Situazione attuale e ultimi sviluppi
In Siria, la Turchia sta cercando di prendere il posto della Russia nell’appoggio al Governo di Bashar al-Assad. Per farlo, nel corso dell’ultimo anno il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha tenuto colloqui in varie sedi, tra cui il vertice del Movimento dei Paesi non allineati (svoltosi a ottobre 2022 nella capitale serba Belgrado) dove ha incontrato il suo omologo siriano, Faisal Mekdad. La parola d’ordine lanciata a quei tavoli da Ankara è “riconciliazione”, ovvero un alquanto improbabile riavvicinamento tra il Regime di Damasco e l’opposizione che undici anni fa diede vita alla guerra civile in Siria. La proposta è stata rispedita al mittente dall’opposizione, che ricorda i crimini (tutti documentati) commessi dal Governo centrale durante la guerra: l’uso di armi chimiche, il dossier Caesar (le foto sul trattamento che il Regime ha riservato ai suoi oppositori incarcerati) e le varie stragi compiute nelle città siriane.
Intanto, terminati gli scontri sul terreno e sconfitto militarmente lo Stato Islamico (Isis), la popolazione soffre la grande difficoltà del Governo a fornire servizi di base adeguati. Il sistema sanitario è al collasso, quello educativo in frantumi, mentre gli aiuti internazionali raggiungono la Siria col contagocce. La Russia chiede la loro gestione diretta da parte del Regime di Damasco, così da impedirne la distribuzione nelle aree controllate dai ribelli.
Intanto, si continua a morire. Secondo l’ultimo rapporto del Syrian Network for Human Rights, soltanto nel primo semestre del 2022 ben 568 civili (tra cui 114 bambini) sono rimasti uccisi dalle violenze. In quel report viene chiesta l’applicazione della Risoluzione Onu 2254 che prevede il cessate-il-fuoco, oltre all’apertura di un’indagine da parte della Corte Penale Internazionale per giudicare i crimini di guerra commessi dalle parti. Nel frattempo, continuano i raid aerei da parte di Stati Uniti e soprattutto Israele, tesi a colpire le postazioni delle milizie filo-iraniane alleate di Damasco. Si aggiungono quelli di Russia ed esercito siriano nelle aree sotto il controllo dei ribelli, come Idlib. Al momento di scrivere, nel Nord-est della Siria sono presenti circa 900 uomini delle forze speciali statunitensi a supporto delle Forze Democratiche Siriane (Sdf), che raggruppano miliziani delle Ypg curde e formazioni composte da tribù arabe locali. L’obiettivo è contrastare quanto resta dello Stato Islamico e controllare carceri e campi profughi nei quali si trovano affiliati e simpatizzanti dell’Isis.
Per cosa si combatte
Nel marzo 2011, sulla spinta delle cosiddette “Primavere arabe”, i giovani hanno cominciato a scendere in strada per chiedere la caduta del Regime. Inizia così la guerra siriana, come una rivoluzione che si trasforma rapidamente in un conflitto tra le forze governative e i gruppi ribelli supportati economicamente e militarmente dalle organizzazioni dei Fratelli Musulmani all’estero. Entrata in stallo, la guerra prende una piega religiosa, diventando sempre più settaria: la maggioranza sunnita del Paese contro la setta alauita del Presidente Assad. Nel marzo/aprile 2014, il conflitto si radicalizza ulteriormente. Mentre i russi offrono supporto militare al Regime, gli iraniani e le milizie sciite di Hezbollah entrano a pieno titolo nella guerra in difesa dei luoghi sacri sciiti e del Regime. Sul lato opposto, i gruppi radicali sunniti, fino ad allora rappresentati da Jabat al-Nusra, cominciano a proliferare fino a creare il sedicente Stato Islamico (Isis). Logorati dal conflitto, in molti hanno aderito al Califfato proclamato dall’Isis sui territori conquistati. Nel frattempo, la minoranza curda, militarmente autorganizzatasi nelle Ypg (maschili) e Ypj (femminili), ritenute ideologicamente vicine al Pkk turco, inizia a conquistare territori nel Nord-est. Qui forma la Rojava, nella quale i curdi siriani vedono la possibilità di creare un loro territorio indipendente, alternativo a quello autonomo del Kurdistan iracheno.
Quadro generale
La famiglia Assad controlla la Siria dal 1971, quando Hafez al-Assad (padre dell’attuale Presidente Bashar) diventa Presidente e stabilisce un regime autoritario e totalitario sotto il controllo del partito Baath. Nel marzo 2011, sulla spinta delle rivolte arabe, anche in Siria iniziano le proteste contro il Governo. Il 18 marzo 2011, in quello che fu poi chiamato “il venerdì della dignità”, migliaia di persone scendono in piazza. L’esercito apre il fuoco a Daraa, nel Sud del Paese, uccidendo due ragazzi. Era l’inizio della rivoluzione siriana.
Migliaia di studenti iniziano a inondare le strade delle città siriane manifestando contro la dittatura della famiglia Assad. Università e moschee in tutto il Paese diventano l’epicentro della rivolta. Il Regime, nella convinzione di poter fermare l’onda di dissenso, ricorre alla violenza. Lo scontro si trasforma in conflitto armato quando molti disertori dell’esercito formano quello che per anni ha combattuto sotto il cappello del Free Syrian Army, l’esercito libero siriano. Era l’estate 2011 e si profilavano le parti in lotta: da un lato, l’esercito regolare siriano e, dall’altro, i “ribelli” di quello libero siriano.
A guidare e finanziare questi ultimi soprattutto i Fratelli Musulmani e i loro leader, in maggioranza banditi dalla Siria ed esiliati all’estero, i quali avevano appoggiato i movimenti popolari già all’inizio delle rivolte per cercare legittimità tra la popolazione civile. Il logorante conflitto, i repentini cambi di alleanze delle forze coinvolte, la difficoltà nel vedere un futuro migliore manifestata da molti giovani che avevano imbracciato le armi (con conseguenze enormi sulle loro vite) hanno poi aperto il campo all’estremismo islamico del Fronte al-Nusra prima e del sedicente Stato Islamico (Isis) poi, oltre che ad una galassia di altre sigle islamiste fedeli all’autoproclamatosi califfo al-Baghdadi.
L’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani ha calcolato che nel 2021 le persone uccise e identificate nel conflitto erano oltre mezzo milione. Dodici anni dopo l’inizio della guerra, secondo la Croce Rossa Internazionale l’80% dei siriani vive sotto la soglia di povertà. I danni a ospedali, scuole, case e infrastrutture sono incalcolabili. In alcune aree densamente popolate manca tuttora l’acqua potabile.
La maggior parte del Paese è andata distrutta nella guerra. L’inquinamento ambientale dato da 11 anni di conflitto è elevato e ancora tutto da valutare. La pandemia da Covid-19 non ha risparmiato neppure la Siria, complicando una situazione già drammatica.
Nel 2017 Zeid Ra’ad al-Hussein, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ha definito la Siria «il peggior disastro causato dall’uomo dopo la Seconda Guerra Mondiale», con 9,3milioni di persone che patiscono l’insicurezza alimentare e 4,5milioni di bambini che soffrono la fame.
Il Governo siriano di Bashar al-Assad, l’esercito nazionale supportato dagli Hezbollah libanesi, le milizie iraniane e la Russia (che offrono sostegno e personale militare sul campo) controllano la maggior parte del Paese.
Tra le poche aree non sottoposte al loro controllo c’è quella di Idlib, rimasta nelle mani delle formazioni militanti salafite, a partire da quelle dell’ex Fronte al-Nusra. Hay’et Tharir al-Sham (Hts) è il cappello sotto il quale si sono riunite alcune tra le prime organizzazioni qaediste che combattevano in Siria al fianco dell’esercito libero siriano all’inizio della rivoluzione.
Dopo le operazioni turche Scudo dell’Eufrate e Ramoscello d’ulivo del 2017 e Sorgente di pace del 2019, l’Esercito nazionale siriano, supportato e finanziato dalla Turchia, controlla le zone cuscinetto a Nord della Siria e a Nord di Aleppo sul confine turco. Qui, sta cercando di mettere fine alla Rojava, l’unione nel confederalismo democratico dei quattro cantoni curdo-siriani nel Nord del Paese. A difendere quelle aree, le Forze democratiche siriane nate nel 2015 e considerate dalla Turchia un’organizzazione terroristica al pari del Pkk: sono formate dall’alleanza di milizie curde (Ypg e Ypj), arabe, assirosiriache e di altre minoranze (armene, cecene e turkmene).
C’è poi l’Isis, gruppo jihadista salito alle cronache nel 2014 dopo la conquista di larga parte della Siria e la proclamazione del Califfato (caduto nel marzo 2019): non controlla più territori ma compie ancora attacchi suicidi in alcune aree che aveva conquistato.