di Adalberto Belfiore
Vari fatti indicano un cambio radicale di rotta dell’amministrazione Biden verso l’America Centrale. Prima di tutto il nuovo approccio verso il problema delle migrazioni, ben lontano dal muro col Messico di trumpiana memoria, la cui costruzione è stata sospesa. Il nuovo Segretario di Stato Antony Blinken (nella foto con Biden) ha comunicato ai governi di Honduras, El Salvador e Guatemala la sospensione del cosiddetto accordo del “terzo paese sicuro” con cui l’amministrazione Trump si era garantita la base giuridica per deportare i richiedenti asilo provenienti da questi Paesi in quello di essi che offrisse maggiori garanzie. E lo stesso Biden ha dichiarato che la sua amministrazione “intende affrontare le cause profonde che inducono le persone ad emigrare” proponendo al Congresso un ambizioso piano da 4 miliardi di dollari per lo sviluppo del Centro America. Ma sono segni chiari anche il rifiuto di ricevere il controverso presidente di estrema destra del Salvador Nayib Bukele, grande amico di Trump, e il duro comunicato del Dipartimento di Stato rivolto al presidente “sandinista” del Nicaragua Daniel Ortega.
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José Miguel Vivanco, direttore per le Americhe di Human Rights Watch, sostiene che la nuova politica di Biden/Harris sarà più collaborativa e basata sulla lotta alla corruzione, il rispetto dei diritti umani, la difesa della democrazia e lo stato di diritto. In questo senso si spiega la posizione assunta verso i due Presidenti centro americani più problematici. Due situazioni ben diverse ma che presentano tratti comuni. Ortega esercita un ferreo controllo di tipo apertamente dittatoriale sul suo paese attraverso leggi liberticide e uso indiscriminato della violenza, senza appoggio popolare se non quello di una minoranza ideologizzata. Bukele, che gode al contrario di grande popolarità, si è permesso un anno fa di far entrare in parlamento le forze armate per imporre manu militari l’approvazione del suo progetto di controllo del territorio. E a meno di un mese dalle elezioni legislative del prossimo 28 febbraio non ha condannato, anzi ha definito un “autoattentato”, un attacco a colpi di fucile che ha fatto due vittime contro un corteo di manifestanti del partito di opposizione FMLN (nelle cui liste Bukele era stato eletto sindaco della capitale). E ha definito “una farsa, un patto tra corrotti” gli accordi di pace tra il Governo e la guerriglia che nel ’92 posero fine a uno dei più sanguinosi conflitti del Continente (12 anni di guerra, innumerevoli sofferenze e un saldo 80.000 morti tra cui il vescovo di San Salvador Oscar Arnulfo Romero, beatificato da Papa Francesco nel 2018).
Entrambi, Bukele e Ortega, condividono una visione del mandato presidenziale come qualcosa di assoluto, quasi messianico, comunque esente da contrappesi e controlli e, nel caso del caudillo nicaraguense, anche con ambizioni dinastiche. Di fatto Bukele, pur pagando 450.000 dollari all’anno alla Sonoran Policy Group, un’agenzia privata che si occupa di fare lavoro di lobbying per ottenere appoggio nelle istanze legislative di Washington, non è stato ricevuto da nessun funzionario della nuova Amministrazione democratica e ha dovuto definire “viaggio privato” il suo ultimo disastroso pellegrinaggio negli Stati Uniti post Trump. E dopo solo un mese dall’insediamento di Biden, il Dipartimento di Stato ha emesso un comunicato che sembra avvertire il dittatore nicaraguense che i suoi giorni sono contati.
Ortega ha appena fatto approvare dal “suo” parlamento dei veri mostri giuridici: tra gli altri, una legge che punisce con anni di carcere chiunque diffonda notizie false a giudizio del Governo, la reintroduzione dell’ergastolo per non ben definiti “reati d’odio” e una legge per bloccare i finanziamenti internazionali a qualunque organizzazione della società civile. Quest’ultima ha costretto a chiudere i battenti la sezione nicaraguense presieduta dalla nota scrittrice Gioconda Belli di Pen International, associazione mondiale di scrittori e giornalisti per la libertà di espressione. Stessa sorte per la Fondazione Violeta Barrios de Chamorro, l’ex presidentessa del Nicaragua che sconfisse proprio Ortega nelle elezioni che nel 1990 posero fine al periodo rivoluzionario. La cui figlia Cristiana è la più probabile candidata dell’opposizione (58% delle preferenze in una recente inchiesta indipendente) per sfidare nelle elezioni del prossimo 7 novembre il vecchio Caudillo tornato al potere nel 2007 tramite un accordo con l’estrema destra ed elezioni truccate.
Facendo riferimento proprio alla chiusura di questi “due bastioni della libertà di espressione”, il comunicato del Dipartimento di Stato USA accusa Ortega di “asfissiare la società civile e di portare il paese verso la dittatura” esortando il Presidente nicaraguense a cambiare strada immediatamente, con un uso delle parole (we urge the president Ortega to change course now) che viene unanimemente interpretato come una sorta di ultima chiamata. Difficile che Ortega, coi suoi discorsi infarciti di retorica antimperialista stile anni ottanta, usati per coprire un’enorme realtà corruttiva che lo ha portato ad essere uno degli uomini più ricchi dell’America Latina, accolga l’invito. Ma Biden sembra convinto che per affrontare i problemi dell’area, la corruzione appunto, la violenza, privata e politica, e le crescenti disuguaglianze sociali che stanno alla base dei flussi migratori verso gli Usa, sia necessario ristabilire il rispetto dei principi democratici e dello stato di diritto.
Il neopresidente conosce bene il continente latinoamericano, in fondo vi manca da soli quattro anni e da vicepresidente di Obama lo visitò ben 16 volte, e sa che è con queste derive autoritarie che si deve confrontare la nuova Amministrazione democratica in America Centrale, lasciandosi alle spalle la vecchia dottrina Monroe e la retorica del Centro America come “cortile di casa”, se vuole arrestare il calo di prestigio (un sondaggio di AmericasBarometer della Vanderbilt University ha rivelato che dal 2017 in tutti i paesi centro americani eccetto il Guatemala la fiducia nel Governo di Washington è drammaticamente crollata) (figura allegata) e recuperare il ruolo degli Stati Uniti a fronte della sempre più pervasiva presenza cinese nell’area.
In copertina l’immagine di Biden scelta dalla Home della Casa Bianca
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