Questo dossier fa parte degli approfondimenti dedicati all’Agenda 2030 e analizza il target target 16: Pace, giustizia e istituzioni solide.
E’ uscito il World Press Freedom Index 2020. Il rapporto, pubblicato dal 2002 da Reporter senza frontiere (Rsf), lavora ogni anno sulla situazione dei giornalisti in 180 paesi e territori e costituisce un punto di riferimento per valutare la situazione della libertà dei media basata su una valutazione del pluralismo, dell’indipendenza, della qualità del quadro legislativo e della sicurezza dei giornalisti.
Secondo il rapporto i prossimi dieci anni saranno fondamentali per la libertà di stampa a causa di quelle che vengono definite “crisi convergenti che incidono sul futuro del giornalismo”: una crisi geopolitica (dovuta al aggressività dei regimi autoritari); una crisi tecnologica (a causa della mancanza di garanzie democratiche); una crisi democratica (dovuta alla polarizzazione e alle politiche repressive); una crisi di fiducia (dovuta al sospetto e persino all’odio nei confronti dei media); e una crisi economica (impoverimento del giornalismo di qualità). A queste cinque aree di crisi si aggiunge l’aggravante della crisi globale della sanità pubblica.
L’indicatore globale di Rsf – la misura del livello di libertà dei media in tutto il mondo – è migliorato nell’indice 2020 dello 0,9%. Si è però deteriorato del 12% da quando questa misura è stata creata nel 2013. La percentuale di Paesi che sono colorati di bianco sulla mappa della libertà di stampa (foto in copertina), ovvero dove la libertà di stampa è “buona”, è rimasta invariata all’8%, mentre la percentuale di Paesi di colore nero, in cui la situazione è “molto brutta”, è aumentata di due punti, arrivando al 13% del totale.
Di seguito analizziamo alcuni dei tratti salienti del rapporto 2020 e della conseguente classifica mondiale.
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La classifica Regione per Regione
L’Europa continua ad essere il continente più favorevole per la libertà dei media, nonostante le politiche oppressive in alcuni Paesi dell’Unione Europea e dei Balcani. A seguire ci sono le Americhe anche se gli Stati Uniti e il Brasile, stanno diventando “modelli di ostilità nei confronti dei media.” Anche l’Africa , al terzo posto, ha subito grosse inversioni, soprattutto con forme di detenzione arbitraria prolungata e attacchi online.
Il maggiore aumento delle violazioni della libertà di stampa (+ 1,7%) spetta però alla Regione Asia-Pacifico. L’Australia (in calo di 5 al 26) era il modello regionale, ma ora è penalizzata dalle minacce alla riservatezza delle fonti e al giornalismo investigativo. Ci sono poi altri due Paesi che hanno contribuito in modo significativo all’aumento del punteggio relativo alla violazione della libertà di stampa nella regione. Uno è Singapore (158°), in caduta di sette posizioni, a causa della legge sulle “notizie false”, che gli è valsa il colore nero sulla mappa della libertà di stampa. L’altro è Hong Kong, anch’esso caduto di sette posizioni a causa del trattamento riservato ai giornalisti durante le manifestazioni del 2019.
La regione dell’Europa orientale-Asia centrale ha mantenuto il suo penultimo posto nella classifica regionale, mentre il Medio Oriente e il Nord Africa continuano a essere le Regioni più pericolose del mondo per i giornalisti.
Sud America e Nord Africa
Nel Sud America, a parte le eccezioni del Costa Rica, ora al settimo posto nell’Indice e l’Uruguay, che si è mantenuto al 19° posto, l’indice 2020 è caratterizzato da un generale declino. Oltre al caso di Haiti (vedi Chi fa cosa) si rileva quello dell’Ecuador (meno 1 al 98°), dove le proteste contro il presidente Lenín Moreno sono state accompagnate da attacchi ai giornalisti. Lo stesso vale per il Cile (51°, caduto di altri cinque posti dopo quella di otto posizioni dell’anno precedente) dove le proteste del 2019 hanno portato a un’ondata di aggressività e attacchi mirati contro giornalisti e media.
Attaccati i giornalisti che seguivano le manifestazioni durante la campagna elettorale e le elezioni presidenziali nel novembre 2019 anche in Bolivia e in Argentina, che anche se continua a essere uno dei Paesi meglio educati della regione, è caduta di sette posizioni a causa della violenza della polizia e degli attacchi ai giornalisti durante le manifestazioni del 2019. In Brasile (in calo di 2 al 107° posto), gli effetti della presidenza di Jair Bolsonaro sono il motivo principale per cui il Paese è caduto di due posizioni nell’indice Rsf per il secondo anno consecutivo.
Con almeno dieci giornalisti uccisi nel 2019, il Messico (al 143°) continua a essere il paese più pericoloso dell’America Latina per i media. In Guatemala (116°) e Honduras (meno 2 a 148 °), i giornalisti che osano denunciare la corruzione politica sono spesso attaccati, minacciati, costretti a fuggire dal paese o assassinati.
La situazione per i giornalisti ha continuato a peggiorare in Nord Africa. In Algeria (146°), la cui caduta di cinque posti è la più grande della Regione, i giornalisti sono stati gravemente repressi dall’inizio dell’ondata di proteste “Hirak” nel febbraio 2019. Il Marocco (133°) ha guadagnato due posizioni nell’indice 2020, soprattutto grazie alla creazione di un Consiglio stampa, anche se non ha ancora contribuito a rendere l’ambiente per i media e i giornalisti meno minaccioso e sono stati avviati numerosi nuovi procedimenti giudiziari e condanne pesanti. In Libia (164°) i crimini contro i giornalisti sono rimasti completamente impuniti negli ultimi nove anni, mentre la guerra tra regimi rivali nell’Est e nell’Ovest del Paese ha provocato un clima spaventoso di minacce e violenza per i media.
In questo contesto regionale, la Tunisia è di gran lunga il paese meglio classificato e si è mantenuto al 72° posto. Continuando la sua transizione democratica, ha creato le basi per un settore dei media libero, indipendente e professionale anche se la stesura della legislazione sui nuovi media si è protratta per anni e il clima i giornalisti è peggiorato dopo l’elezione di un nuovo presidente nell’ottobre 2019.