Crisi diplomatica in America Latina

Ai ferri corti Messico ed Ecuador da una parte e Argentina e Colombia dall’altra

di Maurizio Sacchi

Due crisi diplomatiche hanno scosso l’America Latina negli ultimi giorni che hanno visto ai ferri corti Messico ed Ecuador da una parte e Argentina e Colombia dall’altra. Il 9 aprile ha tentato il suicidio Jorge Glas, l’ex vicepresidente dell’Ecuador, prelevato con la forza dall’ambasciata del Messico a Quito con un’incursione dell’esercito. Glas era il vice dell’ex presidente Rafael Correa, e dopo 5 anni di detenzione  per corruzione, si preparava a scontarne altri 9 agli arresti domiciliari. Il 17 dicembre scorso si era però rifugiato nella sede diplomatica messicana, chiedendo asilo. Quando il 6 aprile il Governo messicano lo ha ufficialmente concesso, mentre agenti di polizia trattenevano  i curiosi, due auto nere, a sirene spiegate, uscivano dall’ambasciata. A bordo, prelevato con la forza vi era Glas.

Roberto Canseco, il funzionario messicano responsabile dell’ambasciata, ha cercato fisicamente di impedire loro di entrare. “Mi hanno colpito, mi hanno sbattuto a terra”, [poliziotti] che sono entrati nell’ambasciata come ladri nella notte”. L’episodio ha spinto il Messico a sospendere le relazioni diplomatiche con l’Ecuador e ha infiammato le tensioni, già alte, tra i due Paesi. Lopez Obrador, il presidente del Messico, aveva già criticato aspramente l’attuale presidente dell’Ecuador, Daniel Noboa, accusandolo di aver manipolato la campagna elettorale, tentando di attribuire la responsabilità dell’assassinio del candidato Fernando Villavicencio agli avversari dell’attuale presidente. 

L’ufficio di Daniel Noboa ha commentato che l’arresto è stato eseguito perché il Messico ha abusato delle immunità e dei privilegi concessi alla missione diplomatica e che l’asilo del signor Glas è stato concesso “in contrasto con il quadro giuridico convenzionale”. Dopo la concessione dell’asilo politico a Glas, il governo ecuadoregno ha di fatto ordinato all’ambasciatore del Messico di andarsene, dichiarandolo “persona non grata”. 

Secondo un trattato del 1961, la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, le forze di polizia di un Paese ospitante non possono entrare in un’ambasciata senza il permesso del personale diplomatico. Insomma, l’Ecuador ha oltrepassato una linea rossa, violando palesemente il diritto internazionale.

Sul fronte Colombia-Argentina, il presidente colombiano Gustavo Petro ha espulso diplomatici argentini in seguito agli insulti del presidente argentino Javier Milei diretti proprio alla sua persona, definendolo un “terrorista”, “assassino” e in quanto “socialista”, un “escremento”. Il Ministero degli Esteri colombiano ha affermato che “i commenti del presidente argentino hanno deteriorato la fiducia della nostra Nazione, oltre a offendere la dignità del presidente Petro, che è stato democraticamente eletto”. Milei si è scagliato anche contro altri leader regionali, tra cui il messicano Andres Manuel Lopez Obrador.

Incidenti diplomatici tutt’altro che casuali. Se appena un anno fa il vento dell’America Latina spirava totalmente a sinistra, ora l’elezione di Milei -che é tra l’altro stretto alleato di Donald Trump-  rappresenta l’aspetto più evidente di un tentativo di reazione da parte delle destre. Se Milei ne é l’espressione ultraliberista in economia e ultraconservatrice in temi come l’aborto e le politiche di genere, Noboa in Ecuador, e Bukele nel Salvador ne rappresentano l’aspetto autoritario e l’approccio del pugno di ferro sul piano dell’ordine pubblico. Un conflitto che percorre tutto il continente, mentre il crescente potere delle organizzazioni criminali pervade la società e la politica di tutta l’America Latina.

*Nell’immagine, foto ufficiale dell’Ambasciata del Messico a Quito

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