Caccia F-35: le adesioni al programma

a cura di Alice Pistolesi

I  caccia F-35 di frequente diventano protagonisti del dibattito politico italiano ma i velivoli sono un elemento fondamentale della difesa di un gran numero di Paesi alleati degli Stati Uniti.

Nel corso di questo dossier analizzeremo brevemente il programma F-35, chi li produce, chi li ha comprati o opzionati, il caso italiano oltre ad un rapido sguardo al lato russo.

Quando si parla di F-35 si potrebbe parlare anche a lungo dei difetti di fabbricazione e delle polemiche che facilmente si sono levate. La scelta è stata però quella di accennarle solamente e di attenersi ai dati.

Il programma F-35

Il programma F-35 è uno dei pilastri della Difesa aerea degli Stati Uniti e di molti dei suoi alleati. Gli Stati Uniti ne hanno fatto una colonna portante avviando una massiccia campagna di vendita e di conseguenza di esportazione. Il velivolo ha iniziato ad essere utilizzato anche in operazioni belliche, come in Afghanistan.

L’f-35 è prodotto dalla Lockheed Martin (vedi chi fa cosa), l’azienda statunitense attiva nei settori dell’ingegneria aerospaziale e della difesa e i miliardi incassati entrano nel circuito economico degli Stati Uniti alimentando l’apparato militare-industriale americano e di conseguenza l’industria nazionale. Il caccia, altamente computerizzato, è anche un mezzo pronto per il cyberwarfare ed è in grado di registrare i dati da parte dei software inseriti all’interno dell’aereo.

Per far questo la Lockheed ha creato un firewall per dare ai partner internazionali la possibilità di rivedere e bloccare i messaggi per prevenire la perdita di dati sovrani. Le Forze armate possono scegliere quali dati vogliono condividere con l’hub di comunicazione centrale negli Stati Uniti e quali mantenere nel segreto nazionale.

All’interno di questo tipo di guerra, infatti, chi possiede le chiavi di accesso del caccia possiede una parte della propria sicurezza nazionale. Il problema del controllo dei dai non è rilevato solo dai partner internazionali, ma anche dagli Usa stessi. Dipendendo dall’industria elettronica cinese, molti di questi componenti finiscono nei velivoli che contengono malware con cui Pechino può monitorare la Difesa statunitense.

Il programma Joint Strike Fighter

Il sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo (M5s) ha promosso e discusso a fine 2018 il programma di armamento Joint strike fighter che ha previsto l’ordine di 90 cacciabombardieri F-35 per un totale di circa 14 miliardi di euro.

Il programma è presente anche nel Documento programmatico pluriennale per la Difesa presentato nell’ottobre 2018 dal ministro Elisabetta Trenta. L’ordine agli Stati Uniti è arrivato mentre il Congresso avvertiva la Difesa Usa di non procedere all’acquisto definitivo finché non siamo risolti tutti i problemi tecnici dei mezzi. Problemi che negli anni di creazione dei velivoli sono stati molteplici.

Secondo Mil€x, l’Osservatorio sulle spese militari italiane un velivolo costerebbe 85 milioni di dollari per la versione convenzionale,  110 per quella imbarcata, ovvero quella che permette il decollo verticale dalle navi.

Ai 14 miliardi di euro previsti andrebbero aggiunti almeno 35 miliardi di euro di costi operativi e di supporto logistico per i 30 anni di vita di questi 90 aerei. Il 5 giugno 2018 il Government Accountability Office (Gao), l’organismo di controllo del Congresso americano sulle spese del Pentagono, ha preso posizione  in vista della conclusione della fase di sviluppo del JSF prevista per ottobre 2019 consigliando al programma di sviluppo dell’F-35 di “risolvere tutte le carenze tecniche emerse prima di intraprendere la produzione a pieno ritmo”.

Come si legge nel sito dell’aeronautica militare “la partecipazione italiana al Programma Joint Strike Fighter inizia nel 2002, per vedere poi nel 2009 il Parlamento italiano approvare l’acquisizione dei velivoli e la realizzazione di una linea nazionale di assemblaggio e verifica finale”.

Il primo volo del primo velivolo assemblato in Italia è avvenuto nel settembre 2015, la prima trasvolata atlantica nella storia del JSF nel febbraio 2016. L’Italia è stata poi il primo paese Partner ad attivare una base operativa JSF al di fuori dei confini statunitensi presso il 32° Stormo di Amendola (dicembre 2016).​​

“Il velivolo – si legge nel sito web – JSF è attualmente in uso all’Aeronautica Militare è quello nella variante A, Conventional Take-Off and Landing (CTOL): versione a decollo e atterraggio convenzionale. Il 25 gennaio del 2018 è stata consegnata al Ministero della Difesa anche la versione B, Short Take-Off and Vertical Landing (STOVL): versione a decollo corto ed atterraggio verticale per l’impiego sia su piste austere e sia su unità navali tipo LHA/LHD/CV (Amphibious Assault Ships and Aircraft Carrier)”.

 

 

Tags: