Dossier / Leva obbligatoria in Medio Oriente e Nordafrica

“Negli ultimi anni, molti stati arabi hanno ripristinato il servizio militare obbligatorio , o lo hanno introdotto per la prima volta”, scrive in un dossier l’Italian Institute for International Polical Studies (ISPI), un think tank indipendente italiano dedicato allo studio delle dinamiche politiche ed economiche internazionali. “Una tendenza che sta (ri)emergendo” in tutta la regione MENA (Middle East and North Africa), l’ampia area estesa che va dal Marocco all’Iran, includendo la maggior parte degli Stati mediorientali e del Maghreb. “La scelta dei governi – continua l’ISPI – è guidata principalmente da fattori economici, obiettivi sociali e culturali, e non necessariamente da stretti intenti militari”. Una dinamica che, per il centro studi, inverte quanto avvenuto dopo la Guerra Fredda, coinvolgendo Paesi con diversi livelli di capacità statale. A ripristinare in tempi recenti il servizio militare obbligatorio, nazioni come il Kuwait nel 2017, il Marocco (2019), la Giordania (2020), cui si aggiungono quelle che lo hanno invece introdotto per la prima volta, come le petro-monarchie del Golfo Persico: Qatar nel 2013 ed Emirati Arabi nel 2014. Mentre in Iraq se ne sta discutendo, con un dibattito già giunto alla fase parlamentare. Si è così interrotto in trend che dopo il 1990, con la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica (URSS), aveva portato anche negli Stati mediorientali e del Maghreb (come in Occidente) all’abolizione del servizio militare obbligatorio, a favore di una professionalizzazione delle forze armate.

* Foto in copertina © zef art/Shutterstock.com; nella foto sotto un militare dell’aviazione irachena © The Art of Pics/Shutterstock.com

(Red/Est/ADP)

Una tendenza, tre dinamiche

A partire dal 2010, in varie nazioni della regione MENA si è assistito, ricorda l’ISPRI, alla “frammentazione e frattura dello Stato”. È ad esempio il caso di Libia e Yemen, dove “le contestate istituzioni nazionali sono crollate, aprendo la strada a una duplicazione, almeno, dei centri di potere”, spiega il centro studi. “In questi contesti gli eserciti non sono più attori nazionali: i gruppi armati sono diventati i pilastri della struttura difensiva, con segmenti di ex eserciti che si aggregano intorno a diverse formazioni armate”. In tali nazioni, “non essendoci più istituzioni unificate”, evidenzia l’ISPRI, “la leva militare è fuori dall’ordine del giorno”. La seconda dinamica evidenziata dal centro studi è “la crisi dello Stato e la resilienza”. Ci sono Paesi, come Marocco, Tunisia, Giordania e quelli membri del Consiglio di Cooperazione degli Stati del Golfo Persico (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar), dove “a causa del peggioramento delle condizioni economiche e di riforme calate dall’alto”, le istituzioni statali “stanno affrontando consistenti trasformazioni economiche e sociali”. Facendo svolgere alla coscrizione, “un ruolo sociale mitigando la disoccupazione e, in generale, mirando a infondere un senso di coesione nazionale e di appartenenza tra i cambiamenti economici e le minacce straniere”. La terza e più recente dinamica identificata dall’ISPI: la frammentazione e ristrutturazione degli Stati. Due casi su tutti. La Siria, dove la coscrizione serve all’imposizione del presidente Al Assad dopo la guerra civile scoppiata nel 2011 e al controllo sociale nei territori detenuti e riconquistati, dopo che Hezbollah, Iran e Russia hanno svolto un ruolo decisivo nella sopravvivenza del regime. Oppure nel confinante Iraq, nel quale secondo il centro studi la leva obbligatoria “potrebbe servire a obiettivi di ricostruzione della nazione”, svolgendo quindi una “funzione politica”. Tra gli scopi, quindi, “affrontare la disoccupazione, (ri)costruire l’identità nazionale o cercare di imporre il controllo territoriale”. È bene infine ricordare che, nelle nazioni arabe, gli eserciti “sono spesso politicizzati e, in alcuni casi, sono per lo più fedeli ai governi al potere piuttosto che allo Stato”.

Tre domande

Nel ricostruire il ritorno alla leva obbligatoria nel mondo arabo, per l’ISPI sono tre le questioni che restano aperte. La prima è la sostenibilità finanziaria: visto che alcuni Paesi in questione stanno vivendo un peggioramento delle condizioni economiche, la leva obbligatoria “diventa un onere finanziario significativo per governi a corto di contanti”. La seconda questione riguarda la tipologia degli eserciti. “Alcuni dei Paesi che hanno introdotto o reintrodotto il servizio militare obbligatorio puntano anche sulla costruzione di eserciti professionali”, puntualizza il centro studi. “Indipendentemente dall’istituzione di forze di riserva, la coscrizione non ha scopi puramente militari né primari, ma piuttosto obiettivi sociali e culturali a supporto di intenti politici”, rileva l’ISPI. Pertanto, “il ritorno della leva va di pari passo – o almeno non si scontra – con il processo di professionalizzazione degli eserciti”. La terza questione sollevata riguarda invece i rapporti tra civili e militari. Poiché “i governi arabi non hanno introdotto la coscrizione per alterare gli attuali equilibri tra la sfera militare e quella civile”, evidenzia il centro studi, quanto piuttosto per “cristallizzare lo status quo” e “ricalibrare gli equilibri di potere con altri concorrenti della sicurezza”, come nel caso a loro dire dell’Iraq.

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