Dentro il Myanmar: viaggio nelle zone liberate dove la giunta birmana non ha potere

Testo e foto di Alessandro De Pascale e Theo Guzman
logo-per-internet-footer-1-e1488465079413

Una scoscesa strada sterrata si stacca dalla carreggiabile in un dedalo di curve che scendono al fiume Tiau che segna il confine tra lo Stato indiano del Mizoram e il Myanmar. Non è una strada segnata sulle carte ma è una delle decine di via d’accesso che consentono di attraversare la frontiera nei punti dove il fiume, prima di ingrossarsi nell’imminente stagione delle piogge, consente il passaggio delle auto dove l’acqua è bassa e il flusso rallenta. Tiau è incuneato nelle valli scoscese di una regione che, prima delle guerre anglo birmane e prima che il Raj britannico diventasse India, erano luoghi amministrati da piccoli principati indipendenti. Di qua e di là del Tiau dunque, vive la stessa gente: i Chin in Myanmar e i Mizo nel Mizoram. Stessa gente con nomi diversi, che parla dialetti che appartengono tutti alla famiglia linguistica tibeto-birmana. E’ anche per questo che il confine è poroso: consente a chi scappa dai bombardamenti in Myanmar di trovare dai cugini del Mizoram un porto sicuro. Il governo dello Stato chiude un occhio e non deve pensarla proprio come l’esecutivo di Delhi che, non solo sostiene la giunta militare birmana che ha preso il potere nel febbraio del 2021, ma vende a Naypyidaw le armi che le servono a combattere la resistenza armata che si oppone al golpe.

Superato il confine, ci appaiono le prime case matte dove i militari dalla Chin National Army tengono d’occhio il fiume. Avanti qualche chilometro, e dopo aver attraversato il primo villaggio, si arriva al Check Point della Cna dove, nel buio pesto della notte, un giovanissimo militare scruta le carte dei lasciapassare. E’ il controllo obbligato per entrare a Camp Victoria, una delle cinque basi dell’esercito Chin. Forse la più grande. Camp Victoria è stato bombardato in gennaio e non mancano gli allarmi aerei. E’ strutturato come una vera grande caserma, con aree per l’addestramento per le reclute – uomini e donne -, mense, sartoria e una sorta di villaggio di appoggio, distanziato dall’area prettamente militare, dove vivono alcuni famigliari dei soldati. Anche quest’area è stata bombardata e praticamente distrutta. Ci sono i resti di metà villaggio e una struttura medica disastrata. E’ l’anticipo di quello che vedremo in seguito, addentrandoci nel territorio liberato.

A meno di una decina di chilometri da Camp Victoria c’è il villaggio di Tlanglo. Anzi, c’era. Nel centro del paese i crateri mostrano l’effetto di due bombe da 250 libbre sganciate dall’esercito fedele alla giunta: Tatmadaw, com’era chiamato una volta con rispetto. “I verdi”, come lo chiamano adesso con disprezzo. I Chin hanno una lunga storia di resistenza allo Stato centrale e, se Yangon era presente nelle strutture statali (scuole, ospedali, amministrazione pubblica), il Chin National Front – e il suo braccio armato, il Cna, nati nel 1988 – hanno tenuto testa a Tatmadaw proseguendo una resistenza al centralismo poco democratico della maggioranza bamar dalla fine degli anni Quaranta. Ora le cose sono cambiate. Lo Stato birmano, ossia l’attuale Consiglio di Amministrazione della giunta, non ha praticamente più controllo territoriale. E’ presente solo nei grandi centri urbani, come Hakha – la capitale – o Thantlang, entrambe nel raggio di 100 chilometri a Est di Camp Victoria: dopo pesanti bombardamenti le città sono state messe a ferro e fuoco. Non è un’espressione figurata: la terra bruciata è l’effetto di incendi appiccati alle case ormai abbandonate e luoghi come Thantlang, hanno adesso la nomea di “città fantasma”. Tatmadaw le presidia ma non può uscirne. Le sue colonne cadono vittima di imboscate che ricacciano i soldati nelle basi urbane che non sono esenti da attentati.

Il villaggio è un paesino ritenuto reo di aver appoggiato, come molti altri villaggi del Chin, l’esercito “ribelle”. Le due bombe, nel centrare la piazza e la via principale del paese, han mandato in pezzi le case di legno nel raggio di azione della bomba, che ha sfasciato vetri e strutture anche di una chiesa cristiana. Il villaggio si è svuotato è ora è una piccola Thantlang: una “ghost city”. Gli sfollati vivono nella foresta qualche chilometro più in là: tende di fortuna in plastica e cucine all’aperto. Nel villaggio non c’è più nessuno. Si aggira, tra le macerie, qualche gallina che cerca di becchettare tra masserizie annerite dal fumo.

I rapporti dei Chin col governo clandestino – National Unity Government – sono apparentemente buoni. E’ il tratto più complesso della guerra birmana.

Il Nug è nato sulle ceneri del vecchio parlamento scaduto nel 2020 dopo le elezioni che nel novembre di quell’anno avevano visto il partito di Aung San Suu Kyi stravincere nuovamente la partita elettorale. Ora cerca di essere il contraltare alla giunta militare e ha delle proprie organizzazioni armate: le People’s Defence Force, giovani civili prestati al conflitto. Ma il Nug sa bene che senza l’apparato degli eserciti “etnici” la guerra non potrebbe vincerla. Attualmente è alleato con Chin, Karen, Kachin, Karenny e parte degli Shan, ma molte altre comunità stanno a guardare, quando non si schierano con la giunta. In Chin la convivenza col Nug sembra stabile anche se sono Cnf e Cna e dettar legge. Il Nug però ha appena condiviso un programma scolastico nazionale che in Chin è stato accettato. Comprende l’insegnamento del birmano, come lingua nazionale, ma anche dei dialetti locali e di una lingua straniera. C’è un comitato costituente che sta lavorando a una nuova Costituzione condivisa e il “Nug ha il compito di sviluppare gli obiettivi strategici elaborati dal National Unity Consultative Council (Nucc), il Consiglio federale, e dal Committee Representing Pyidaungsu Hluttaw (Crph)” una sorta di Parlamento provvisorio, come ci ha spiegato Ma Myo, ministra del Nug. I compromessi, inevitabili, risentono della difficoltà storica di conciliare le periferie etniche col centro del Paese che è Bamar, “birmano”, etnicamente e linguisticamente. Una difficoltà e una complessità che sono la vera scommessa di una vittoria militare. Non impossibile.

Mentre decidiamo di addentraci nella zona liberata senza una scorta militare, proviamo a capire sin dove arriva il Nug, i Chin, Tatmadaw. Aiuta il rapporto dello Special Advisory Council for Myanmar (SAC-M), un gruppo internazionale di ricerca: secondo un rapporto del settembre scorso, Nug ed Ero avevano il controllo effettivo sul 52% del territorio del Myanmar mentre la giunta era attivamente contestata in un ulteriore 23% e avrebbe un controllo stabile solo sul 17% del territorio, ossia su 72 delle 330 municipalità bimane (township). In periferia, il controllo della resistenza arriverebbe al 94% del territorio. Proprio quello in cui ci troviamo. Ora si tratta di andare a vedere come vive la gente nei villaggi che la resistenza ha strappatoa Tatmadaw e dove la giunta non può mettere piede ma può al massimo bombardare.

La storia del reportage

Le foto sono state scattate nello stato Chin, in Myanmar, nel giugno 2023