Dossier/ Ucraina: i danni ambientali causati dalla guerra

É un fatto noto da tempo. L’altro grande impatto della guerra è di tipo ambientale. Il conflitto in Ucraina sta danneggiando gli habitat, inquinando acqua, aria e suolo, provocando incendi e contaminando l’ecosistema a causa dei bombardamenti dei siti industriali. Lo mostra una mappa interattiva, pubblicata pochi giorni dopo il primo anniversario dell’invasione russa, dall’organizzazione non governativa ambientalista e pacifista Greenpeace e dall’ucraina Ecoaction.

Gli eventi da loro raccolti sono 900 dei quali sono stati evidenziati i 30 ritenuti “più gravi”, consultabili online e confermati dalle immagini satellitari. In base alle informazioni ufficiali, “dall’inizio delle ostilità sono stati danneggiati circa il 20 per cento delle aree naturali protette del Paese e 3 milioni di ettari di foresta, mentre altri 450mila ettari si trovano in zone occupate o interessate dai combattimenti”, denunciano le due ONG.

Greenpeace ed Ecoaction chiedono al governo ucraino e alla Commissione Europea, nonostante il conflitto sia ancora in corso, “di istituire un fondo per il ripristino dell’ambiente, vittima silenziosa della guerra”. Per il numero uno di Greenpeace a Kiev, Denys Tsutsaiev, “mappare i danni causati dalla guerra in Ucraina è complicato dal fatto che gran parte del territorio liberato potrebbe essere disseminato di mine e altri ordigni esplosivi, mentre le forze russe occupano ancora parti del Paese, rendendo difficile la raccolta dei dati”. A loro dire è “necessario evidenziare questi danni, perché il ripristino ambientale deve avere un posto centrale nel dibattito sul futuro dell’Ucraina. I fondi devono essere stanziati adesso, non quando la guerra sarà finita”. La richiesta è che “la ricostruzione delle città avvenga parallelamente al ripristino ambientale del Paese”.

* Nella foto, la mappa interattiva di Greenpeace ed Ecoaction

Le infrastrutture colpite

I bombardamenti hanno “danneggiato circa la metà delle infrastrutture energetiche” nazionali, “interessando quasi l’intero Paese”. In Ucraina sono presenti quattro centrali atomiche, con 15 reattori operativi e altri due in costruzione. Tra queste il ben noto impianto di Chernobyl, dove il 26 aprile del 1976 è avvenuto il più grave incidente nucleare della storia: livello 7, il massimo della scala INES dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA). “Dall’inizio dell’invasione fino alla fine di marzo, i russi hanno occupato la zona di Chernobyl, conservandovi le loro attrezzature militari e scavando trincee persino nella parte più radioattivamente contaminata della zona, la Foresta Rossa”, ricordano le due ONG. Tale attività “ha fatto retrocedere di decenni il recupero naturale dell’ecosistema. Più si va in profondità nel terreno, più il suolo è contaminato, quindi gli occupanti assieme alle trincee hanno scavato materiali radioattivi”. Quando l’esercito del Cremlino ha lasciato l’area “gli studi hanno mostrato un’eccessiva radiazione di fondo nelle trincee, confermata anche da un’indagine indipendente di Greenpeace”. Quindi “le vecchie mappe di contaminazione non sono più valide e i percorsi precedentemente sicuri richiedono ora nuovi studi”.

Dal 4 marzo, i russi occupano la centrale nucleare di Zaporizhia, la più grande d’Europa, che produce circa un quinto dell’elettricità dell’Ucraina. “Da allora, ci sono state ripetute segnalazioni di distruzione delle infrastrutture dell’impianto, di danni alle linee elettriche, di bombardamenti ed esplosioni nei locali della centrale e interruzione dell’alimentazione (…) la perdita di potenza prolungata o il danneggiamento dei sistemi di raffreddamento possono anche danneggiare il reattore e portare a perdite di radiazioni (…) l’inquinamento può raggiungere anche il Mar Nero”.

Tra i casi riportati dalle due ONG figurano anche altre centrali colpite dai raid, come quella termica Ladyzhyn TPP di Vinnytska che “ha lasciato 18.000 persone senza riscaldamento» e dove è presente un deposito di carburante il cui incendio può «causare emissioni significative di sostanze pericolose nell’aria e nel suolo”. Stesso discorso per i numerosi impianti chimici e industriali, i depositi di carburante, i terminal petroliferi e le raffinerie bombardati, per la piattaforma nel Mar Nero danneggiata da un missile lo scorso giugno, tuttora in fiamme e causa di una marea nera (almeno 50mila cetacei morti dall’inizio del conflitto secondo gli scienziati) o per la petroliera moldava Millennial Spirit colpita a luglio da un missile russo mentre trasportava oltre 500 tonnellate di gasolio.

Parchi nazionali e sistemi fluviali compromessi

A causa degli incendi provocati dalla guerra sono stati “distrutti 17mila ettari di foreste nell’oblast di Luhansk”, stimano Greenpeace ed Ecoaction. Devastati dalla guerra anche il Parco Naturale Nazionale delle Foreste di Kremin e parti della Riserva Naturale di Luhansk, dove ci sono le steppe Triokhizbensky, “una delle ultime grandi aree in Ucraina dove è stato preservato un ecosistema steppico” naturale. “La stima preliminare dei danni – per le due ONG – è di quasi un miliardo di euro, anche se è impossibile calcolarlo precisamente mentre il territorio è sotto occupazione o in una zona dove la guerra è in corso”. Soltanto tra marzo e giugno 2022 il fuoco “ha distrutto 1.640 ettari nel Parco naturale nazionale Biloberezhzhya Sviatoslava e 200 ettari nel Parco paesaggistico regionale Penisola di Kinburn”, nel sud del Paese. In quell’ecosistema naturale c’erano “le postazioni di tiro dei russi, di stanza qui per bombardare la regione di Kherson”.

Nella rete del Dnepr, dove è presente la centrale idroelettrica di Kakhovka HPP, “la portata si è ridotta di due metri” con gravi conseguenze per l’ecosistema, per ripristinare il quale “potrebbero essere necessari decine di anni”. Greenpeace ed Ecoaction riportano infine i “frequenti incendi scoppiati a maggio nelle foreste dell’oblast di Kherson”, che “i russi hanno vietato di spegnere”. Quel luogo, parte del Parco Naturale Nazionale Nyzhniodniprovsky sulla riva destra del fiume Dnipro che sfocia nella baia e poi nel mare, è un “ecosistema unico” dalla fitta vegetazione che ospita specie rare, nonché “una popolare destinazione turistica” messa ora a dura prova dalla guerra.

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