, provocando numerose vittime civili. L’ultima in ordine di tempo, denominata “Claw Lock” e avviata a inizio 2022, ha portato le forze armate di Ankara a pochi chilometri da alcune importanti città di quella Regione autonoma irachena, inclusa la capitale Erbil.
Per cosa si combatte
Quella del popolo curdo è una lotta su più fronti per l’autodeterminazione, l’autonomia e il riconoscimento della propria identità e dei diritti civili e politici, tuttora negati all’interno dei quattro Stati in cui è costretto a vivere. Anzi, i Governi di Iran, Turchia, Siria e dell’Iraq dell’era del rais Saddam Hussein hanno sempre cercato (seppure in modi e fasi diversi) di negare la stessa esistenza di questo popolo. Tentando di cancellarne cultura, storia, lingua, attuando repressioni spesso sanguinose. Numerose sono le battaglie in loro favore di attivisti, organizzazioni per i diritti umani (come Human Rights Watch) o delle istituzioni europee: la Commissione contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa ha ad esempio più volte denunciato come in Turchia non siano garantiti ai curdi diritti basilari, quali quello di espressione, assemblea e associazione. Anche per questo, nel novembre 1978, proprio in quel Paese è nato il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (meglio noto come Pkk), fondato da Abdullah Öcalan, incarcerato dal Governo di Ankara fin dal 1999 e condannato alla pena di morte (poi commutata in ergastolo). Praticamente nell’intera Regione curda, oggi sono attivi partiti e unità combattenti che si ispirano agli ideali di questa organizzazione paramilitare sostenuta delle masse popolari. Per i suoi metodi di lotta, compresi attentati dinamitardi e kamikaze (con vittime anche civili), il Pkk è ritenuto un’organizzazione terrorista da Turchia, Stati Uniti e Unione Europea.
Quadro generale
I curdi sono un popolo iranico di lingua indoeuropea e il quarto gruppo etnico più numeroso del Medio Oriente, che vive in una Regione in gran parte montuosa. La maggioranza, circa 12milioni di persone, si trova in Turchia, in un’area di circa 250mila kmq (pari a quasi il 30% del territorio turco). Altri 6milioni di curdi vivono in Iran, 4milioni in Iraq, un milione in Siria. A questi, se ne aggiungono all’incirca altri 300mila nelle vicine ex Repubbliche che formavano l’Unione Sovietica, come Armenia e Azerbaigian. Qualche altro milione di curdi forma poi la diaspora all’estero, principalmente (ma non solo) in Germania e Austria. Un numero cresciuto enormemente negli ultimi anni, anche a causa dei migranti e richiedenti asilo causati dalla guerra. Se la Regione curda, spalmata tra 4 Paesi molto diversi tra loro, fosse unita politicamente, riuscendo a mettere fine alle divisioni interne, sarebbe la nazione più ricca del Medio Oriente. Il territorio del Kurdistan può infatti contare su numerose materie prime: petrolio, minerali, risorse idriche. Questo è il motivo per cui i Paesi sotto i quali ricade non vogliono rinunciare alla loro fetta di Territorio.
Con la fine della Prima Guerra Mondiale sembrò possibile la nascita di uno Stato curdo indipendente. A prevederla era il Trattato di Sèvres: l’accordo di pace firmato il 10 agosto 1920 per mettere fine al conflitto stabiliva infatti la creazione di un Kurdistan autonomo nell’AnatoliaOrientale. Il Trattato non venne però rispettato, soprattutto a causa della forza della Repubblica turca, nata sulle ceneri dell’Impero Ottomano. Il Trattato di Losanna del 1923 ha cancellato quello di Sèvres e spartito i territori abitati dai curdi tra Turchia, Iraq, Iran e Siria. In seguito alla Prima Guerra del Golfo (1991), condotta contro l’allora dittatore iracheno Saddam Hussein da una coalizione internazionale, gli Usa istituiscono una “no fly zone” per impedire rappresaglie militari di Baghdad dal cielo. Questa azione diede ai curdi iracheni la possibilità di sperimentare l’autogoverno. La Seconda Guerra del Golfo, ancora una volta ad opera di una coalizione internazionale a guida Usa, nel 2003 porta alla caduta del Regime Hussein: l’Iraq riconosce ufficialmente l’autonomia del Kurdistan iracheno, inserita due anni dopo nella nuova Costituzione nazionale. Nel 2017, nella Regione autonoma del Kurdistan iracheno viene organizzato un referendum non vincolante sulla definitiva indipendenza. Iraq, Turchia, Stati Uniti e Iran sono contrari, ma il 93% della popolazione vota per il sì. La reazione del Governo federale iracheno non si fa attendere: l’esercito regolare occupa militarmente i territori contesi, isolando completamente l’Area e riuscendo così a rendere inefficace l’esito della votazione popolare. Il 25 ottobre 2017 il Governo curdo torna così sui propri passi, accontentandosi dell’autonomia già ottenuta.
Sulla base di quanto avvenuto nel Kurdistan iracheno, nel 2012 si creano le condizioni favorevoli alla nascita di una Regione autonoma di fatto anche in quello siriano: la Rojava. A determinarle, la guerra civile prima e il ritiro delle forze governative dalle zone del Paese abitate dalla minoranza curda poi, quindi il successivo avvento del sedicente Stato Islamico. Il modello di auto-organizzazione della Rojava, alternativo a quello del Kurdistan iracheno, esperimento di confederalismo democratico laico unico in tutto il Medio Oriente. Ma, fin dall’inizio, viene ritenuto una minaccia dal potente vicino turco membro della Nato. Così, appena avuto campo libero grazie al ritiro dei militari statunitensi dall’Area in seguito alla fine della guerra ai jihadisti del Daesh, le forze militari turche entrano in Rojava. Nel 2018 occupano il cantone di Afrin, con l’operazione “Ramoscello d’ulivo”. L’anno successivo, si aggiunge la più estesa offensiva militare “Sorgente di pace”. L’obiettivo ufficiale di Ankara è creare lungo il confine tra Turchia e Siria una zona cuscinetto (frutto di un accordo del 2019 tra Turchia e Usa) larga 30-32 chilometri e lunga 480. Quello ufficioso, fare terra bruciata sia al Pkk fondato da Öcalan (accusato da Ankara di aver fatto base in questi anni nella libera Rojava) sia alle affiliate milizie curde siriane dell’Unità di Protezione Popolare (Ypg). Il tutto, impedendo la creazione in Siria di una Regione autonoma curda, con la quale, a differenza di quella irachena, la Turchia non hai mai intrattenuto rapporti o, peggio ancora, fatto affari.