Lungo il Mae Tao, al confine Thailandia-Birmania

Testo e foto di Alessandro De Pascale
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Provincia di Tak, città di Mae Sot, ufficialmente 100mila abitanti, cui si aggiungerebbero almeno altrettanti birmani, tra rifugiati, clandestini e lavoratori stagionali. Quando a marzo arriviamo in questo piccolo abitato della Thailandia occidentale, al mercato cittadino sono molti i venditori di mercanzie provenienti dall’ex Birmania. Siamo su suolo thai, ma si respira aria birmana. Del resto il confine tra i due Paesi dista una decina di chilometri ed è molto poroso. Volendo evitare i due posti di frontiera terrestri, controllati dai militari, basta arrivare lungo il fiume Moei, che in quest’area segna il confine tra la Thailandia e il Myanmar. Tra la nazione più sviluppata del sud-est asiatico e l’ex Birmania finita dal 1° febbraio 2021 sotto la dittatura di una sanguinaria giunta militare.

Con il colpo di Stato, in Myanmar è stata sepolta la democrazia parlamentare, fino ad allora guidata dal premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, arrestata, processata e tuttora detenuta, come tanti altri. Dal golpe militare nelle carceri birmane sono finiti 26.788 prigionieri politici, mentre 5.161 sono stati assassinati (dati al 30 maggio 2024 dell’Assistance Association for Political Prisoners). Dopo le proteste di piazza represse nel sangue dai militari, gli arresti arbitrari e le sparizioni, è scoppiata la guerra civile.

Le formazioni ribelli in questi anni hanno conquistato e strappato alla giunta circa il 50% del territorio. Discorso diverso per la zona nella quale ci troviamo. Sull’altra sponda del fiume Moei c’è la città di Myawaddy (circa 200mila abitanti) e lo Stato birmano dei Karen. A controllare l’area, le Brigate di Frontiera Karen (BGF), alleate dei militari di Tatmadaw: l’esercito golpista birmano, che il 1° febbraio 2021 ha preso il potere mettendo fine alla democrazia. Sia le BGF, sia Tatmadaw sono coinvolti anche nel grande business delle ‘scam city’ presenti in questa zona. Costeggiando in motocicletta il fiume Moei, in questa stagione in alcuni tratti attraversabile per andare oltre-confine persino a piedi, di fronte a noi, sull’altra sponda, di queste ‘città fantasma’ birmane ne contiamo diverse: Yatai New City (Shwe Kokko), Apollo Park, Yulong Bay Park, Myawaddy Town, KK Park, Dongmei Park. Sono le città delle truffe online, realizzate prevalentemente dai cinesi, ma con forza lavoro ‘deportata’ e schiavizzata che per un report dell’Ufficio contro la droga e il crimine delle Nazioni Unite (UNODC) proviene in realtà da diversi Paesi asiatici (Cina, Corea del Sud, Filippine, Indonesia, Singapore, Malaysia, Vietnam, Laos, Bangladesh, Pakistan) e da Regno Unito e Brasile. Sono tutte molto simili, sia a livello funzionale, sia strutturale. Per l’UNODC “in queste città delle truffe in Myanmar ci sono casinò, resort e hotel, grandi edifici con uffici e compound residenziali (…) sono complessi fortificati, così da garantire che le vittime non possano scappare. Tale fortificazione è costituita da inferriate metalliche su finestre, balconi, uffici e dormitori. Guardie armate con pistole, fruste elettriche e manette sono posizionate all’ingresso del complesso, per impedire la fuga delle vittime della tratta, nonché per vietare l’accesso a tutti gli individui che non sono membri del gruppo criminale organizzato” che le gestisce. Sul versante tailandese sono diventate persino un’attrazione turistica da fotografare, da quando un giovane imprenditore thai ha aperto un bar sul confine segnato dal fiume Moei, con vista sulle ‘scam city’.

Il business delle ‘scam city’ per Justice for Myanmar vale miliardi di dollari. Sul loro sito internet nomi e cognomi dei miliziani delle Brigate di Frontiera Karen coinvolti, delle loro famiglie e delle società interessate in questo business che detengono personalmente o nelle quali hanno partecipazioni. Alcune sono tailandesi, come quelle che gli hanno fornito dall’altra sponda del fiume Moei il materiale da costruzione per edificarle, l’energia elettrica per alimentarle, internet a banda larga e la rete telefonica mobile per mettere a segno le truffe. Nei pressi delle ‘scam city’, vediamo i barchini che sotto gli occhi ‘distratti’ dei militari thailandesi portano sulla sponda birmana materiali, ma anche i ripetitori telefonici puntati esattamente nella loro direzione, che gli consentono di comunicare e avere internet.

Per capire l’atteggiamento che la Thailandia ha attualmente con i karen alleati dei golpisti e di quanto poroso sia il confine da queste parti, basta recarsi al Ponte dell’Amicizia thai-birmana, una piccola frontiera terrestre che serve al passaggio quotidiano dei lavoratori frontalieri. Sul lato destro c’è un grande mercato, il Rim Moei Market, oltre il quale la linea di confine tra i due Paesi è tracciata da una ringhiera di alluminio alta appena mezzo metro con del filo spinato. Sul lato thai c’è un alto marciapiede, su quello birmano delle grandi bancarelle in legno tutte uguali che vi si affacciano, dalle quali, a parte qualcuna che espone pesce di fiume essiccato, i birmani vendono agli avventori che si trovano su suolo tailandese (sotto gli occhi dei militari di Bangkok) alcol e sigarette di contrabbando delle migliori marche occidentali e locali.

La storia del reportage

Le foto sono state scattate nel Mae Sot (Thailandia occidentale, al confine col Myanmar) nel marzo 2024