Mali

Situazione attuale e ultimi sviluppi

Il 30 giugno 2023, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha votato all’unanimità per porre fine alla missione di pace MINUSMA, attiva in Mali dal 2012. Il ritiro dei caschi blu dovrà essere completato entro la fine dell’anno. Il Ministro degli Esteri maliano Abdoulaye Diop indica una crisi di fiducia tra il Mali e le Nazioni Unite come motivo della fine della missione. Nel 2021, il governo militare del Mali ha firmato un accordo con il gruppo mercenario russo Wagner per sostenere la lotta contro i gruppi armati. Nonostante la recente crisi della Wagner, i governi occidentali temono un possibile rafforzamento dei legami tra il Mali e Mosca.
È un momento di transizione per il Mali: il risultato del referendum del 18 giugno ha visto il 97% dei voti a favore della nuova Costituzione della giunta militare. L’affluenza è stata solo del 39,4%, mentre alcune associazioni hanno riferito che la partecipazione al voto non ha superato il 28%. Il referendum del 18 giugno è il primo di una serie di votazioni che apriranno la strada alle elezioni presidenziali del febbraio 2024 per eleggere un governo civile. Tuttavia, la nuova Costituzione concede l’amnistia ai leader golpisti e aumenta significativamente i poteri del Capo dello Stato, il che significa che non si può escludere l’elezione dell’attuale leader della giunta, il colonnello Assimi Goïta.

Già nel febbraio 2022, il Presidente francese Macron ha annunciato la fine della missione militare francese in Mali. La notizia è arrivata nel contesto di un summit UE-Africa tenutosi a Bruxelles e non ha riscosso l’appoggio dei sei Capi di Stato africani presenti.

La presenza francese in Mali risaliva al 2013, voluta dall’allora Presidente Hollande per impedire che la capitale Bamako finisse in mano ai fondamentalisti e giustificata anche a livello europeo per bloccare l’avanzata dei jihadisti e controllare le rotte dei migranti.

La decisione di Parigi è il risultato anche della situazione interna del Paese africano: due colpi di Stato hanno portato al governo personaggi ostili alla Francia. Le tensioni hanno portato all’espulsione dell’ambasciatore francese. A Bamako non è raro vedere scritte anti-francesi e nel Paese cresce l’influenza di Mosca: è presente il gruppo paramilitare Wagner. Intanto, nell’agosto 2022 anche la Germania ha ritirato il proprio contingente militare.

L’Ue, Francia inclusa, non intende comunque abbandonare del tutto il Mali e il Sahel: intende valutare un ridispiegamento militare regionale per proseguire la lotta al terrorismo nell’Area. L’ultimo attacco jihadista in Mali risale alla metà di giugno 2022: 132 vittime uccise a Mopti, nel Centro del Paese. Il Governo ha accusato Katiba Macina, un’organizzazione vicina ad al Queda. Ma funzionari locali descrivono scene di uccisioni sistematiche anche a Diallassagou, al confine con il Burkina Faso e in due cittadine del Centro. Parlano di case e capanne bruciate, razzie e rapimenti.

Il Mali è sprofondato in una crisi di sicurezza, politica e umanitaria causata soprattutto dalle insurrezioni jihadiste a partire dal 2012. Nei primi tre mesi del 2022, 543 civili sono stati uccisi, tre volte di più rispetto al 2021. L’azione di contrasto del Governo centrale non è sufficiente, perché le autorità non controllano vaste aree del Paese, soprattutto al Centro.

Nonostante questo, il 15 maggio 2022 la giunta militare che guida il Paese ha annunciato il suo ritiro dall’organizzazione G5 Sahel e dalla forza militare. Costituite rispettivamente nel 2014 e nel 2017, il loro scopo era e rimane contrastare i gruppi terroristici di matrice islamica nella Regione. La pericolosa decisione del Governo maliano è dovuta al rifiuto degli altri Paesi del G5 Sahel di assicurare a Bamako la presidenza del gruppo.

Questa situazione ha destato numerose preoccupazioni a livello internazionale, tanto da spingere il Segretario generale Onu Antonio Guterres a una dichiarazione pubblica a riguardo.

Per cosa si combatte

Il controllo delle risorse naturali, sempre più scarse a causa dell’aggravarsi degli effetti nefasti dei cambiamenti climatici (su tutti l’avanzamento del deserto), è alla base dei conflitti fra pastori seminomadi di etnia peul e agricoltori sedentari bambarà e dogon che insanguinano il Mali.

Anticamente, queste diatribe venivano risolte da capi tradizionali che oggi hanno perso legittimità tra le popolazioni del Centro-nord del Paese. Tale vuoto di potere, acuito dalla cronica assenza dello Stato centrale nelle zone periferiche, viene colmato e strumentalizzato da sigle neo-jihadiste, signori della guerra, narcotrafficanti e milizie etniche di autodifesa che proliferano nel Paese, causando il ristagno dei negoziati di Pace con i gruppi armati tuareg cominciati con la firma dell’Accordo di Algeri nel 2015.

Il controllo delle rotte regionali del narcotraffico (soprattutto cocaina sudamericana e oppiacei in transito dall’Asia verso i mercati europei), delle armi e della tratta di esseri umani (migranti) è uno degli obiettivi strategici dei gruppi jihadisti. Parallelamente, l’accaparramento delle ingenti ricchezze del Mali (soprattutto quelle minerarie, come petrolio, uranio, oro, gas naturale, ma anche acqua e terre coltivabili) è all’origine della crescente militarizzazione del Paese e dell’intero Sahel centrale, insieme a Niger e Burkina Faso. Un Paese e un’intera Regione oggi tornati prepotentemente al centro dello scacchiere geopolitico mondiale.

Quadro generale

La storia del Mali indipendente comincia nel Quadro generale 1960, con la fine del dominio francese.

Il Paese si estende su un territorio in gran parte desertico, abitato da diversi gruppi etnici, per lo più musulmani. La maggior parte della popolazione vive in contesti rurali, sotto la soglia di povertà. L’analfabetismo supera il 65%.

La grave situazione sociale è specchio di quella economica. Il debito estero sfiora i 5miliardi di dollari. Il Paese ha grandi giacimenti di bauxite, ferro, stagno e rame non ancora pienamente sfruttati. Altre sue risorse minerali sono oro, fosfati, uranio, petrolio e gas. In questo contesto si sviluppa il conflitto che soffoca il Mali dal 2012. Alla morte di Muhammar Gheddafi, un nutrito gruppo di soldati tuareg maliani è tornato dalla Libia in patria con le armi libiche e un rinnovato sentimento irredentista verso Bamako. Dopo aver unilateralmente dichiarato l’indipendenza dell’Azawad (regione a Nord del Mali) nell’aprile 2012, il Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad ha stretto alleanze con narcotrafficanti e jihadisti venuti da Algeria e Mauritania. Sono seguiti nove mesi d’occupazione del Nord del Paese, interrotti dall’intervento franco-ciadiano d’inizio 2013 a sostegno delle truppe maliane.

Il dispiegamento dei soldati francesi dell’Operazione Barkhane e degli oltre 13mila Caschi Blu della missione Onu Minusma (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali) non ha però riportato la pace. La presenza jihadista si è anzi espansa fino a raggiungere il Centro del Mali.

Il neo-jihadismo maliano è fomentato anche dall’esportazione sempre più preoccupante di wahabismo e neo-salafismo da Arabia Saudita e Qatar. Queste potenze, come Cina, India e Sud Africa, vogliono accaparrarsi le risorse di Stati fragili che, per far fronte all’insicurezza dilagante e alla cronica crisi economica, cercano nuovi partner militari e commerciali per smarcarsi dai vecchi padroni coloniali.

In Mali è infatti cresciuto in modo pressoché costante il sentimento anti-francese. Hanno approfittato della situazione anche Russia e Turchia, nuovi competitor di Parigi interessati alle ricche prospettive nella fornitura di armamenti aperte dalla guerra al terrorismo islamico.

La popolazione locale, fra l’incudine della militarizzazione e il martello del terrorismo, è allo stremo e si rifugia dietro la protezione di gruppi mercenari e milizie etniche di autodifesa che stanno insanguinando il Centro-nord del Paese. Qui, per effetto di una guerra che pare senza fine, la situazione umanitaria si è fortemente degradata: migliaia sono gli sfollati interni.

Effetto indesiderato della situazione sono stati due colpi di Stato militari in meno di nove mesi. Il primo ad agosto 2020, quando l’allora Presidente Keita viene deposto. Il secondo a maggio 2021, quando la giunta guidata dal colonnello Assimi Goïta è intervenuta dopo il tentativo di un rimpasto di Governo per riequilibrare i poteri civili dal Consiglio Nazionale di Transizione, che dovrebbe traghettare il Paese verso libere elezioni.  Il Consiglio è ora dei militari.

Diversi politici, attivisti e cittadini contrari alla svolta autoritaria della Giunta sono stati incarcerati. La comunità internazionale, l’Unione Africana, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, Francia e Usa hanno condannato il golpe e minacciato sanzioni. Francia e Usa hanno sospeso la cooperazione militare col Paese. Intanto, due settimane prima del golpe, l’Ue aveva preventivamente congelato i finanziamenti diretti al budget di Stato del Mali. Uno sciopero generale, iniziato dai funzionari pubblici che reclamavano mesi di stipendi arretrati, è poi scoppiato a Bamako.

Tutto inutile. E la repressione militare non è bastata a controllare il Paese, alle prese anche con gli strascichi della pandemia da Covid-19. Lo jihadismo è sempre pià attivo nella zona di confine tra Mali, Burkina Faso e Niger. Il Centro e il Nord continuano a sfuggire a Bamako, confermandosi feudo di sigle legate al Gruppo a Sostegno dell’Islam e dei Musulmani (branca maliana di al Qaeda) e allo Stato Islamico nel Grande Sahara. Continuano a proliferare altri gruppi armati, che soggiogano la popolazione del Centro-nord a quotidiane violenze e vessazioni. Le stesse perpetrate dal 2013 sui civili dall’esercito nazionale, come denunciato. da organizzazioni internazionali. A completare il quadro, la fine delle missioni militari di Parigi e l’uscita di Bamako dal G5 Sahel.