Ucraina

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Situazione attuale e ultimi sviluppi

Al momento di andare in stampa, la situazione sui diversi fronti aperti in Ucraina è in continua evoluzione. Le forze armate russe, che hanno dato il via all’invasione del Paese il 24 febbraio 2022, sono nuovamente in difficoltà, cedendo lentamente ma inesorabilmente aree di territorio occupato alla liberazione da parte dei soldati di Kiev. Le ultime mosse di Mosca, dalla mobilitazione parziale all’annessione dei Territori occupati con dei referendum farsa, hanno da un lato mostrato la debolezza del Cremlino e dall’altro posto le basi per un’ulteriore, inquietante, escalation. Il rischio del ricorso ad armi nucleari tattiche da parte della Russia e dell’allargamento del conflitto con il coinvolgimento degli Usa e della Nato non è mai stato così concreto.

L’invasione voluta da Putin a inizio 2022 è stata l’ultimo tragico tassello di una guerra iniziata dalla Russia nel 2014 con l’annessione militare della Crimea (facendo ricorso a un referendum farsa sul tipo di quelli messi in atto da ultimo nel Sud e nell’Est dell’Ucraina) e con l’innesco del conflitto del Donbass. Guerra mai cessata, seppur estremamente ridotta nell’intensità dopo il cessate-il-fuoco del 2015. L’invasione su larga scala dell’Ucraina non solo è stata annunciata dalle informative dei servizi Usa (che nelle settimane precedenti avvertivanosul rischio concreto), ma è stata lungamente temuta da buona parte degli ucraini, Governo e forze armate comprese. Meno di un anno prima, infatti, quasi 100mila militari russi si erano ammassati ai confini orientali ucraini per quello che appariva un attacco imminente, fatto che aveva fatto alzare vertiginosamente il livello di allerta delle forze armate di Kiev. Quella volta, però, l’ordine non era stato dato.

I piani russi si sono subito scontrati con un’inattesa resistenza ucraina. L’azione militare delle prime ore, che nei progetti del Cremlino avrebbe portato alla conquista di Kiev in pochi giorni con l’impiego delle forze speciali, è stata sventata da un esercito motivato, reattivo e ben addestrato ed equipaggiato. Respinta dalla Capitale e dal fronte Nord, l’offensiva di Mosca si è spostata sul fronte orientale aperto in quel Donbass già occupato dalle autoproclamate Repubbliche separatiste e su quello meridionale, forte della presenza militare russa in Crimea. Ma anche lì, i successi delle prime settimane si sono sgonfiati sotto una determinata controffensiva ucraina. Questo scenario militare in continuo mutamento e senza alcuna prospettiva di de-escalation ha finora impedito qualsiasi tentativo di negoziato.

Da mesi i combattimenti si concentrano nella città di Bakhmut. La città è strategicamente importante dal momento che si trova vicino all’autostrada E40, che collega Kharkiv alla Russia. Se catturata, taglierebbe l’accesso russo alla parte occidentale del Paese. Dall’estate 2022 la battaglia di Bakhmut è diventata una guerra di posizione, con centinaia di migliaia di soldati che hanno perso la vita.

Il 17 marzo 2023, la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso un mandato di arresto nei confronti di Vladimir Putin per crimini di guerra in relazione alla deportazione illegale di bambini dai territori occupati dell’Ucraina alla Russia.

Sulla scena internazionale, la Finlandia è diventata ufficialmente un membro della NATO nell’aprile 2023. La nazione condivide più di mille chilometri di confine con la Russia, che ha dichiarato di voler rafforzare le sue difese militari nel nord. L’adesione ufficiale della Svezia non è lontana.

Da un lato, sembra inverosimile che l’esercito ucraino riesca a riconquistare il territorio perso dal 2014 e, dall’altro, l’esercito russo non sembra in grado di conquistare tutto il territorio dell’avversario. Per il momento, quindi, una rapida fine delle ostilità sembra improbabile.

Per cosa si combatte

L’invasione russa del 24 febbraio 2022 ha imposto una drammatica accelerazione al conflitto scoppiato nel 2014. Le forze armate ucraine combattono con il supporto militare di molte nazioni occidentali (prima fra tutte gli Stati Uniti) per respingere fuori dai propri confini i militari russi e liberare i territori occupati. Questo al momento non sembra riguardare la Crimea, ma non è escluso che possa in futuro coinvolgerla. Dalla controffensiva di Kiev sono invece coinvolte le Regioni delle autoproclamate Repubbliche separatiste, di recente annesse dalla Russia. Quelle Regioni del Donbass dove si era cominciato a combattere otto anni fa per cercare di evitare il ripetersi di quanto successo in Crimea. Benché i separatisti affermassero di combattere per la libertà del Donbass (a grossa componente etnica russa e ucraina russofona) contro quella che definivano un’aggressione militare da parte delle forze del Governo centrale, è innegabile che i primi leader della rivolta erano tutti cittadini russi, in molti casi appartenenti alle forze di sicurezza di Mosca. Se il fattore etnico e linguistico gioca sicuramente un ruolo nella guerra, non spiega tutto. Le regioni di Donetsk e Lugansk non sono infatti le sole Regioni dell’Ucraina ad avere una consistente presenza di abitanti ucraini russofoni e di etnia russa, e la risposta (non solo militare ma anche politica) di Kiev era riuscita a limitare per otto anni i separatisti in un’area estremamente circoscritta del Donbass, pari a circa il 7% del territorio nazionale.

Quadro generale

Fin dalla sua indipendenza nel 1991, l’Ucraina è stata un Paese in bilico tra l’Europa cui appartiene geograficamente e la Russia, con cui ha condiviso non solo il passato sovietico ma anche (soprattutto nelle Regioni dell’Est e lungo la costa del Mar Nero) una vicinanza storica e culturale. Con l’esclusione della breve esperienza della Rivoluzione Arancione nel 2004 che portò al governo delle forze europeiste, il baricentro di Kiev è stato quasi sempre spostato a Est. Le cose cambiano definitivamente con l’improvvisa marcia indietro del Presidente Viktor Janukovič sulla strada per l’Europa alla fine del 2013.

Le proteste nate dalla decisione di Janukovič di non firmare l’Accordo di Associazione con l’Unione Europea hanno portato migliaia di persone a occupare la piazza, giorno e notte. I moti hanno preso il nome di EuroMaidan, dalla centrale Maidan Nazaležnosti (Piazza Indipendenza) di Kiev e dalla voglia di Europa degli ucraini. Le manifestazioni sono andate avanti per settimane, nonostante i tentativi della polizia antisommossa di rimuovere le barricate e il freddo pungente dell’inverno di Kiev.

Il culmine è arrivato a fine febbraio, quando 84 manifestanti sono morti sotto i colpi dei cecchini. Il bilancio definitivo di oltre tre mesi di EuroMaidan è stato di 103 morti tra i manifestanti e 13 tra i poliziotti. Il risultato, la fuga in Russia di Janukovič e la formazione di un nuovo Governo. È qui che ha avuto inizio la seconda fase della crisi ucraina del 2014. In risposta alla formazione del nuovo Esecutivo e alla svolta filoeuropea di Kiev, la Russia, con un’operazione di maskirovka (guerra sotto copertura), ha preso possesso delle strutture strategiche in Crimea, appoggiato l’organizzazione di un referendum farsa sull’indipendenza.

Ha annesso così la Penisola alla Federazione, in meno di un mese. Oltre alla presenza militare della flotta nel Mar Nero, che sarebbe stata messa in discussione da un eventuale futuro ingresso dell’Ucraina nella Nato, le ragioni a favore dell’operazione riguardano la storia recente. La Crimea, a maggioranza di etnia e lingua russa, fu “ceduta” all’Ucraina solo nel 1954 per volere di Nikita Kruščëv, quando i confini interni dell’Urss erano poco più che segni sulla carta.

L’annessione, formalizzata il 21 marzo, non è stata riconosciuta dalla comunità internazionale e la Crimea, di fatto sotto il controllo della Russia, resta formalmente un territorio conteso. L’ondata filorussa, e anti Maidan, si è espansa oltre la Crimea, investendo anche le Regioni dell’Est comprese nel bacino del Don, il cosiddetto Donbass.

Anche lì, uomini armati di provenienza non soltanto locale hanno preso il controllo delle istituzioni, indetto un referendum sul modello della Crimea e dichiarato l’indipendenza di due nuove entità, le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk (le città capoluogo delle due Regioni più grandi del Donbass). Il Governo centrale ha risposto con un’operazione militare per la riconquista del territorio, che si è cristallizzata nell’attuale guerra a bassa intensità attorno alla linea di frizione stabilita dagli Accordi di Minsk.

Senza la Crimea e con le Regioni dell’Est (industrializzate e ricche di materie prime) sottratte al controllo del Governo, quel che restava dell’Ucraina ha intrapreso con decisione la strada europea. Nel 2014, Kiev ha firmato il fatidico Accordo di Associazione con l’Unione Europea, da cui tutto aveva avuto inizio, voltando (forse per sempre) le spalle alla Russia. Nel 2016 è poi arrivata la firma dell’accordo per la Deep and Comprehensive Free Trade Area (Dcfta), l’area di libero scambio conseguente all’Accordo di Associazione, che ha dato nuovo impulso all’economia attraverso gli scambi commerciali con l’Unione Europea. Si sono intensificati i rapporti con i principali Paesi occidentali nell’ambito dell’economia, dello state building, dei diritti. Ma soprattutto della difesa. L’addestramento militare delle forze armate ucraine e la fornitura di armi ad altissimo contenuto tecnologico prevalentemente dagli Stati Uniti hanno radicalmente trasformato il livello di difesa del Paese, la sua capacità reattiva e la sua efficacia. Elementi che hanno fatto la differenza sin dai primi giorni dell’invasione russa, quando Kiev è riuscita a respingere l’attacco delle forze speciali di Mosca alla Capitale, e che sta tuttora facendo la differenza contro un’armata russa in continuo arretramento.