Centrafrica: la protezione dei minori

Intersos e Unicef collaborano in alcune delle comunità più vulnerabili nelle prefetture di Kemo e Nana Gribizi, nella zona centrale del Paese

Situata in una regione estremamente instabile, dal 2012 la Repubblica Centrafricana è assediata da un costante conflitto tra un numero imprecisato di fazioni e milizie armate, di cui la popolazione civile è quella che paga il prezzo più alto.
Data la situazione i bisogni umanitari sono enormi. Su una popolazione di quasi 5 milioni di persone, almeno la metà dipende dagli aiuti umanitari. Oltre 1.800.000 sono gli sfollati interni e circa 700.000 quelli rifugiati nei paesi limitrofi. Il 75% della popolazione ha meno di 35 anni e il tasso di impiego è del 12,5%. Questo fattore, unito alla violenza, fa dei più giovani un obiettivo molto facile per i gruppi armati.

Ed è proprio per proteggere i minori, per riunire alle proprie famiglie quelli che sono stati rapiti e per dare loro opportunità di formazione, di lavoro e successivamente di reinserimento nelle comunità che INTERSOS, insieme a UNICEF, ha deciso di lavorare con alcune delle comunità più vulnerabili nelle prefetture di Kemo e Nana Gribizi, nella zona centrale del paese.

Yamesse, 18 anni, sta seguendo un corso per diventare falegname. “Dopo che mio nonno è stato ucciso da una fazione, io mi sono unito a quella opposta. Anche perché il comandante era un vecchio amico di mio padre. Ma me ne sono pentito subito. Solo che avevo paura di abbandonare il gruppo perché temevo la vendetta che sarebbe seguita. Quando ho saputo che alcuni operatori di MINUSCA (partner di UNICEF e INTERSOS) stavano venendo nei villaggi per identificare i bambini soldato e riportarli dalle famiglie, all’inizio non ci ho creduto. Ho pensato che fosse un inganno e che mi volessero rapire di nuovo. Per fortuna ho visto che si univano a MINUSCA tanti altri ragazzi e mi sono ricreduto. Per prima cosa mi hanno portato in un ospedale e curato. Vivendo nella boscaglia da anni ed essendo sempre impegnato in scontri con altri gruppi ero molto debilitato. Poi INTERSOS mi ha coinvolto in un corso di falegnameria. Ho già fatto un tavolo grande e so fare le sedie. Appena avrò completato la formazione tornerò al mio villaggio e aprirò un piccolo laboratorio”.

Una volta venuti in contatto con un ragazzo o una ragazza che sono stati coinvolti nei gruppi armati, il lavoro che viene fatto prima di reinserirli nella comunità d’origine è lungo e delicato. Si tratta di minori che hanno subito abusi e privazioni terribili. Molti sono rimasti soli. Alcuni sono stati costretti a loro volta a compiere violenze e non sempre le comunità sono disposte a riaccoglierli. Dopo le prime cure mediche, un periodo di riabilitazione psico-sociale è quasi sempre necessario.

Victorine ha 17 anni e un figlio di 4 anni, nato durante il periodo in cui era prigioniera di un gruppo armato. “Era una domenica pomeriggio e mi trovavo a casa quando un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione e ha immobilizzato mia madre, costringendomi a seguirli. Mi hanno spinto dentro il bagagliaio di una macchina. Dopo ore di viaggio mi sono ritrovata in un posto sconosciuto, in mezzo alla vegetazione, insieme ad altre ragazze e ragazzi come me. Per 3 anni sono stata trattata come una schiava, dovevo solo obbedire agli ordini e servire quegli uomini. Non avevo più sogni né desideri. Avevo perso ogni speranza. Poi gli operatori di MINUSCA hanno raggiunto il nostro accampamento e hanno cominciato a parlare con i guerriglieri per convincerli a liberare almeno qualcuno dei ragazzi e delle ragazze. Io avevo paura delle ripercussioni, se avessi manifestato la volontà di andarmene, per cui ascoltavo ma non dicevo niente. Alla fine ho preso il coraggio, per me e per mio figlio. Adesso sto seguendo un corso di pasticceria e sono molto brava a preparare il pane e le torte. Al termine della formazione INTERSOS mi darà una intera fornitura di farina, zucchero, olio e altri ingredienti e tornerò al mio villaggio dove cercherò di guadagnarmi da vivere e mantenere il mio Mamadou.

Nonostante il grande lavoro fatto dalla comunità internazionale in collaborazione con il governo della Repubblica Centrafricana negli ultimi anni, l’UNICEF calcola che ci siano dai 6.000 ai 10.000 bambini ancora in balia dei gruppi armati. È necessario che i donatori non dimentichino la difficile crisi che continua ad attanagliare il paese e a colpire così duramente la sua popolazione.

Testo e foto a cura di Intersos

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