La nuova crisi nucleare nordcoreana e la vittoria del Partito conservatore in Corea del Sud si innestano nella situazione internazionale più critica vissuta dall’Occidente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: la guerra di Putin all’Ucraina e la deriva della “competizione strategica” di Washington con la Cina. Kim Jong Un, che dall’inizio del 2022 vede chiudersi le possibilità di dialogo con gli Usa, trova un nuovo modo per risvegliarne l’attenzione lanciando 18 missili di vario tipo (fino al 27 settembre 2022) e accelerando i suoi programmi nucleari. A settembre 2022 annuncia lo sviluppo di armi nucleari tattiche e il suo diritto a farne uso preventivamente. Nel marzo 2022, il Presidente sudcoreano Moon Jae In lascia il suo incarico non rinnovabile con la più alta percentuale di approvazione (44%) ricevuta da un Presidente della Repubblica di Corea a fine mandato. Vince le elezioni presidenziali per un soffio, lo 0,7%, Yoon Suk Yeol del Ppp (People Power Party), il partito conservatore che correva testa a testa col Partito Democratico. Da George W. Bush a Joe Biden, la strategia coreana accelera, ma non cambia nella sostanza e trova nel nuovo Presidente del Sud un docile, entusiasta alleato. Il principale obbiettivo dell’ex procuratore generale Yoon è smantellare qualsiasi cosa abbia fatto Moon. A cinque mesi dall’insediamento (maggio 2022), le sue quotazioni crollano al di sotto del 20%. Lotte intestine, scandali e manifesta incapacità minano la credibilità del Governo, che l’ex Procuratore ha formato ripescando i Ministri del penultimo Esecutivo conservatore non potendo attingere all’ultimo, franato anzi tempo (2016) con l’impeachment e la reclusione per sei anni della Presidente Park Geung Hye. Le elezioni successive avevano sancito l’indiscussa vittoria di Moon. La miopia di Yoon in politica estera è sorprendente. Si schiera in toto con gli Usa, mettendo a rischio gli essenziali rapporti politici ed economici del suo Paese con la Cina. Partecipa alla riunione Nato di Madrid (giugno 2022), in cui per la prima volta si definisce la Cina una “sfida strategica” e accoglie su suolo sudcoreano un secondo scudo antimissile voluto dagli americani, quando già il posizionamento del primo era stato osteggiato da Pechino e Mosca perché i suoi radar possono “spiare” nei loro territori. A Seul questo sgarbo era costato il boicottaggio cinese con la perdita di milioni di dollari. Yoon aderisce o appoggia le varie coalizioni anti-cinesi messe in piedi da Biden nell’Indo-Pacifico. Non è stato di routine poi l’incontro a Seul dei ministri degli Esteri sudcoreano e cinese ed è indicativa la mancanza di una conferenza stampa o di un comunicato congiunto al termine della visita. Yoon vuole mettere una pietra sopra ai numerosi contenziosi con il Giappone relativi al periodo della colonizzazione, ma è costretto a un passo indietro per la reazione compatta dell’opinione pubblica e di parte dei compagni di partito. Non mostra particolare lungimiranza nel provocare la Repubblica popolare di Corea (Rpdc, il Nord) dopo averla riqualificata “nemico” della Repubblica. In campagna elettorale aveva minacciato un attacco preventivo alla Trump (2017). Sottopone a Kim la sua “iniziativa audace”: smantellare tutti gli armamenti nucleari in cambio di aiuti economici. Vecchio copione dei vari Governi conservatori, che Kim rispedisce al mittente. Nei vari incontri tra Biden e Yoon spariscono gli impegni presi ai vertici più significativi del 2018 che avevano come traguardo la pace nella penisola: il summit di Panmunjom tra Moon e Kim e il vertice di Singapore fra Trump e Kim. I due leader non fanno cenno alla dichiarazione di pace che Moon ha caldeggiato anche nel suo ultimo discorso all’Onu. Una pietra angolare nella prospettiva di lungo termine: un trattato di pace per mettere fine alla guerra di Corea arrestatasi nel 1953 con un armistizio instabile. Anzi, le esercitazioni militari fra Usa e Corea del Sud sospese o ridotte nell’era Moon riprendono massicciamente e sono propagandate da Yoon, ben sapendo che la dinastia dei Kim le ha sempre considerate la prova generale di un’aggressione. Nella seconda metà di settembre 2022, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) denuncia con grande preoccupazione la preparazione e l’imminenza di test missilistici e atomici. Pochi giorni prima la Rpdc approva una legge che consente a Kim di aumentare il suo arsenale nucleare “il più velocemente possibile” e stabilisce che i progetti nucleari non hanno solo una funzione deterrente ma possono essere usati anche preventivamente. Infine, la norma definisce la Rpdc uno Stato nucleare. Come in passato, e va sottolineato, si lascia aperto uno spiraglio per eventuali colloqui: “Se non ci saranno cambiamenti nella situazione politica e militare attorno alla penisola”. Intanto Kim si schiera con Mosca fin dall’inizio dell’aggressione in Ucraina: primo Paese, con Russia e Siria, a riconoscere le due Province di Donetsk e Luhansk da marzo 2022. Un documento desecretato dei servizi segreti americani rivela che Kim sta inviando razzi e proiettili di artiglieria a Mosca in cambio di dollari. Kim smentisce. La reazione della Rpdc, il Paese più sanzionato al Mondo, quando si sente messo all’angolo è nota. Lo ricorda, quasi un monito alle grandi potenze, anche Michelle Bachelet, relatrice speciale della Commissione per i diritti umani nella Rpdc alla fine del suo incarico il 31 agosto 2022: “Se l’isolamento della Rpdc è radicato nella mancanza di comunicazione col Mondo esterno e la mancanza di fiducia fra Stato e Stato, si può infliggere un colpo durissimo alle varie situazioni dei diritti umani in Corea del Nord con un’escalation che aumenta i rischi di errori di calcolo e la probabilità di un conflitto militare”. Un giro di parole molto diplomatico per sostenere che la politica di apertura e dialogo tra Moon Jae In e Kim Jong Un aveva centrato il nocciolo del problema a settant’anni dalla Guerra di Corea. Negli ultimi mesi del 2022, gli Stati Uniti tornano alla politica ottocentesca delle cannoniere, con lo sguardo rivolto alla Cina.