Dossier/ Chi arma la Turchia

Con l’inizio dell’offensiva turca ai danni dei curdi siriani è opportuno chiedersi chi ha armato e continua ad armare il Paese guidato da Recep Tayyip Erdoğan e quali sono, se ci sono, i provvedimenti presi per bloccare l’esportazioni di armi.

Per farlo riprendiamo i dati forniti da Iriad, l’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, nel dossier dal titolo “L’attacco della Turchia al Rojava siriano” 2019.

E l'Italia?

Secondo i dati forniti dalla Relazione annuale al Parlamento italiano sulle operazioni svolte nel 2018, nella classifica dei primi venticinque Paesi per autorizzazioni all’esportazione di armi, la Turchia si colloca al terzo posto, dopo il Qatar e il Pakistan. L’Italia destina quindi il 15% delle proprie esportazioni di materiale bellico alla Turchia.

Nel 2018 il Parlamento italiano ha fornito alla Turchia 70 autorizzazioni, per un totale di 362 milioni di euro. Erano 133 nel 2016. Nel periodo tra il 2014 e il 2018 il totale delle autorizzazioni ammonta a 942 milioni di euro. L’incremento è avvenuto nonostante la posizione comune dell’Unione Europea stabilisca che “Gli Stati membri sono determinati a impedire l’esportazione di tecnologia e attrezzature militari che possano essere utilizzate per la repressione interna o l’aggressione internazionale o contribuire all’instabilità regionale”.

E nonostante la legislazione italiana, con la Legge 9 luglio 1990, n. 185 stabilisca che: “L’esportazione, il transito e la cessione delle relative licenze di produzione sono vietate se contrastano con la Costituzione e con gli obblighi internazionali sottoscritti dall’Italia; se dannosi per la sicurezza nazionale; se non vi siano garanzie circa la destinazione ultima dei materiali. Sono proibite le esportazioni e il transito di materiali d’armamento. verso paesi in guerra, «fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere […] verso i paesi che siano oggetto di embargo totale o parziale di materiale bellico da parte delle Nazioni Unite; verso paesi i cui governi si sono resi responsabili di violazioni dei diritti umani; verso paesi i quali «ricevendo dall’Italia aiuti ai sensi della legge 26 febbraio 1987, n. 49, destinino al proprio bilancio militare risorse eccedenti le esigenze di difesa del paese”.

I provvedimenti stabiliti dall’Italia contro la Turchia prevedono il blocco della stipula di contratti futuri (ma non quelli già concordati), il ritiro di 130 militari italiani impegnati in Turchia e della batteria di missili Samp-T impegnati sul confine siriano.

Fosforo bianco: utilizzo e limitazioni nelle leggi

Nello scontro militare dell’ottobre 2019 è stato a più riprese segnalato l’utilizzo, da parte dei militari turchi, di sostanze altamente infiammabili contro la popolazione. Il possibile utilizzo di fosforo bianco pone serie preoccupazioni per la sicurezza dei civili coinvolti.

Come analizzato da un dossier di Iriad (Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo), l’efficacia strategica del fosforo, in particolare del fosforo bianco, come arma è ben evidenziata dagli effetti drammatici nella popolazione. Il fosforo bianco, quando viene a contatto con l’aria produce anidride fosforica generando calore. L’anidride fosforica, a sua volta, reagisce violentemente con composti contenenti acqua, come il corpo umano, e li disidrata producendo acido fosforico. Il calore sviluppato da questa reazione brucia la parte restante del tessuto molle. Il risultato è la distruzione completa del tessuto organico. Gli effetti di avvelenamento e di bruciatura che ne conseguono risultano dunque drammatici e, nella maggior parte dei casi, mortali.

Il fosforo bianco è stato utilizzato in svariate guerre. Venne utilizzato dalle truppe italiane nel 1934 in Etiopia, durante la battaglia di Ual-Ual, provocando centinaia di vittime. Durante la guerra civile spagnola, nel 1937 l’aviazione nazista sganciò bombe incendiarie al fosforo bianco su Guernica. I tedeschi lo utilizzarono anche nella seconda guerra mondiale a Varsavia, a Rotterdam, a Londra e a Coventry. La Raf, coadiuvata dall’VIII flotta aerea americana utilizzò il fosforo bianco per innescare un incendio di dimensioni impressionanti su Amburgo nel 1943 e nel febbraio del 1945 ripeté la procedura su Dresda.

Gli Stati Uniti durante la guerra in Vietnam, inserivano il fosforo nelle bombe al Napalm, per avere effetti ancora più gravi sulle persone. E ancora In Iraq, nel marzo 1988, Saddam Hussein, lo utilizzò nella città di Halabja, al confine con l’Iran, causando la morte immediata di circa 7mila persone. Nella striscia di Gaza fonti fotografiche mostrano come Israele abbia, quasi certamente, utilizzato fosforo bianco durante le sue offensive nel 2009.

A proibire questo tipo di arma è la Convenzione Internazionale sulle Armi Chimiche, a cui aderiscono più di 160 paesi, firmata il 10 ottobre 1980 ed entrata in vigore il 2 dicembre del 1983. Ci sono però alcune falle. In particolare il Protocollo III vieta l’uso delle armi incendiarie, come le bombe al fosforo, soltanto se impiegate contro la popolazione civile e su truppe che si trovano vicino a zone occupate dai civili. Gli articoli di tale Convenzione lasciano quindi spazio all’interpretazione da parte degli stati firmatari che, nel corso del tempo, hanno ufficializzato posizioni differenti su vari punti, come, ad esempio, il concetto di separazione tra zona di battaglia e zona civile.

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