Situazione attuale e ultimi sviluppi
Nell’aprile 2022, c’è stato l’ennesimo attacco terroristico. Lo scenario è stata la spiaggia del Lido di Mogadiscio, molto frequentato dai somali. Un attentatore ha cercato di entrare nel ristorante dove si trovavano sette deputati e il capo della polizia per ucciderli.
Quando le guardie del corpo gli hanno impedito di accedere, ha innescato l’esplosivo fuori dal locale. I deputati e il capo della polizia sono rimasti illesi, ma l’esplosione ha causato otto morti e tredici feriti. L’attacco è stato rivendicato dal gruppo islamista Al-Shabab.
Mogadiscio era stata colpita da un altro attentato la settimana prima: diretto contro la sede del Parlamento, ha causato sette feriti.
A giugno 2022, almeno cinque persone (tra cui due bambini) sono rimaste uccise in un raid aereo effettuato dall’aviazione militare keniota in diverse aree della regione di Ghedo, nel Sud del Paese. L’attacco ne segue un altro, che ha colpito una comunità di pastori.
L’Area è diventata uno degli scenari principali degli scontri mortali tra forze keniote e militanti di Al-Shabaab. Le aree bombardate sono abitate soprattutto da popolazioni nomadi sospettate di ospitare i combattenti islamici, che hanno guadagnato numerosi territori in tutto il Paese negli ultimi mesi.
La vera emergenza della Somalia è però la fame. Otto delle diciotto Regioni rischiano di rimanere senza cibo a causa della grave siccità che ha colpito il Corno d’Africa e della guerra in Ucraina, che ha diminuito la disponibilità di cereali, farine e fertilizzanti facendone crescere a dismisura il prezzo.
A lanciare l’allarme per la Somalia è l’Onu, che denuncia la morte di centinaia di bambini per malnutrizione e malattie. Il numero di persone colpite da insicurezza alimentare è salito dai 4,5milioni di maggio a 7milioni di giugno 2022. La crisi che deve affrontare il nuovo Presidente somalo è pertanto molto grave.
Le elezioni presidenziali si sono tenute a maggio 2022 e hanno consegnato la carica a Hassan Sheikh Mohamud, già alla guida del Paese tra il 2012 e il 2017. Il voto si è svolto in un contesto di insicurezza generale, in un hangar protetto nell’areoporto della Capitale.
Per cosa si combatte
In origine, nel 1991, il conflitto è scoppiato per abbattere la dittatura di Siad Barre. Presto, la guerra civile è diventata una lotta tra clan guidati da signori della guerra. Dai primi anni 2000, si è trasformata ancora, assumendo una pseudo-matrice religiosa: scomparsi i warlord, il potere è gradualmente passato nelle mani delle Corti Islamiche che, applicando un modello tradizionale di giustizia e di gestione politica, sono riuscite a pacificare alcune aree del Paese. Si è trattato di un esperimento interessante interrotto troppo presto. L’ultimo decennio (ma soprattutto a partire dal 2012) è stato caratterizzato dall’affermazione del movimento terrorista degli Shabab, decisamente più radicalizzati rispetto alle vecchie Corti. Il loro obiettivo è la conquista del Paese e l’instaurazione della sharia.
La presenza della missione dell’Unione Africana Amisom ha indebolito il movimento, che di fronte alle sconfitte sul campo, pur continuando a controllare ancora vaste zone rurali nel Sud del Paese, ha adottano da tempo la tattica di ritirarsi in aree più remote, infiltrando i propri miliziani tra la popolazione civile e nelle città e intensificando gli attentati.
Nel novembre del 2017, è stato annunciato il progressivo disimpegno dei 22mila militari dell’Amisom, ma finora c’è stata solo una lieve riduzione. Nel gennaio del 2021, gli Stati Uniti hanno ritirato i propri uomini dalla missione Onu presente in Somalia.
Quadro generale
La Somalia raggiunge l’indipendenza nel 1960, unificando il Centro-sud amministrato dall’Italia e il Nord (il Somaliland britannico).
Fino al 1969 il Paese ha un Governo legittimamente eletto. Poi, il colpo di Stato militare: Siad Barre impone un regime di ispirazione marxista. Nel 1977, la Somalia muove guerra contro l’Etiopia per conquistare l’Ogaden, Regione etiopica con un’alta presenza di popolazione somala. Un conflitto per il Paese disastroso, conclusosi con una cocente sconfitta e un impoverimento generalizzato. Il Regime diventa sempre più dispotico e poco tollerato. Molti oppositori vengono arrestati e incarcerati, altri fuggono all’estero. Il Governo di Barre cade nel 1991.
Nello stesso anno, il Somaliland proclama l’indipendenza. Inizia così uno dei periodi peggiori della storia somala: la guerra di tutti contro tutti, signori della guerra, clan, bande rivali. Il Paese subisce una balcanizzazione.
Le Nazioni Unite danno vita alla missione Unosom per creare un margine di sicurezza per l’invio di aiuti umanitari. L’Italia prende parte al contingente internazionale con il compito di controllare l’area di Mogadiscio. È la prima volta in cui una ex potenza coloniale prende parte a una missione Onu in luoghi dove aveva possedimenti. La missione fallisce e cessa nei primi mesi del 1994.
Gli anni successivi saranno caratterizzati da una progressiva frammentazione del territorio da parte dei signori della guerra. La situazione alimenta traffici illeciti di tutti i tipi, dalle armi ai rifiuti pericolosi, dalla droga alla tratta di esseri umani, fino alla formazione dei campi di addestramento delle milizie jihadiste. Alcune aree della costa diventano basi di partenza e approdo dei pirati.
Molte sono state le trattative di pace messe in atto, ma concluse ogni volta con un nulla di fatto. Solo nel 2004 è nominato un Parlamento di transizione che elegge Presidente Abdullahi Yusuf Ahmed e un Governo federale di transizione (Tfg).
Nel 2006, a seguito di scontri con i Signori della guerra, le Corti Islamiche ottengono il controllo di Mogadiscio e buona parte della Somalia meridionale. Il Tfg, che nel frattempo aveva ottenuto la tutela dell’Onu, lancia allora la controffensiva: con l’aiuto di esercito etiopico e militari della Regione autonoma del Puntland, Mogadiscio è riconquistata in poco tempo. Nel 2012, l’Assemblea Nazionale Costituente approva la nuova Costituzione: nasce così la Repubblica Federale Somala. Dal febbraio 2017 è Presidente del Paese Mohamed Abdullahi Mohamed, detto Farmajo.
Le ottimistiche prospettive di una democratizzazione del Paese svaniscono presto. Le elezioni sono rinviate sine die, mentre lo stallo ha eroso il consenso intorno a Farmajo. Nell’aprile 2021, come risposta alle dimissioni forzate del primo Ministro Khaire e all’approvazione parlamentare della proroga di due anni del mandato presidenziale, nella Capitale sono esplose violente dimostrazioni che hanno accresciuto l’insicurezza del Paese.
All’instabilità politica e alla massiccia presenza del terrorismo islamico, si sono poi aggiunte ulteriori minacce, quali l’epidemia da Covid-19, l’invasione delle locuste, le inondazioni e le carestie dovute alla crescente siccità.
E l’intensificazione degli attentati nelle zone urbane. La pericolosità di Al-Shabab è aumentata dalla situazione interna al gruppo. Una sua parte (minoritaria) si è scissa: mentre l’organizzazione è sempre stata vicina ad al Qaeda, i fuoriusciti si sono dichiarati fedeli all’Isis. Da fine 2018, le due bande hanno cominciato a taglieggiare la popolazione e le imprese per autofinanziarsi.
Un’altra importante questione sono i i rapporti tra Somalia e Paesi della Penisola arabica. Il Presidente Farmajo ha sempre cercato di mantenere una posizione di neutralità nelle tensioni tra Qatar e Arabia Saudita ed Emirati Arabi, tensioni che si manifestano nella guerra in Yemen. Una linea che però rischia di essere scardinata dalla politica di investimenti della Turchia, che nel 2020 ha sottoscritto ulteriori accordi militari per addestrare truppe somale e ha accresciuto gli investimenti nel Paese.