Centro e Sud America in armi

a cura di Alice Pistolesi

C’è chi incrementa la spesa militare, chi la diminuisce, chi si conferma da 70 anni sullo ‘zero’ e chi fa scelta storiche di posizionamento internazionale.

Il quadro del riarmo in Centro e Sud America è quantomeno composito.

Partiamo, come sempre, da qualche dato. Secondo le rilevazioni del Sipri (Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma) la spesa nel 2017 è aumentata del 4,1% in Sud America.

Il database delle spese militari che contiene le serie temporali per il periodo 1949-2017 curato dall’Istituto di Stoccolma ci consente di andare a fondo.

Il primato nella Regione spetta al Brasile (vedi approfondimento 2) con oltre 29 miliardi di investimento del 2017: il 6,3% in più rispetto al 2016.

Spesa da non sottovalutare anche quella dell’Argentina che nel 2017 ha registrato la crescita più elevata (15%), sborsando 5,7 miliardi di dollari per il settore militare.

Ad incrementare la spesa anche la Colombia con un investimento di 9,7 miliardi, mentre erano 8,6 nel 2016. La scelta in ambito militare per il Paese non si è limitata all’investimento. Nel 2018, infatti, la Colombia è entrata a far parte della Nato (vedi approfondimento 1), segnando un momento storico per la struttura delle alleanze sudamericane.

Il 2017 è stato l’anno dell’aumento della spesa anche per il Cile (5,1 miliardi rispetto ai 4,7 del 2016), per il Venezuela (465 milioni rispetto ai 218 dell’anno precedente) e per la Bolivia (657 milioni contro 552).

In controtendenza invece Messico (anche se dietro la buona notizia potrebbe esserci di più, vedi focus 2), Nicaragua, Guatemala e Perù.

Colombia nella Nato

Il 31 maggio 2018 la Colombia è entrata nella Nato (l’Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord) in qualità di partner globale e nell’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).

Il Paese non farà parte dei 29 membri effettivi dell’Alleanza ma si unirà ai cosiddetti ‘partners across the globe’ alla stregua di Afghanistan, Australia, Iraq, Giappone, Corea del Sud, Mongolia, Nuova Zelanda e Pakistan.

Il presidente della Colombia uscente Juan Manuel Santos  ha specificato che si tratta di una collaborazione per lo scambio di informazioni e per l’addestramento.

Non ci saranno quindi operazioni militari della Nato, né  truppe Nato in territorio colombiano.

Lo status, comunque, comporta la cooperazione con l’Alleanza “in aree di interesse reciproco” in materia di sicurezza, fino alla possibilità di contribuire, militarmente o in altra maniera, a operazioni dell’Alleanza atlantica.

In ogni caso scelta della Colombia resta storica: il Paese è infatti l’unico del Sud America con questo status all’interno della Nato.

Secondo gli analisti la scelta contribuisce ad un riconoscimento per le forze armate del Paese nell’ottica della lotta al narcotraffico e alle milizie indipendentiste e anti governative.

La mossa non è piaciuta al confinante Venezuela. “Il Venezuela denuncia alla comunità internazionale l’intenzione delle autorità colombiane di introdurre in America Latina e ai Caraibi un’alleanza militare esterna con capacità nucleare. Ciò costituisce chiaramente una seria minaccia alla pace e alla stabilità della regione”, ha denunciato il governo di Maduro in un comunicato.

Niente di positivo all’orizzonte anche secondo il Foro de Comunicación para la Integración de NuestrAmérica (una rete di mezzi di comunicazione e di movimenti popolari della regione), secondo il quale l’ingresso nell’Alleanza atlantica della Colombia “costituisce una clamorosa rottura con la proclamazione dell’America Latina e dei Caraibi come zona di pace, decisa nel 2014 all’Avana durante il Vertice della Celac (la Comunità di Stati latinoamericani e caraibici), a completamento di quel Trattato di Tlatelolco che, nel lontano 1969, aveva stabilito la denuclearizzazione della regione”.

Il documento finale affermava che alla base dell’integrazione economica  dei paesi latino-americani ci sono proprio la pace, la non belligeranza e il dialogo per risolvere le controversie.

La proclamazione dell’America Latina e dei Caraibi come zona di pace era stata considerata come perno nella storia della regione che si impegnava a stabilire il principio della risoluzione pacifica delle controversie, scartando il ricorso alla forza o alla minaccia del suo impiego, insieme all’impegno a favorire relazioni di amicizia e di cooperazione tra gli Stati della regione e con le altre nazioni.

Propositi che, con l’ingresso di una alleanza militare all’interno della Regione, potrebbero stridere.

Brasile, maxi spesa

Il Brasile ha registrato un aumento delle spese militari superiore alla media mondiale, passando dal tredicesimo posto del 2016 all’undicesimo nella classifica dei paesi che investono di più nel settore degli armamenti.

L’investimento brasiliano in armi rappresenta l’1,7% dell’importo speso dai 15 Paesi che sono in cima alla lista. Si tratta del primo aumento annuale delle spese militari brasiliane dal 2014 e il più alto dal 2010.

La scelta brasiliana stupisce i ricercatori del Sipri secondo i quali questo aumento “sorprende date le attuali turbolenze economiche e politiche nel paese”.

Nel 2017 il governo brasiliano ha allentato i suoi obiettivi di deficit di bilancio fino al 2020 e ha liberato risorse aggiuntive (4,1 miliardi di dollari) per tutti i principali settori, tra cui le Forze armate.

Secondo Antônio Jorge Ramalho da Rocha, dell’Instituto Brasileiro de Relações Internacionais e professore all’Università di Brasilia da queste spese sono in parte escluse quelle del personale che rappresentano “più della metà del libro paga”. “Continuiamo a reclutare nelle stesse proporzioni- continua Ramalho da Rocha – nonostante i miglioramenti tecnologici. In assenza di guerra – a Dio piacendo! – Queste persone andranno in pensione. Le prossime generazioni pagheranno questi conti”.

Nel corso del 2017 il Senato Federale ha autorizzato il prestito necessario per acquisire 4 sottomarini convenzionali e 50 elicotteri, oltre a completare il progetto di sottomarino a propulsione nucleare.

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