Libano

Situazione attuale e ultimi sviluppi

La crisi economica, sociale e politica continua ad attanagliare il Libano. Le elezioni legislative del 15 maggio 2022 hanno ancora una volta rappresentato un Paese frammentato e diviso.

Sempre più pressanti, poi, le tensioni tra il Paese dei Cedri e Israele. Lungo la Blue Line, la linea che separa i due Stati, sono state documentate diverse violazioni della Risoluzione 1701, come il lancio di razzi del 25 aprile 2022 dal Libano verso Israele e il fuoco di risposta dello Stato ebraico. Secondo un rapporto della missione dei Caschi Blu Unifil, le forze di difesa israeliane hanno continuato a entrare nello spazio aereo libanese in violazione degli accordi internazionali e della sovranità del Paese, mentre l’esercito israeliano ha riferito di aver abbattuto droni che sono entrati in territorio israeliano dal Libano il 17 maggio e il 18 luglio 2022.

Ferri corti tra i due vicini anche per il confine marittimo e per la scoperta di due grandi giacimenti di gas naturale (Leviathan e Tamar) nel Mar Mediterraneo. Per complicare la situazione, nel giugno 2022 Israele ha inviato una nave galleggiante per la produzione, lo stoccaggio e lo scarico del gas. Proprio a causa dei giacimenti, i due Paesi devono ancora concordare come delineare il confine marittimo: mentre Israele sostiene che il giacimento di Karish si trovi all’interno della sua zona economica esclusiva, il Libano afferma che è in parte in un’area contesa e ritiene che qualsiasi attività nell’area prima che venga raggiunto un accordo sulla frontiera costituirebbe un atto ostile.

Il Libano, intanto, continua a subire gli effetti della persistente crisi socioeconomica. Il malcontento popolare sfocia spesso in scioperi e manifestazioni. Nell’aprile 2022, il Fmi e il Governo libanese hanno raggiunto un accordo preliminare per sostenere il Paese per 46 mesi con circa 3miliardi di dollari, a condizione che Beirut attui una serie di azioni e riforme preliminari tra cui l’adozione del bilancio statale 2022 e la riforma della legge sul segreto bancario.

Anche la situazione dei rifugiati in Libano resta motivo di preoccupazione. Il 4 luglio 2022, il ministro provvisorio per gli sfollati Issam Charafeddine ha annunciato un piano per iniziare a rimpatriare i rifugiati siriani che vivono nel territorio di Beirut. Il 6 luglio, Human Rights Watch ha però affermato che “la Siria è tutt’altro che sicura per i rimpatriati” e qualsiasi rimpatrio forzato equivarrebbe a una violazione degli obblighi internazionali.

Per cosa si combatte

A causa della presenza di basi operative della resistenza palestinese, il Libano è stato ed è uno degli obiettivi militari di Israele. Altro elemento di tensione con lo Stato ebraico è poi da sempre il movimento sciita degli Hezbollah, che ha nel Sud del Libano molte delle sue basi. Nella regione meridionale del territorio libanese resta poi attiva la missione Onu Unifil, una forza di interposizione con il compito di vigilare sul cessate-il-fuoco tra Beirut e Israele e sulla linea di confine, la cosiddetta Blue Line, ancora in fase di definizione. Un ulteriore fronte di instabilità per il Libano è collegato alle situazioni interne di Iraq e Siria. Dopo i due Stati, infatti, il Paese dei Cedri sembrava essere diventato il terzo fronte della nuova conquista islamica guidata dall’Isis. Tra 2016 e 2017, i gruppi jihadisti hanno attaccato il Nord del Libano, mentre l’esercito di Beirut ha lanciato un’offensiva militare per liberare dai miliziani dell’Isis la frontiera con la Siria. A luglio 2022, i due fronti sembrano placati, ma quello che veramente preoccupa è la situazione interna del Paese. La protesta popolare (thawra) iniziata nell’ottobre 2019 contro corruzione, divisioni settarie della politica e disuguaglianze continua, alternando fasi di attivismo a periodi di forte sfiducia. I libanesi affrontano da anni una fortissima crisi economica, sociale e politica. La pandemia e l’esplosione al porto di Beirut dell’agosto 2020 hanno peggiorato una situazione già al limite del collasso.

Quadro generale

La genesi del Libano dice molto del suo stato attuale e delle ragioni che stanno alla base delle tensioni interne ed esterne. Il Paese dei Cedri nacque quando, dopo la dissoluzione dell’Impero Ottomano, la Società delle Nazioni affidò alla Francia il controllo della Grande Siria, che includeva le cinque Provincie che oggi formano il Libano. Nel 1920, la Francia dichiarò indipendente lo Stato del Grande Libano, un Paese composito, con un’enclave in Siria a maggioranza cristiana maronita e una a maggioranza musulmana e drusa con capitale Beirut. Nel 1943, il Governo libanese abolì il mandato francese, dichiarando la propria indipendenza.

Nel 1948, il Libano aderì alla guerra della Lega Araba contro Israele, senza però invadere mai il neonato Stato. Dopo la sconfitta araba, Israele e Libano stipularono un armistizio, ma un vero trattato di pace ancora oggi non esiste. La conseguenza di questa guerra furono 100mila profughi palestinesi, ai quali se ne aggiunsero altri dopo il conflitto arabo-israeliano del 1967. E proprio per “sradicare dal Sud del Libano la presenza armata palestinese” che Israele ipotizzava si trovasse tra i profughi, il 6 giugno del 1982 partì l’operazione militare Pace in Galilea. La prima guerra israelo-libanese arrivò fino a Beirut, dove aveva sede l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp).

Per fermare lo spargimento di sangue, intervenne la diplomazia internazionale che sgomberò la dirigenza dell’Olp (rifugiatasi a Tunisi) e riversò nei Paesi limitrofi molte delle unità armate palestinesi. Questo porterà al drammatico massacro nei campi profughi di Sabra e Shatila condotto da unità cristiane guidate da Elie Hobeika e lasciate agire dalle truppe israeliane, comandate dal futuro primo Ministro Ariel Sharon e di stanza nell’area coinvolta.

Negli anni a seguire, il Libano affrontò svariati problemi di equilibri interni, con gli Hezbollah, musulmani sciiti, vicini a Damasco e Teheran. Il 12 luglio 2006 i miliziani di Hezbollah attaccarono una pattuglia dell’esercito israeliano nel Sud del Libano. Israele reagì con la forza, avviando un’offensiva per “neutralizzare l’apparato militare di Hezbollah”. L’11 agosto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite intervenne con la Risoluzione 1701, che chiese l’immediata cessazione delle ostilità, il ritiro di Israele dal Libano meridionale e l’interposizione delle truppe regolari libanesi e della United Nations Interim Force in Lebanon (Unifil) in una zona cuscinetto libera da ogni personale armato che non fosse quello designato. Ancora oggi, i Caschi Blu nella missione Unifil continuano ad assicurare il controllo della Blue Line, che rappresenta quella linea “pratica” di demarcazione lunga circa 51 chilometri che separa il Libano da Israele.

A complicare la situazione del Libano c’è anche quello che avviene attorno al Paese, con vari Stati che si contendono l’influenza su Beirut: Siria, Iran, Arabia Saudita e Francia fanno sentire il proprio peso sul piccolo Stato. Il Libano sta pagando anche le conseguenze dell’emergenza umanitaria e del peso dei rifugiati arrivati da Siria e Iraq, impossibile da sostenere per un Paese di pochi milioni di cittadini.

Dal 2019, inoltre, il Libano sta affrontando una delle dieci più gravi crisi economiche e finanziarie dal 1850 a livello mondiale. Molto probabilmente, la sua è tra le prime tre. È stata la Banca Mondiale, attraverso il suo Lebanon Economic Monitor, a trarre la triste conclusione nel suo rapporto della primavera 2021.

Sul banco degli accusati, per una crisi non solo economico-finanziaria ma sistemica, è anzitutto la struttura di potere. La gestione “settaria” delle istituzioni statali e degli equilibri politici è inefficace e corrotta anche nei rapporti con gli attori internazionali, dagli istituti finanziari che dovrebbero aiutare il Libano a uscire dalla crisi alle potenze regionali, europee e internazionali interessate alla loro parte di influenza sul Paese. La frattura tra l’élite politica, formata sugli equilibri tra i signori della guerra civile, e la popolazione libanese ha generato il momento di massimo conflitto nel 2019, pochi mesi prima dello scoppio della pandemia da Covid-19. La scintilla che ha dato il via alle proteste di piazza, le più imponenti dal 2005 dopo l’assassinio di Rafiq Hariri, fu la tassa sulle chiamate Whatsapp.