Etiopia

Situazione attuale e ultimi sviluppi

Alla fine di giugno 2022, è tornata a crescere la tensione tra Etiopia e Sudan. L’esercito di Khartoum ha avviato un’offensiva nel Distretto di al-Fashaga, zona di frontiera tra i due Paesi, dopo che i corpi di sette suoi soldati sono stati pubblicamente esposti dalle forze etiopi. L’area di al-Fashaga, vicina al Tigrai, è coinvolta nelle dinamiche del conflitto esploso nella Regione tra 2020 e 2021. In base a un accordo del 2008, l’amministrazione del Distretto compete a Khartoum, ma gli etiopi possono coltivarvi terre.

Dal 2022 l’area è sede di frequenti scontri tra soldati sudanesi e forze regolari ed etniche etiopi. Il Sudan ha comunicato che porterà il caso all’Onu, mentre l’Unione Africana ha invitato le parti al dialogo. La strada per la riappacificazione appare lunga. Gli attriti tra Etiopia e Sudan sono parte di una crisi regionale che comprende la guerra nel Tigrai, la situazione in Eritrea e gli ambiziosi piani energetici di Addis Abeba che hanno scatenato la contesa sulla gestione delle acque del Nilo. Pochi giorni prima di al-Fashaga, il 18 giugno 2022, centinaia di persone sono state uccise in un attacco terroristico a Tole, nel distretto di Gimbi, nella regione etiope dell’Oromia. Il massacro di civili è uno dei più sanguinosi degli ultimi anni: si contano tra le 260 e le 320 morti. Ha preso di mira la minoranza amhara ed è stato attribuito alla milizia ribelle Esercito di liberazione oromo, che smentisce il suo coinvolgimento e accusa le forze filogovernative.

Un anno fa i ribelli oromo si erano uniti a quelli del Fronte popolare di liberazione del Tigrai in un’offensiva contro le forze ufficiali. Dal novembre 2020, nel Nord del Paese è in corso una guerra civile che ha già causato migliaia di morti. E un’arma sempre più utilizzata dalle forze regolari contro i ribelli tigrini è la fame. Consapevole che il tentativo di prendere il Tigrai con la forza avrebbe provocato migliaia di vittime e nessuna garanzia di successo, l’esercito di Addis Abeba ha circondato la Regione e bloccato tutte le scorte di cibo. Dopo anni di scontri, i tigrini hanno esaurito i loro rifornimenti. Alla fine di giugno 2022, almeno due dei sette milioni di abitanti del Tigrai soffrivano di carenza estrema di cibo e la popolazione era costantemente affamata.

Per cosa si combatte

Secondo Addis Abeba, il Fronte di liberazione del popolo tigray (Tplf) è un’organizzazione terroristica che destabilizza il Paese dopo averlo derubato e oppresso per oltre un quarto di secolo e va eliminata. Il Parlamento etiope l’ha messo fuorilegge a novembre 2020 e ha addotto questa ragione per internare o sospendere dalle mansioni funzionari pubblici originari del Tigrai e i soldati impegnati come Caschi Blu nel contingente in Somalia e Sudan. Ha inoltre arrestato (per poi rilasciarli dopo le proteste) i giornalisti tigrini che collaboravano con le poche testate internazionali cui è stato permesso l’accesso in Tigrai. L’obiettivo di Abiy è sconfiggere i nemici del progetto di centralizzazione del potere e di ridefinizione dell’architettura costituzionale per combattere il federalismo etnico che, a suo dire, ostacola la modernizzazione, la stabilità e lo sviluppo del Paese. Ha assegnato allo Stato amhara una fetta di Tigrai sottratto nel 1995 dal Tplf (Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè), mentre diverse Aree sono occupate dagli eritrei. Per il Tplf, l’attacco di Abiy è stato progettato dal leader eritreo Afewerki e dalle élite regionali amhara unite dal desiderio di impossessarsi del territorio tigrino. Gli amhara, etnia degli ultimi Negus e del gruppo dirigente del Derg (la ex giunta militare etiope), si sono opposti al Governo ultraventennale del partito tigrino. Pur essendo diviso internamente tra gruppi più o meno inclini al conflitto, il Tplf si è unito sul progetto nazionalista di indipendenza da raggiungere con le armi e ha ripreso a coltivare il vecchio sogno del grande Tigrai, che includerebbe una futura annessione dell’Eritrea.

Quadro generale

Il 3 novembre 2020 scoppia la guerra in Tigrai, che vede opporsi il Governo centrale e il Tplf, alla guida della Regione Nord-occidentale. È una guerra di cui si sa poco, per il blackout elettrico e tecnologico indotto dalle autorità. Ed è una guerra arrivata quasi a sorpresa: il Mondo credeva l’Etiopia in pace, dopo la conclusione della decennale guerra contro l’Eritrea nel 2018. Le radici vanno cercate proprio in quell’anno. Dopo tre anni di proteste di piazza represse violentemente, soprattutto negli Stati federali dell’Oromia e dell’Amhara, nell’aprile 2018 Abiy Ali Ahmed succede all’esponente del Tplf Haile Mariam Desalegn, il cui partito è accusato di corruzione e di aver saccheggiato la nazione nei venticinque anni di governo. Abiy proviene dall’esercito ed è il leader del Partito democratico oromo, primo premier di quell’etnia della storia: la sua figura rassicura i giovani manifestanti anti-Tplf.

Nel giugno 2018, il neo Premier accetta l’accordo di pace siglato ad Algeri nel 2000 con l’Eritrea e mette fine a un conflitto durato vent’anni. L’alleanza politico-militare tra Abiy e il dittatore eritreo Isaias Afewerki si rivela fondamentale nel conflitto del Tigrai, dato che il Tplf è nemico di entrambi.

Nel 2019, Abiy lavora anche alla distensione dei rapporti con Somalia e Gibuti, ma non è capace di sanare i problemi interni all’Etiopia.

Sul piano economico, accelera la discontinuità col passato dirigista sposando una visione più liberista, confermata nel dicembre 2019 dal rafforzamento dell’accordo con il Fondo monetario internazionale, imperniato su aggiustamento strutturale e stabilizzazione finanziaria, contenimento della spesa pubblica, deregulation e liberalizzazione. L’Etiopia resta però un’economia a basso reddito con larghe sacche di povertà. Milioni sono e rimangono senza lavoro.

 

Sul piano politico, Abiy punta a centralizzare il poteri dei dieci Stati federali, che tuttavia possono scegliere la secessione e sono dotati di proprie milizie secondo quanto stabilisce la Costituzione. Questo quadro genera malcontento: molte sono le contestazioni al leader, dai giovani soprattutto.

La tensione sociale spiega la determinazione di Addis Abeba ad avviare la Grande Diga del Rinascimento sul Nilo, che può generare l’elettricità necessaria a sostenere lo sviluppo industriale nazionale. Ma l’acqua serve anche a irrigare i campi di Sudan ed Egitto, che si oppongono al megaprogetto. I continui colloqui non hanno portato ancora a nulla.

Il Tplf, principale oppositore della centralizzazione, esce dal Governo quando Abiy fonda il nuovo Partito della prosperità. È il dicembre 2019. Lo scoppio della pandemia porta il Premier a rinviare le elezioni politiche nazionali al giugno 2021. Tigrai, Oromia e altri Territori del Sud sono esclusi dall’appuntamento elettorale. Il Tplf lo sfida apertamente, aprendo i seggi a settembre 2020: vince le elezioni con il 98% dei consensi.

La tensione cresce e il 3 novembre l’assalto delle milizie del Tplf a una base federale in Tigrai scatena il conflitto armato.

l 21 giugno 2021 si sono tenute le elezioni politiche nel Paese. Il partito di Abiy ha stravinto. Ma correva senza opposizioni. Quindi, in novembre 2021 scoppia la fase acuta della guerra in Tigrai che si trasforma presto in una guerriglia combattuta anche dagli alleati di Abiy.

Fino a febbraio 2021, l’Etiopia ha negato la presenza sul suo territorio di truppe eritree, schierate con le milizie regionali amhara e afar, tradizionali nemici dei tigrini. Ugualmente, ha negato gli attacchi a quattro campi Unhcr abitati da profughi eritrei fra dicembre 2020 e inizio 2021, campi che sono stati distrutti e dai quali sono state deportate in Eritrea almeno 10mila persone. È stato il primo di una lunga serie di crimini contro l’umanità a essere documentati. Gli altri sono stati i massacri di civili e gli stupri di gruppo, tutti imputati alle truppe asmarine da numerose organizzazioni per i diritti civili come Amnesty International e Human Rights Watch. I tigrini accusano anche gli Emirati Arabi di averli bombardati con droni decollati in Eritrea. Addis Abeba ha sempre definito il conflitto “operazione di polizia interna” e respinto ogni mediazione internazionale.

Nel frattempo, in Tigrai è esplosa l’emergenza umanitaria, aggravata dalle progressive difficoltà di accesso di aiuti e operatori umanitari. I report di Onu, Croce Rossa e Msf indicano che a metà 2021 solo il 27% degli ospedali funzionava e che molte scuole erano state distrutte e trasformate in campi per sfollati. Sono 60mila i fuggiti in Sudan nei vecchi campi Unhcr, mentre gli sfollati interni sono 2milioni su 7milioni di tigrini. A maggio 2021, il 90% della popolazione aveva bisogno di aiuti d’emergenza. La crisi del Tigrai è ancora in corso.