Dossier/ Quando il terrorismo è nostrano (1)

a cura di Lucia Frigo

Dall’11 Settembre 2001, il mondo si è abituato a pensare al terrorismo associandolo a grandi organizzazioni come Al Qaeda e Isis: la minaccia per eccellenza è il terrorismo internazionale, di matrice jihadista, che viene dal Medio Oriente. Ma sempre più di recente assistiamo ad attentati che non hanno nulla a che fare con la jihad, ma sono commessi da cittadini bianchi, radicalizzati alla violenza di tipo xenofobo, antisemita, anti-islamica o neo-nazista.

Il termine “estremismo di destra”, con il quale paesi ed esperti identificano questo fenomeno, non indica l’affiliazione a nessun partito politico, ma raccoglie tutte le espressioni violente di ideologie razziste, xenofobe, neo-naziste o basate sul cosiddetto “potere bianco”; gli estremisti di destra si oppongono, in generale, alle politiche liberali degli stati moderni: che si tratti di integrazione, di emancipazione femminile, di diritti civili o sociali alle minoranze.

Secondo il global terrorism index, il terrorismo politico di estrema destra è una minaccia in costante crescita nell’ultimo decennio, sempre più mortale e sempre più diffusa in occidente. Tra il 2016 e il 2017, il 43% degli attentati in Europa era di matrice di estrema destra, e tutti gli attentati letali del 2018 negli Usa sono stati causati da suprematisti bianchi, ovvero individui che agiscono per prorogare la causa della “razza superiore, bianca, che si deve difendere dall’invasione di razze inferiori”.

Il terrorismo di estrema destra minaccia i paesi dell’occidente dall’interno, ma allo stesso tempo è un fenomeno a ragnatela, che connette gruppi e individui in tutto il mondo, permettendo all’estremismo violento di diffondersi continuamente.

Lupi solitari radicalizzati

Il 13 Marzo 2019 l’attacco alla moschea di Christchurch è stato il primo attentato terroristico in Nuova Zelanda: l’aggressore, un giovane australiano neo fascista, aveva scritto un lungo manifesto di 74 pagine sui social, inneggiando alla morte dei musulmani e alla strage per “ripristinare un futuro per i bianchi”; nella sua casa, foto di Benito Mussolini e manuali scritti da leader di gruppi di estrema destra come Generation Identity, un gruppo europeo.

Ma l’attentatore di Christchurch è solo uno dei tanti “lupi solitari” che sempre più spesso ricorrono al terrorismo: dalla sparatoria di El Paso (Usa), a quella italiana a Macerata, all’attentato di Toronto del 2018, sempre più spesso gli autori degli attentati terroristici più letali sono individui che agiscono da soli, senza appartenere a nessuna organizzazione terroristica (vedi focus 2).

Il fenomeno degli attentatori solitari è, sicuramente, legato a doppio filo alla rivoluzione di internet dell’ultimo decennio. Attraverso i social media, è sempre più facile per un individuo entrare in contatto con ideologie violente: soprattutto grazie agli algoritmi dei social, pensati per proporre sempre contenuti simili a quelli che una persona ha ritenuto interessanti. Così, in una spirale di “innocenti pagine Facebook” e “forum di persone che la pensano allo stesso modo”, la radicalizzazione di un individuo all’estremismo violento è facile. Gruppi di estremisti hanno imparato a usare tutte le piattaforme più congeniali, dalle chat criptate ai siti di videogiochi, per reclutare nuovi membri e spargere materiali propagandistici. Spesso le organizzazioni terroristiche fanno uso di materiali di altre organizzazioni terroristiche: Atomwaffer, un gruppo di estrema destra canadese, imparava a costruire dispositivi esplosivi grazie ai video di Isis che giravano sul web. Per questo, le grandi società digitali hanno sempre più spesso iniziato a collaborare con gli Stati (vedi Chi Fa Cosa) per mettere in pratica regolamenti che rimuovano dalla rete i contenuti violenti, estremisti o terroristici, proprio come è stato fatto – negli anni passati – contro la propaganda di Isis e Al Qaeda.

Una volta radicalizzati (su internet o nel mondo reale), gli attentatori solitari spesso scelgono di agire con i pochi strumenti che hanno a disposizione: gli attentati vengono perpetrati con armi “a basso costo”, ma dalla capacità letale elevatissima: il proprio veicolo lanciato a tutta velocità contro una folla, dispositivi esplosivi costruiti in casa, oppure una semplice arma da fuoco che in molti paesi (come gli Stati Uniti) è facile da reperire e da usare. L’assenza di una rete terroristica con cui discutere il piano, e di armi facili da tracciare e identificare rende questi attentati quasi invisibili alle agenzie di intelligence.

Gli Usa e la "supremazia dei bianchi"

La violenza e il terrorismo ad opera di suprematisti bianchi non è certo una novità per gli Stati Uniti: già dalla fine del 1800 il Ku Klux Klan predicava la “difesa della razza bianca”, e la violenza contro le minoranze etniche e religiose è una piaga che gli Usa non sono mai riusciti ad eliminare del tutto. In particolare dopo l’attentato alle torri gemelle del 2001, negli Stati Uniti il sentimento islamofobo e razzista si è costantemente fatto sentire in una serie di attentati e sparatorie soprattutto in luoghi simbolo come le moschee. Secondo un report dell’istituto di ricerca americano Anti-defamation League, che studia i crimini d’odio negli Stati Uniti, l’elezione nel 2016 del presidente Donald Trump non ha aiutato la lotta all’estremismo domestico: la posizione molto forte di Trump sugli immigrati e sull’accoglienza dei rifugiati provenienti da paesi a maggioranza musulmana ha alimentato il sentimento di intolleranza e ha contribuito a legittimare gruppi terroristici anti-musulmani, ultra conservatori e persino neo-Nazisti. Complici la retorica populista di Trump, che ammicca ai suoi elettori conservatori più radicali, e la gestione della crisi migratoria dal Messico, il numero di attentati terroristici ad opera dell’estrema destra è quasi raddoppiato negli ultimi due anni, dall’inizio del mandato di Donald Trump.

Nell’estate del 2019, l’ennesima sparatoria ad opera di un suprematista bianco ha richiamato l’attenzione sul problema del terrorismo domestico: l’attentatore, ispirato dagli eventi di Christchurch, ha fatto fuoco in un centro commerciale di El Paso, Texas, con l’intento di contrastare l’“invasione ispanica” negli Stati Uniti, uccidendo 22 persone. Sui social aveva pubblicato un lungo manifesto di chiaro stampo suprematista e xenofobo, inneggiando ad altri attentatori americani e non che si erano battuti per la “causa bianca”.

Dopo il tragico evento di El Paso, la Casa Bianca ha riconosciuto il grave problema degli Stati Uniti nella gestione del terrorismo domestico e dell’estremismo di destra.  A fine settembre 2019, il dipartimento di sicurezza nazionale (NHS) ha emanato la nuova strategia per il controterrorismo nel Paese: per la prima volta nella storia degli Stati Uniti d’America, il suprematismo bianco è menzionato come una minaccia per la sicurezza nazionale. Una buona notizia, dunque, che però dimostra quanto ancora ci sia da fare: il terrorismo domestico è definito e identificato, ma gli Usa non hanno – ad oggi – una legge che permette di arrestare e perseguire i terroristi domestici come invece è previsto per i terroristi internazionali.

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