di Emanuele Giordana
L’entrata in scena delle bombe a grappolo nella guerra ucraina sta accelerando la votazione di una risoluzione parlamentare che impegna il governo italiano “a esprimere, attraverso le proprie delegazioni diplomatiche e in ogni foro multilaterale severa e netta condanna per l’uso di cluster bomb e mine antipersona in Ucraina e in ogni conflitto che ne registri l’impiego da uno qualsiasi degli attori coinvolti”. Paradossalmente la guerra finisce per creare anche i suoi anticorpi: la risoluzione impegna infatti l’esecutivo di Draghi a “garantire migliore protezione alle popolazioni civili coinvolte loro malgrado nelle guerre urbane” sostenendo un percorso diplomatico che “porterà all’adozione di una Dichiarazione politica internazionale per evitare l’uso di armi esplosive con effetti a largo raggio in aree popolate, allo scopo di evitare effetti indiscriminati sui civili e le loro infrastrutture”. Le bombe a grappolo appunto.
Le prove dell’uso di cluster, bombe che contengono micidiali bombette con un’azione che si allarga sul territorio e vi rimane, sono state documentate in Ucraina da tempo (Mosca e Kiev non hanno firmato il Trattato di Oslo – che vieta qualsiasi uso, produzione, trasferimento e stoccaggio di munizioni a grappolo – approvato da oltre 100 Paesi) ma ora sono tornate alla ribalta dopo l’invasione russa, denunciate sia da testimoni oculari sia dalle Nazioni Unite. Per ora le prove mettono sul banco degli imputati solo Mosca ma è certificato che anche Kiev le ha usate in passato.
L’11 marzo, l’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha dichiarato di aver ricevuto “rapporti credibili” di diversi casi di forze russe che hanno utilizzato munizioni a grappolo in aree popolate dell’Ucraina”, un uso che potrebbe costituire “crimini di guerra”. Altre fonti hanno confermato. Quanto a Kiev “non ci sono prove o accuse di nuovo uso di munizioni a grappolo in Ucraina (Donbass ndr) dal cessate il fuoco del febbraio 2015…(dopo che) attacchi con munizioni a grappolo del 2014-2015 in Ucraina – scrive il Cluster Monitor 2021 – hanno attirato un’ampia copertura mediatica, proteste pubbliche e condanne da almeno 32 stati e dall’Unione europea”. L’Ucraina che – contrariamente alla Russia ha però firmato il Trattato di Ottawa sul bando delle mine antipersone – ha ancora le caserme piene di mine e aveva chiesto tempo per smaltire le scorte. Purtroppo la storia delle guerre recenti sono piene di cluster: Nel solo 2020 le cluster hanno ancora ucciso in Afghanistan, Cambogia, Iraq, Laos, PDR, Sud Sudan, Siria, Yemen, Nagorno-Karabakh.
Il desk del Trattato di Oslo ha espresso “grave preoccupazione per le notizie sull’uso di munizioni a grappolo”. “Siamo molto preoccupati di queste azioni indiscriminate in disprezzo del diritto umanitario e di convenzioni internazionali che nessuno dei due Stati in conflitto ha firmato”, aggiunge Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine che però esprime soddisfazione “per la risoluzione italiana sulle cluster presentata il 17 marzo scorso”. Risoluzione – che fa seguito a un intervento in questo senso del ministro Di Maio nei giorni scorsi – depositata dai parlamentari Delrio, Ungaro, Quartapelle Procopio, Fassino e La Marca. Dovrebbe essere votata entro il 4 aprile, Giornata Internazionale per l’azione contro le mine e gli ordigni bellici inesplosi ed è il seguito ideale di una legge faticosamente approvata prima del Natale scorso (dopo un iter di diversi anni). Una legge che “introduce il divieto totale al finanziamento di società, aventi sede in Italia o all’estero, che, direttamente o tramite controllate svolgano costruzione, produzione, sviluppo, assemblaggio, riparazione, conservazione, impiego, utilizzo, immagazzinaggio, stoccaggio, detenzione, promozione, vendita, distribuzione, importazione, esportazione, trasferimento o trasporto delle mine antipersona, delle munizioni e submunizioni cluster, di qualunque natura o composizione, o di parti di esse”.
In copertina una bombetta inesplosa intercettata in Laos