di Gianni Beretta
“Mision cumplida, carajo” è la prima significativa frase pronunciata dal 64enne José Raúl Mulino, avvocato di diritto marittimo, dopo essersi affermato alle presidenziali di Panama il 5 maggio. Che subito denota la fisionomia di colui che appena due mesi fa aveva sostituito il candidato originario, l’ex Presidente Ricardo Martinelli, condannato a 10 anni per riciclaggio e subito rifugiatosi (per evitare il carcere) nell’ambasciata del Nicaragua della capitale panamense, dove si trova tuttora. Mulino, da suo Ministro di giustizia e per la sicurezza pubblica, ne era stato il delfino. E anch’egli era stato allora successivamente incarcerato per sei mesi per peculato con una azienda italiana, per poi essere prosciolto per insufficienza di prove. Era l’epoca dello scandalo dei Panama Papers che avevano definitivamente smascherato il Paese come un paradiso fiscale dove migliaia di note figure internazionali nascondevano i loro denari.
Ciò nonostante Mulino (qui a sn in un’immagine ufficiale) ha prevalso su altri tre avversari, tutti più o meno di destra, all’insegna della “mano dura” nei confronti della delinquenza. Uno slogan sempre più diffuso e vincente in America Latina se si pensa a Nayib BuKele nel vicino El Salvador, Daniel Noboa in Ecuador e Javier Milei in Argentina. L’altro punto chiave della sua campagna si è imperniato sulla chiusura dell’infernale corridoio della selva del Darién (al confine con la Colombia) attraversata solo l’anno scorso da almeno mezzo milione di migranti (di molteplici nazionalità) nel loro disperato transito verso il Nord. Con le conseguenti complicazioni di transito e ospitalità. Mulino si è avventurato al riguardo in un’altra battuta: “se vincerà Trump gli chiederò di gettarmi una palata di cemento anche qui, per erigere un altro muro”.
Che poi al centro del suo programma ci siano innanzitutto le imprese e gli investimenti va da sé, rimembrando la crescita economica record che si era registrata per l’appunto durante il governo Martinelli fra il 2009 e il 2014, criticato per la corruzione “ma che almeno le cose le faceva”. Il neocapo di Stato ha comunque assicurato che non si dimenticherà “degli affamati, dei disoccupati e di coloro che hanno bisogno tutti i giorni di acqua potabile”. La crisi climatica ha comportato infatti una drastica diminuzione delle precipitazioni e di conseguenza del flusso di acqua dolce che alimenta il sistema di chiuse del canale interoceanico. Tanto da ridurre di quasi un terzo il passaggio delle navi cargo; con relativo crollo della principale entrata del paese e conseguente caduta dell’economia. Il problema è che al contempo si è ridotta la disponibilità di acqua potabile nelle case di una parte dei 4,4 milioni di panamensi, che ora la ricevono solo con i camion cisterna. In un contesto di incremento della povertà e delle disuguaglianze sociali.
Avendo vinto con il 34% dei suffragi, Mulino non ha la maggioranza in Parlamento. Ma non gli sarà difficile conformare un governo di unità nazionale con le altre compagini della destra.
Viene da chiedersi che fine abbiano fatto le forze della sinistra, anche se in questo Paese non hanno mai prosperato: un misero 1% è quanto ottenuto da Maribel Gordón per quello che un tempo era il Frente Amplio. Eppure, solo nell’ottobre scorso si era registrata una mobilitazione di massa che aveva paralizzato il paese, ottenendo la revoca della concessione a un’impresa canadese per lo sfruttamento di una enorme miniera di rame a cielo aperto dalle gravi ripercussioni ambientali, oltre che per le precarie condizioni salariali e di salute di chi ci lavorava. Sta di fatto che il prossimo primo luglio Mulino si insedierà alla massima carica dello Stato. E si può prevedere che tra le prime cose di cui si occuperà ci sarà quella di liberare il suo mentore Martinelli. Col quale, appena eletto, si è fatto fotografare nella sede diplomatica nicaraguense; e dove ha, curiosamente, ottenuto la protezione del regime del Presidente Daniel Ortega.
In copertina: il canale di Panama, simbolo per eccellenza del Paese