di Raffaele Crocco
Se confermata, la cifra è spaventosa: nei 393 giorni di invasione dell’Ucraina, l’esercito russo avrebbe perso 173.000 uomini. “Persi” non significa necessariamente morti. In quella parola e in quella cifra ci sono anche i feriti e i prigionieri. Ma si tratta comunque di un numero mostruoso, che dà il segno esatto di quante storie, vite, possibilità questa guerra stia triturando. Il dato andrà naturalmente verificato. A diffonderlo sono le forze armate ucraine e quindi dubbi devono essercene. Al dato sulle perdite russe, poi, andrebbe affiancata la realtà ucraina. Anche qui, si va a spanne, ma gli esperti parlano di perdite superiori alle 50.000 unità, cui dobbiamo aggiungere almeno 20.000 civili. È un’ecatombe.
Dal punto di vista militare, molto accade, senza cambiare nulla. I russi insistono nell’attacco a Bakhumut, diventata per gli ucraini una specie di “ultima trincea”. Attorno a questa battaglia, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, sta giocando una partita vitale, non solo dal punto di vista militare. La resistenza sta costando cara alle sue forze armate, ma per questi è fondamentale dimostrare al mondo la capacità di tenuta e di difesa del Paese. E mentre ordina la difesa, annuncia una prossima controffensiva, resa possibile anche dall’arrivo dei carri Leopard II dalla Germania. Mosca reagisce attaccando politicamente Europa e Stati Uniti, rei di “aumentare la tensione e responsabili di una possibile escalation”.
Ancora sul piano militare, la pressione su Bakhumut prosegue, ma sembra avere minor slancio. Nei giorni scorsi, comunque, gli attacchi russi sarebbero stati almeno 60, in quattro diversi settori: Limansky, Bakhmutsky, Avdeevsky e Maryinsky. In una sola giornata, il 29 marzo 2023, si sarebbero registrati 25 attacchi aerei e 34 bombardamenti missilistici a Beryslav e nelle regioni di Kherson, Druzhkovka e Donetsk. Molte le abitazioni distrutte, tanti i civili rimasti feriti.
Nonostante le numerose azioni, servizi segreti e osservatori concordano sulla necessità delle forze armate russe di riorganizzarsi. I giornali russi da giorni scrivono che il presidente Vladimir Putin sta per lanciare la campagna di reclutamento per altri 400.000 uomini. Sarà, pare, su base volontaria, per evitare dissensi e opposizioni. Appare difficile, però, che possano esservi tutti quei volontari. In più, Mosca ha bisogno di rifornire gli arsenali. Mancano munizioni e mezzi, tutte cose che il Cremlino fatica a reperire sul mercato internazionale. Almeno in questa fase.
La realtà, dicono ancora gli osservatori, è che 13 mesi di guerra stanno mettendo in difficoltà i due governi. Putin deve fare i conti con un dissenso che cresce in modo proporzionale alla durata di questa guerra. Doveva essere una pratica da sbrigare in fretta, si sta al contrario rivelando una fornace in grado di bruciare uomini, risorse finanziarie e consenso politico. Il suo omologo Zelensky, dal canto suo, necessita invece di dimostrare la “tenuta” delle forze armate e deve convincere gli ucraini di essere in grado di mantenere i territori e di riconquistare quelli eventualmente perduti. Impresa non facile, questa, per il presidente ucraino.
Il lungo anno di guerra ha devastato il Paese. Per l’organizzazione umanitaria Save the Children, due famiglie su cinque in Ucraina sono in situazione di estrema povertà. Necessitano quindi di aiuto per sopravvivere. Nell’ultimo rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) sui bisogni multisettoriali dell’Ucraina, si legge che più del 40% delle famiglie non ha cibo a sufficienza, soffre di carenza d’acqua e non ha beni di prima necessità. Nelle aree dove si combatte di più, cioè nell’Est e nel Sud del Paese, questa cifra sale al 60%. Il tasso di inflazione è cresciuto, arrivando al 25%, una persona su quattro è disoccupata e per chi è sfollato – vale a dire chi ha abbandonato la propria casa, ma è rimasto in Ucraina – trovare anche solo un lavoro temporaneo è quasi impossibile.
L’orrore di questa guerra si espande, giorno dopo giorno, uccidendo vite e speranze. All’orizzonte non appaiono segni reali di possibili negoziati. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, che da mesi veste i panni del possibile mediatore, ha annunciato che Putin potrebbe visitare Ankara molto presto, proprio per parlare di pace. Contemporaneamente, il piano cinese per la fine della guerra resta sul tavolo. Zelensky non lo ha respinto e si dice pronto a discuterne con il presidente cinese, Xi Jinping. Senza ricevere, per ora, alcuna risposta.
Illustrazione in copertina © Borshch Filipp/Shutterstock.com