Dossier/ Il Peacebuilding in Italia

Nell’impalcatura istituzionale italiana il peacebuilding è assente. Quanto si investe, come potrebbe evolversi, su quali strumenti lavorare per costruire la pace attivamente? Il report “L’Italia e il peacebuilding” realizzato dall’Agenzia per il Peacebuilding nel maggio 2022 prova a rispondere ad alcune di queste domande.

L’obiettivo generale dello studio è infatti “contribuire con dati e contenuti scientifici al dibattito in merito alla politica estera italiana, europea e internazionale, esaminando i punti di forza e gli aspetti da sviluppare dell’approccio italiano al peacebuilding e alla prevenzione dei conflitti”. Il Report, realizzato con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, fornisce un’analisi sul supporto ai processi di pace del sistema paese italiano, inteso come insieme delle istituzioni e della società civile. Si tratta del primo studio sul tema, e mette in luce che in Italia il peacebuilding riceve considerazione limitata, rimanendo spesso relegato a un ruolo marginale.

Il rapporto report suggerisce sia l’integrazione di nuovi strumenti civili all’interno degli interventi in essere da parte della politica estera, sia di porre più attenzione alle misure di prevenzione delle crisi e dei conflitti violenti rispetto a misure reattive e di intervento ex post.

*Questo dossier è realizzato in collaborazione con Acav ed è collegato all’Agenda 2030, Goal 16: Pace, giustizia e istituzioni solide

Il contributo ad aiuto allo sviluppo e peacekeeping

Per i finanziamenti generali per l’aiuto pubblico allo sviluppo, l’Italia è il decimo contributore globale con circa 4,1miliardi di euro. Il contributo è diminuito del 31% dal 2017 al 2020 attestandosi allo 0,22% del PIL. La priorità strategica per l’Italia è oggi la gestione delle migrazioni nel Mediterraneo, anche se a partire dal 2020 l’Italia ha investito in misure multilaterali di contrasto alla pandemia come Gavi, the Vaccine Alliance. Alla fine del 2021, la Viceministra degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Marina Sereni ha rilanciato un trend di crescita dell’aiuto pubblico allo sviluppo proiettandolo allo 0,24% del PIL nel 2023 e allo 0,27 nel 2026.

Per quanto riguarda il peacebuilding, invece, il totale varia considerevolmente di anno in anno. Tra il 2012 e il 2019, la spesa ha avuto una forbice tra i 2.210milioni di dollari del 2012 e i 29.268 del 2017. In termini percentuali, le cifre rimangono sotto l’1% del contributo italiano.

Ma non è solo una questione italiana. Il peacebuilding è globalmente sotto-finanziato, non solo per quantità di fondi ma anche per quantità. Germania, Svezia, Regno Unito e le istituzioni dell’Unione Europea hanno fornito quasi la metà dell’aiuto pubblico allo sviluppo totale relativo al peacebuilding e i 22 donatori al di fuori dei primi dieci hanno rappresentato solo l’8% circa della spesa totale. Secondo gli analisti il numero ristretto di finanziatori governativi provoca una vulnerabilità del sistema di costruzione della pace, a causa di possibili cambiamenti a livello nazionale e internazionale. Secondo l’Agenzia, “se da un lato questa scelta è un segno di fiducia nel sistema internazionale, dall’altro è dovuta sia alla mancanza di pianificazione a lungo termine, sia a limiti gestionali interni al Maeci, come problemi anche amministrativi e contabili di spesa”.

Per quanto riguarda invece le operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite, a dicembre 2021, l’Italia era il 23esimo contribuente a livello mondiale. Cinque le nuove missioni autorizzate nel 202: l’Operazione UNSOM United Nations Assistance Mission in Somalia, l’Operazione EMASOH nello Stretto di Hormuz, l’Operazione “Emergenza Cedri” in Libano, la missione EUBAM LIBYA European Union Border Assistance Mission in Libya e la missione EUAM Ukraine European Union Advisory Mission Ukraine.

Il triplo nesso

La risposta alle crisi non può venire dal solo sistema umanitario, ma deve arrivare anche dalla cooperazione allo sviluppo che intervenga per contribuire a ridurre le cause profonde dei conflitti e per rafforzare la resilienza delle popolazioni e dei sistemi locali. Su questo concetto si basa il Triplo Nesso, le linee guida strategiche italiane che recepiscono gli ambiti di azione ed i principi definiti dalla Recommendation on the Humanitarian-Development-Peace Nexus dell’OCSE/DAC (Raccomandazione sul Nesso Umanitario-Sviluppo-Pace) del febbraio 2019.

Secondo l’Agenzia per il Peacebuilding l’implementazione del Triplo Nesso offre “un’occasione unica al sistema di cooperazione italiana per un maggiore impegno su peacebuilding e prevenzione dei conflitti violenti e per una nuova fase di integrazione strategica e operativa di questo ambito con quello umanitario e dello sviluppo”. Un passaggio interessante sta poi nel fatto che l’implementazione dovrà avvenire in consultazione con le società civili. La prospettiva della costruzione della pace, infatti,  “potrebbe ridurre il timore della introduzione nel sistema di logiche securitarie e di modalità coercitive, che entrerebbero in contrasto con i principi dell’azione umanitaria e la modalità partecipata dei processi di sviluppo”.

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