Situazione attuale e ultimi sviluppi
Nel maggio 2022, circa 100 persone sono morte durante gli scontri tra i lavoratori di una miniera informale nel distretto montuoso di Kouri Bougoudi, a Nord del Paese. L’Area è da tempo zona di tensioni anche tra l’esercito ciadiano e gruppi ribelli, tra cui il Fronte per l’alternanza e il cambiamento (Fact), accusato dell’uccisione dell’ex Presidente Déby.
La situazione è stata argomento di discussione tra il Presidente de facto del Ciad Mahamat Déby e il Presidente del Consiglio presidenziale libico al Manfi durante due vertici straordinari dell’Unione Africana tenutisi sempre nel corso di maggio 2022. I due leader si sono detti desiderosi di rafforzare la cooperazione bilaterale, soprattutto in materia di sicurezza. Al Manfi ha espresso a Déby la sua solidarietà per gli scontri, avvenuti non lontano dal confine libico, attribuendoli alla proliferazione di armi nella Regione.
L’estrazione dell’oro genera violenza anche nella regione di Tibesti, nella parte Nord-occidentale del Paese, a confine con Libia e Sudan. Anche qui si trovano minatori in rivolta e gruppi armati desiderosi di impadronirsi del prezioso minerale. Tra questi, il Comité d’autodéfense de Miski: formato da veterani e disertori dell’esercito nazionale, la sua pericolosità è dovuta anche ai contatti che alcuni suoi membri ancora mantengono con soldati regolari e ufficiali delle forze armate del Paese.
L’ong italiana Ara Pacis si sarebbe offerta per iniziare un dialogo di pace tra gli attori attivi nella Regione. Non ha ancora ricevuto risposte dal Governo Déby, mentre la Francia (ancora molto attiva in Ciad) non vedrebbe di buon occhio la sua ingerenza, ritenendo l’organizzazione troppo vicina ai servizi segreti italiani. Le fanno eco altri partner stranieri del Paese.
Ad aggravare la situazione generale del Ciad è anche la guerra in Ucraina, che ha causato la riduzione delle forniture e il conseguente aumento dei prezzi di cereali e fertilizzanti. All’inizio di giugno 2022, N’Djamena ha proclamato lo stato di emergenza alimentare. Già alla fine del 2021, la Banca Mondiale aveva calcolato che gli individui in condizione di grave insicurezza alimentare erano 970mila. Per fronteggiare il deficit di raccolti insoddisfacenti, a gennaio 2022 il Governo aveva bloccato le esportazioni di cereali e semi, negoziando aiuti internazionali per oltre 500milioni di dollari. La situazione si è però ulteriormente aggravata, tanto che la previsioni parlano di una raddoppio dei malnutriti entro la fine dell’estate 2022.
Per cosa si combatte
In Ciad si combatte da anni per il controllo delle terre in scontri fratricidi e intercomunitari tra le oltre 200 etnie del Paese, da Nord a Sud. Il conflitto per il controllo dei pascoli e l’irruzione del bestiame nei campi coltivati provocano ogni anno tensioni fortissime tra allevatori e agricoltori, tensioni che spesso sfociano nel sangue.
Si combatte per il controllo delle risorse, soprattutto oro e uranio nel Nord, tra vari gruppi armati che si contendono la Regione. Alcuni di questi minacciano il potere centrale, che interviene spesso con l’esercito per contenere queste mire espansioniste. Ne è esempio il recente caso del Fronte per l’alternanza e la concordia del Ciad (Fact), la cui discesa verso la Capitale ha causato fortissimi scontri con le forze armate nazionali nella regione occidentale del Kanem, centinaia di morti e prigionieri di guerra e l’uccisione del Presidente Idriss Déby.
Si combatte per il potere tra i vari clan dell’etnia zagahwa, in cui la fame delle ricchezze divide gli appetiti tra gli eredi. Non scorre buon sangue tra il nuovo uomo forte del Paese, Mahamat Idriss, e suo fratello Zacaria, che si considera vero erede perché figlio di Hinda Déby, prima moglie del defunto Presidente.
Il Ciad è molto impegnato militarmente nel contrastare il fenomeno del terrorismo jihadista con il gruppo del G5 Sahel, il quadro istituzionale di coordinamento e monitoraggio della cooperazione regionale in materia di politiche di sviluppo e sicurezza.
Quadro generale
Dopo una storia da ex colonia francese, il Ciad è diventato indipendente nel 1960. Nel settembre dello stesso anno, è entrato nell’Onu. Sembrava l’inizio di una transizione pacifica che presagiva un futuro di stabilità.
Il primo Presidente, eletto l’11 agosto del 1960, è stato François Tombalbaye. Deluse presto le speranze del Paese: il suo Governo si trasformò in una guida autoritaria. Solo due anni dopo la sua elezione, aveva messo al bando i partiti e cominciato una forte repressione contro chi considerava oppositori politici. Il malcontento cresceva e in più di un’occasione il Governo dovette sedare rivolte interne.
Nel 1966, nel Sudan, fu fondato il Fronte Nazionale per la Liberazione del Ciad (Frolinat). Il gruppo di ribelli imbracciò le armi contro il Governo dando inizio a una sanguinosa guerra civile, proseguita anche dopo il colpo di Stato militare del 1975, quando Tombalbaye fu ucciso e il generale Félix Malloum, guida della Giunta militare, divenne il nuovo capo del Governo.
Nell’impossibilità di annientare la guerriglia del Frolinat, nel 1978 Malloum decise di nominare premier il leader dei ribelli Hissène Habré. L’anno successivo, le forze del Frolinat e l’esercito di Malloum si scontrarono apertamente a N’Djamena. Malloum fu costretto alla fuga e il Paese scivolò in una crisi interna ancora più profonda, in cui giocavano una parte numerose fazioni ribelli.
La situazione scivolò fuori controllo. L’Onu intervenne e traghettò il Ciad alla firma, nell’agosto 1979, di un trattato di pace (Accordo di Lagos) che permetteva la formazione di un Governo di transizione che avrebbe dovuto guidare il Paese a elezioni politiche. A capo di questo Governo, il Presidente Goukouni Oueddei, mentre Habré fu nominato Ministro della Difesa.
Dopo diciotto mesi, la situazione era però immutata e gli scontri continuavano a imperversare. Per tutto il corso degli anni Ottanta, la stabilità interna del Ciad fu minata da una serie di colpi di Stato.
Nel 1990, un disertore dell’esercito di Habré, Idriss Déby, riuscì con un golpe a instaurare un nuovo Governo, di cui egli stesso divenne Presidente per oltre trent’anni.
La situazione del Paese si aggravò dal 2003, quando migliaia di rifugiati in fuga dalla guerra civile in Darfur hanno iniziato a entrare in Ciad. Il 23 dicembre 2005, il Governo ciadiano dichiarò ufficialmente lo stato di guerra contro il Sudan. Alla base della decisione, una lunga serie di violenti scontri lungo il confine tra i due Paesi ai danni delle popolazioni che abitavano la frontiera. Nel 2010, i due Paesi hanno firmato un accordo di pace.
Negli anni di governo di Idriss Déby, i gruppi ribelli hanno cercato in diversi momenti e modi di rovesciare il Regime per conquistare il potere. Il Paese è rimasto così preda di violente tensioni e l’instabilità è ancora costantemente in aumento, soprattutto dall’aprile 2021, quando fu ucciso lo stesso Presidente durante scontri nella Capitale tra l’esercito e il Fact.
Dopo la sua uccisione, la guida del Paese è diventata una contesa tra militari clanici legati all’etnia zaghawa.
Le lotte tra i diversi gruppi zaghawa, che trovano spesso il loro teatro naturale nel territorio ciadiano al confine con il Sudan, erano parte integrante del “sistema Déby”. I diversi sottoclan non erano favoriti allo stesso modo, alcuni anzi vivevano discriminazioni molto evidenti. La più grave ha coinciso con l’incursione delle guardie presidenziali a N’Djamena nella dimora di Yaya Dillo, candidato alle presidenziali di aprile 2021 e cugino del Presidente. L’agguato ha provocato l’assassinio della madre di Dillo e di uno dei suoi figli: una crepa tremenda all’interno della famiglia Déby, che ne è uscita con le ossa rotte, e un evento che ha segnato una militarizzazione della campagna elettorale al punto da costringere alcuni storici oppositori al boicottaggio. Il malcontento e la divisione avevano coinvolto anche i settori più profondi dell’esercito ciadiano, all’interno del quale Déby esercitava la repressione contro tutti i soldati che rivendicavano i loro diritti. Inviati in difficili interventi nel Sahel o contro i ribelli nel Nord del Paese, i militari hanno diritto a premi in denaro. Déby ne tratteneva i due terzi. Chi si lamentava era eliminato. Déby perciò non godeva dell’appoggio pieno nemmeno delle forze di sicurezza nazionali.
Dalle schermaglie familiari, politiche e militari esce vincitore Mahamat Déby. Suo il compito di guidare un Paese in profonda e costante crisi.