L’edilizia truffaldina delle “Scam City”

Viaggio lungo il confine tailandese-birmano dove fioriscono le città della truffa

di Emanuele Giordana

Le “Scam City”, le città della truffa, sono una creazione soprattutto birmana e si trovano lungo i confini del Paese in guerra dove fruttano denaro illegale alla mafia cinese ma anche alla giunta militare. Recentemente le cose stanno cambiando rapidamente perché in questa zona di confine con la Thailandia la resistenza birmana è all’offensiva. Siamo andati a vederle. Dall’altra parte del fiume.

di ritorno da Mae Sot – “È stato un mio parente a darmi la dritta quando, qualche anno fa, cercavo lavoro”. Bisogna fare i conti con le ristrettezze imposte, oltreché da un’economia fragile e dal Covid19, dal golpe militare birmano che dal 2021 ha bloccato quasi tutti gli investimenti stranieri in Myanmar. Che, in quel settore, si son portati via oltre un milione e mezzo di posti di lavoro. Le occasioni sono poche. E Wei (è un nome di fantasia), che sa bene l’inglese e prima lavorava nel turismo, accetta così un salto nel buio. Si tratta di andare in una città, di cui non fa il nome, dove il parente la manda a fare non si sa bene cosa ma con un buon salario. “Quando arrivo là mi infilano in una sorta di compound dove devo passare ore al telefono. Il lavoro è pesante ma quel che mi pesa di più è che non ci lasciano uscire. Nel compound c’è tutto: ristoranti, parrucchiere, negozi ma non si può nemmeno avere contatti con chi sta fuori. Resisto per un po’, poi scongiuro il mio parente di farmi tornare a casa. E alla fine mi… liberano”. Wei racconta questa storia mentre prepara un’insalata di foglie di té che è una specialità birmana diffusa e succulenta. Sa che alla fine è stata fortunata. Che ha sfiorato la schiavitù che costringe ogni giorno migliaia di cyber schiavi – soprattutto birmani e cinesi – a lavorare nelle cosiddette “Scam City”, le città della truffa di cui il Myanmar è costellato lungo molti dei suoi confini con Cina e Thailandia.

È abbastanza per decidere di tornare a osservarle queste città malvagie, dove una schiera di smanettoni contatta incalliti giocatori d’azzardo cinesi, anziani europei, donne sole americane, millenial tailandesi incauti in cerca di soldi o avventure facili. Tutto col cellulare. Si parte da un sms o da un messaggio Whatsapp. Uno di quei messaggi è arrivato sul cellulare italiano anche a me. Con l’immagine, nell’ovale di Whatsapp, di una ragazza asiatica dai capelli fluenti: “Hallo!”. La chiamata viene da un +95, prefisso del Myanmar. Si comincia così, rispondendo a un messaggino incuriositi dalla foto. Blocco il numero. Chissà se l’hanno preso a caso.

Viaggio a Mae Sot

Da Bangkok parto ai primi di marzo per Mae Sot, provincia di Tak, Thailandia occidentale, e questa volta decido di fermarmi un po’. A Mae Sot sono già stato l’anno scorso e delle Scam City so già qualcosa. È un fenomeno relativamente recente ma che, negli ultimi anni, ha cominciato a far parlare di sé. Soprattutto in America, il luogo più popoloso, danaroso e probabilmente più ambito dagli scammisti. Si parla in inglese e si conta in dollari o criptovalute. Nel 2023 avevo fatto una scappata a Mae Sot dopo una chiacchierata con Jason Tower a Bangkok. Tower lavora all’United States Institute of Peace, un centro di ricerca del Congresso americano. Si occupano di Scam city da molto tempo anche perché queste città vedono investimenti soprattutto cinesi. In un melange bizzarro tra i soldi delle Triadi, attività di riciclaggio e strategie della madrepatria che, nelle città della truffa, fanno combaciare l’interesse nazionale con quello della mafia. Per i cinesi sono hub di sviluppo controllati dall’Impero di Mezzo. Per la mafia il nuovo business che mescola droga, azzardo e prostituzione alle attività di scam online. È stato Jason a dirmi che a Shwe Kokko, a Nord di Mae Sot, c’è una popolazione di cyber schiavi che pensa “postrebbe essere di circa tremila individui”. Ed è a Bangkok – oltre che su Instagram – che molti di questi giovani informatici o sprovveduti abili coi videogame vengono assoldati alla luce del sole in qualche blasonata agenzia di Sukhumvit. Non solo asiatici: anche indiani, kenioti, filippini, gli stessi thai. Si parte dalle luci di Bangkok. Si arriva nel buio delle Scam City.

Shwe Kokko. La regina delle Scam City

La prima volta che avevo visto Shwe Kokko nel 2023 – la Scam City più famosa – ero rimasto abbagliato da una città sfavillante al di là del fiume Moei, venti minuti di motorino a Nord di Mae Sot. Avevo giusto scattato qualche foto dal posto di dogana thai dove nessuno aveva fatto caso a due turisti che fanno un paio di scatti. E avevo ripreso un traghettino che portava in Myanmar dalla Thailandia acqua potabile e mattoni. Al di là solo gru, muratori, facchini e un’enorme Casinò con un giardino curatissimo. Gli scammisti invece non si vedevano, chiusi come sono in una sorta di prigione. “La maggior parte delle vittime della tratta in questi complessi – ha scritto il South China Morning Post – non ha idea di essere in Myanmar finché non è troppo tardi. Per Grey, un giovane filippino, è stato solo quando ha visto la bandiera birmana che si è reso conto di non essere in Thailandia”.

Un anno dopo dunque sono di nuovo a Mae Sot, una città di forse 50mila abitanti. Il condizionale è d’obbligo perché le statistiche non sono chiare e, a seconda delle fonti, l’intero distretto di Mae Sot conterebbe 120.000 residenti cui si aggiungerebbero almeno altri 100mila birmani, tra rifugiati, clandestini, stagionali. Nella provincia di Tak sono forse molti di più. Vengono da oltre confine e quando va bene lavorano nelle decine di fabbrichette tessili della zona o come manodopera nelle campagne. Scappano dal conflitto tra giunta militare e resistenza. O, se ci riescono, da una Scam City. Scappare non è facile. Hanno il tuo passaporto e il tuo telefono. Se sgarri ti pestano. E appena fuori c’è la guerra.

Con la moto faccio su e giù per la frontiera a cercare le 15 aree che Jason ha individuato lungo 40 chilometri attorno alla città birmana di Miawaddy, che è divisa da Mae Sot da un ponte dove si affollano frontalieri e contrabbandieri. I militari thai chiudono un occhio. Non trovo quindici città ma diverse zone dove ampi sbancamenti al di là del fiume Moei – che in questa stagione puoi anche attraversare a piedi -, annunciano nuove costruzioni. Decine e decine di luoghi che promettono espansione edilizia. Le città vere e proprie che riesco a individuare sono quattro. Park KK a Sud di Myawaddy e Family Park, ai confini meridionali della città. Poco più a Nord c’è un’altra area in costruzione che è forse Gate 25. Dal confine tailandese, decine di ripetitori telefonici puntano sul Myanmar. Non è un segreto che elettricità e rete vengano dalla Thailandia, cosi come mattoni e cemento. Prima, luce e internet venivano dal Myanmar e nel 2020 il governo di Aung San Suu Kyi aveva tagliato l’una e l’altra alle Scam City, tentando un’inutile bonifica. Con il golpe militare del 2021 le cose sono riprese alla grande con rete e luce tailandesi, ma adesso i lavori mi sembrano fermi o fortemente rallentati. In sostanza, se vuole, Bangkok può chiudere il rubinetto. In questo momento deve aver abbassato la leva del contatore anche se non posso determinarlo.

Proseguo per Shwe Kokko, una ventina di chilometri a Nord, e il colpo d’occhio è impressionante. Ai confini di un Paese disastrato dalla guerra e ai bordi di una campagna miserabile, sorge una città a perdita d’occhio con grattacieli e luminarie che ricordano Hong Kong e Singapore. In un anno ha fatto strada. C’è uno schermo gigante che, la sera, proietta un enorme acquario di pesci virtuali. Ci sono centinaia di alloggi, decine di palazzi per uffici in vetrocemento, Casinò affacciati sul fiume. Il posto è talmente eclatante che un giovane imprenditore thai ci ha aperto un bar con vista sulla Scam City. Si chiama, non a caso “Chaina View”. Con un errore grammaticale pacchiano, come la piccola muraglia cinese che sta costruendo e da cui si vede il tramonto al di là del fiume. “Cosa fanno a Shwee Kokko? Non lo so”, dice il proprietario servendo da bere. Giovani coppie vengono a vedersi lo spettacolo di una città oscura che brilla come un diamante. Di cui si sa tutto ma di cui non parla nessuno. Segreti di Pulcinella tanto che, l’anno scorso in agosto, è uscito persino un film cinese sulle Scam City: No more Bets di Shen Ao, un successo al botteghino in Cina da 500 milioni di dollari in due mesi. Al bando in Myanmar e Cambogia, dov’è presumibilmente ambientato visto che nello Stato immaginario del Sudest di cui non si fa il nome si intravedono scritte in khmer. Ma c’è altro al di là delle polemiche sul danno d’immagine denunciato da Naypyidaw e Phnom Penh. Due mesi prima dell’uscita del film nelle sale cinesi in agosto, la Thailandia taglia di nuovo la luce alle Scam City mentre in luglio l’ambasciatore cinese a Yangon rilascia una dichiarazione pubblica sulla “lotta ai crimini e alle frodi telematiche interne al Myanmar nelle aree di confine”. Sono gli indizi che qualcosa sta per cambiare.

 

 

 

L’inizio dieci anni fa

Shwe Kokko nasce nel 2015 come investimento della “Yatai International Holding Group” di Hong Kong, in partnership con “Chit Linn Myaing Co. Ltd”, una società birmana, anzi karen. I Karen sono la popolazione di questa zona del Myanmar e sono in guerra con la giunta militare di Naypyidaw. Il confine, fino a qualche settimana fa, era controllato da un gruppo rinnegato di miliziani karen alleati coi golpisti che formano le Bgf, brigate di frontiera fedeli al regime. Il loro capo si chiama Saw Min Min Oo e, come altri graduati delle Bgf, siede nel CdA della Chit Linn Myaing che è dunque roba delle Bgf. Shwe Kokko è la punta di un iceberg che, secondo le Nazioni Unite, conterebbe su una forza lavoro di schiavi di circa 120mila unità nel solo Myanmar. Segue la Cambogia con almeno 100mila. Poi c’è il Laos. Questo esercito è specializzato in furti telematici utilizzando moneta virtuale: un business truffaldino stimato globalmente nel 2021 dall’Onu all’equivalente di 7,8 miliardi di dollari in criptovalute rubate. A fine febbraio però, la ricerca “How Do Crypto Flows Finance Slavery? The Economics of Pig Butchering”, di John M.Griffin e Kevin Mei dell’Università di Austin nel Texas, ha fatto lievitare la cifra del Pig Butchering – in gergo contadino l’ingrassamento del maiale prima di scannarlo – a un spostamento di “almeno 75,3 miliardi di dollari in conti di deposito sospetti”. E’ la trappola della criptovaluta, che consente di far sparire i soldi investiti dalla vittima dopo averne conquistato la fiducia. Griffin e Mei sostengono che gli affari si fanno soprattutto in Myanmar e Cambogia e spiega come le truffe si reggano sulla schiavitù degli scammisti. Ma le Scam City non disdegnano comunque il commercio tradizionale: metanfetamina, specie protette, prostituzione, tavolo verde e, soprattutto, il gambling online (scommesse via web, vietate in tutto il mondo). Per Cinesi e Thai in presenza; basta attraversare un confine. Per tutti gli altri, online.

Da qualche tempo però le cose sono cambiate. I cinesi hanno imposto una svolta e costretto la giunta a fare un po’ di arresti di boss delle Triadi nel Nord del Myanmar. Poi Pechino ha ordinato, non è chiaro se ai golpisti, alle Bgf o a tutti e due, di liberare un migliaio di cinesi dal sito Park KK che ho appena visto coi lavori fermi. A fine febbraio sono stati rimpatriati in sordina 900 cinesi dall’aeroporto di Mae Sot anche se un video amatoriale malandrino ha rivelato la storia che è finita sui giornali. Lungo la frontiera adesso i lavori non vanno avanti e la polizia thai ha un atteggiamento più minaccioso. A Shwe Kokko non c’è aria di smobilitazione ma, la notte, le finestre illuminate sono poche. Qualcosa si muove. Anche perché in gennaio, le Bgf – con una scelta che non pare causale dopo la stretta di Pechino – hanno ribaltato le alleanze e rotto i rapporti con la giunta schierandosi con la resistenza karen. “Non ufficialmente ma in segreto”, mi spiega un giovane karen che lavora in Thailandia. La nuova alleanza si sta traducendo in una battaglia oltre confine a Sud e a Nord di Miawaddy per la conquista della città da parte della guerriglia anti golpista. Si sentono i boati dei bombardamenti al di là del fiume a meno di 10 chilometri in linea d’aria. Ma forse per le Scam City c’è ancora una possibilità. Finora infatti, nemmeno una scheggia è caduta sulle tenebrose luci di Shwe Kokko.

In copertina: tramonto su Shwe Kokko. Nel testo: Shwe Kokko e Caffè coin vista sulla Scam City. Turismo tenebroso e scintillante a Mae Sot

Una parte rilavante di questo reportage è uscito anche su IlPost

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