di Theo Guzman
Bangkok – Sarebbero almeno un centinaio le vittime dell’ennesimo raid aereo dell’esercito birmano contro le colonne delle People’s Defence Forces (PDF), le forze di difesa popolari che fanno capo al National Unity Government (NUG), il governo ombra che si oppone alla dittatura militare birmana. È successo ieri nel villaggio di Pazigyi, township di Kanbalu nella divisione centrale del Sagaing, una delle aree del Myanmar centrale dove la guerra è a più alta intensità. Tatmadaw, com’è chiamato l’esercito della giunta, ha attaccato dopo le sette di ieri mattina con elicotteri da combattimento dai quali sono state gettate bombe con l’intento di colpire chi stava partecipando all’inaugurazione di un ufficio amministrativo in una delle zone dove il NUG e le PDF controllano il territorio.
Ma come spesso accade nelle manifestazioni pubbliche, c’erano anche donne e bambini e non solo i combattenti: almeno 15 donne e diversi minorenni sarebbero rimasti sotto le bombe, dicono fonti locali. Secondo l’opposizione, Tatmadw avrebbe potuto usare Enhanced Blast Weapons, bombe termiche che vengono normalmente usate per abbattere bunker ma che in questo caso sarebbero state tirate sui civili: il raid non avrebbe infatti prodotto buchi profondi nel terreno e inoltre è molto alto il numero dei morti e il tipo di ferite riscontrate.
Non è l’unico fronte. L’ultimo in ordine di tempo riguarda la zona di Myawaddy, sul confine birmano-thailandese, dove dal 4 aprile scorso le forze congiunte degli eserciti karen e delle PDF hanno sferrato un attacco contro l’area di Shwe Kokko, una zona a Nord della città di Myawaddy dove sono stati costruiti casinò e alberghi già dai tempi del governo civile. L’esecutivo di Aung San Suu Kyi aveva poi fatto un passo indietro quando era diventato evidente che il nuovo agglomerato urbano si stava trasformando nell’ennesima cittadella criminale fuori controllo. La giunta, dopo gli anni della Covid-19 e dopo il golpe, ha ridato linfa al progetto e l’attacco di questi giorni, secondo un comunicato ufficiale, servirebbe proprio a colpire gli interessi cinesi e gli strumenti (case dove è attiva la cybercriminalità) che generano valuta per l’apparato repressivo dei militari. Ma sarebbe stata anche una ritorsione dopo l’estradizione di tre miliziani dell’opposizione arrestati in Thailandia e consegnati alle autorità birmane di Myawaddi che poi avrebbero ucciso uno di loro (tutti e tre secondo altre fonti) dopo il trasferimento in Myanmar.
Secondo il quotidiano online Irrawaddy le forze karen e i loro alleati si sono scontrati ieri con le truppe della giunta nel villaggio di Mekanel, che come Shwe Kokko si trova nella municipalità di Myawaddy ma più a Sud. Anche in questo caso ci sarebbero stati raid aerei. Le forze della giunta si appoggiano a Myawaddy su una brigata di “rinnegati” karen che si sono alleati con Tatmadaw e che, in cambio della sorveglianza sulla frontiera, hanno la gestione e il controllo delle attività criminali. Inutile dire che la Brigata della frontiera è stata un buon motivo in più per sferrare l’attacco contro chi ha tradito la scelta maggioritaria dei Karen di stare dalla parte del National Unity Government contro i golpisti di febbraio.
L’offensiva in corso dal 4 aprile, ma iniziata in realtà già dal 25 marzo, ha preso di mira le decine di attività illecite o ai limiti della legalità che si praticano a Shwe Kokko, un nome difficile da trovare sulle mappe del Myanmar dov’è in corso da anni uno strategico allestimento territoriale. E dove piovono investimenti miliardari, sorgono hub cybercriminali frontalieri accompagnati da schiavitù sessuale o semplicemente vi è l’impossibilità di lasciare il posto di lavoro una volta che ci si accorge che non è un programmatore che cercavano ma chi sappia rubar soldi da carte e bancomat altrui.
La battaglia ha prodotto almeno 10.000 profughi in una sola giornata, ma ora le autorità thailandesi li stanno rimandando a Shwe Kokko. L’offensiva è stata dura ma non ha sfondato: per Tatmadaw sarebbe uno smacco perdere Shwe Kokko e i suoi soldi sporchi. E così sarebbe per la cybercriminalità cinese padrona di una città da cui, è bene ricordarlo, Pechino ha preso le distanze. Ma la prova di forza mostra anche le difficoltà della giunta militare nel difendere più fronti di battaglia se non usando l’aviazione.
In copertina profughi di Shwe Kokko. Nel testo una mappa di Google della cittadina e sotto l’hub in territorio thailandese (foto di Lettera22)