Dossier/ Dov’è finito il Pacifismo?

a cura di Alice Pistolesi

Il Pacifismo è cambiato, così come è cambiato il mondo. Ma cosa è rimasto dei movimenti per la Pace che vent’anni fa scuotevano il Pianeta e portavano la società civile in piazza? Il tema centrale è ancora la Pace o oggi c’è altro di più urgente su cui concentrarsi? E ancora, quali sono le motivazioni sociali, politiche, economiche che hanno portato a un’involuzione del movimento pacifista mondiale?

Abbiamo rivolto queste domande ad alcuni degli esponenti del movimento di allora e ad alcune altre ‘voci esperte’ di ieri e di oggi.

*In copertina Photo by Humphrey Muleba on Unsplash

*Di seguito foto di Associazione PeaceLink, manifestazione di Roma del 15 febbraio 2003

Movimenti per la Pace e Nazioni Unite: quale rapporto?

“I movimenti pacifisti, così quelli che incitano alla violenza, hanno cicli storici – spiega Giovanni Camilleri, che ha lavorato per le Nazioni Unite per più di trent’anni, operando in molti contesti di guerra – Ci sono sempre state fasi dominate più dalla dimensione pacifista e altre dalla violenza. Evidentemente queste fasi sono figlie di una situazione, di un terreno: laddove c’è insicurezza, c’è paura di non poter offrire ai figli una vita dignitosa, se si pensa di essere aggrediti, ci sono le condizioni giuste per una guerra. Il pacifismo oggi si esprime in modo diverso. Prima le grandi manifestazioni erano gli strumenti principali, mentre ora i social hanno sostituito molto queste manifestazioni. C’è la tentazione di ‘delegare ai social’, firmando per questa o quella petizione. È come se la firma stesse sostituendo la politica. Oggi i partiti non sono più radicati nel territorio, c’è sfiducia politica e istituzionale e di conseguenza anche la mobilitazione per obiettivi come la pace fa più fatica.

Gli europei, ad esempio, normalmente guardano molto in casa propria, soprattutto noi italiani. Se il movimento pacifista qui si è calmato ed è fermo, non si può pensare che sia così in tutto il mondo. Ci sono Paesi che si muovono e si organizzano, ma è evidente che sono cambiate le modalità e il contenuto della mobilitazione.

Nel dna delle Nazioni Unite c’è la difesa della pace, è il suo primo obiettivo. Da ex Onu, posso dire che le Nazioni Unite, con i suoi alti e bassi non ha mai smesso la continua promozione del dialogo tra i Paesi sui temi della pace. Ovvio che il dialogo non dà risultati immediati. Il conflitto fa credere che si stia realizzando qualcosa di rapido definitivo, anche se la storia insegna che dove non c’è stato dialogo in conflitti restano e tornano.

Il dialogo promosso dall’Onu non è solo tra governi ma con e tra tutti attori coinvolti nelle tematiche di pace. Onu ha avuto e ha un ruolo importante perché è il riferimento per i movimenti pacifisti, che sanno di poter fare affidamento su un’organizzazione internazionale. Mi vengono in mente alcuni esempi: la grande mobilitazione per Jugoslavia, con i movimenti riuniti sotto bandiera Onu o in Libano dopo l’ultima guerra con Israele, quando ci fu un accordo con enti locali per la pace e ancora la Perugia-Assisi, sostenuta dall’Onu da sempre. Sono solo alcune belle espressioni di come si possa valorizzare il rapporto tra movimento pacifista e Nazioni Unite.

Credo che i movimenti ambientalisti siano ovviamente pacifisti e siano una riedizione più approfondita di quello che era movimento pacifista di allora. Nei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 c’è ovviamente la pace, da declinare con le sue priorità e caratteristiche nei vari territori. La Pace in questo senso è il prodotto di uno sviluppo sostenibile. I movimenti ambientalisti ci hanno dato l’idea che l’attivismo della società civile goda di buona salute, anche se i governi fanno fatica a seguirli.

Chi dice che l’Onu non si muove, che non è efficace deve considerare due aspetti fondamentale. Il primo: il suo mandato è quello di essere un organo super partes. Con il ‘cattivo’ bisogna dialogare, prima di poter prendere altri provvedimenti. È un meccanismo graduale. Se l’Onu perdesse il ruolo negoziale non verrebbe più riconosciuto come ente mediatore. Ovvio che l’Onu sta  dalla parte di chi soffre, di chi è aggredito, ma deve poter essere riconosciuto come ente negoziatore per poter provare a fare la differenza.

L’altra questione è poi che l’Onu non è astratto ma è il braccio operativo di tutti Paesi mondo. Sono gli Stati che decidono mandato e in questo ci sono dei limiti. Limiti espressi in varie situazioni: si tratta di capire se vogliamo seguire la logica di chiederci perché esiste, se è ancora utile, o se invece vogliamo rendere quest’Istituzione più potente e ampliarne il mandato per essere più efficace”.

Pacifismo: evoluzione cercasi

Romina Perni, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Perugia ha scritto, insieme a Roberto Vicaretti il libro ‘Non c’è pace. Crisi ed evoluzione del movimento pacifista’ (People 2020): “‘Non c’è pace’ rappresenta il tentativo di saldare le diverse ragioni che hanno portato il movimento contro la guerra e per la pace, così come lo avevamo conosciuto agli inizi degli anni Duemila, a subire una metamorfosi significativa. Si è trattato, infatti, dell’ultimo grande movimento strutturato di massa, che ha saputo costituirsi come una comunità anche e soprattutto per stare “dentro” la globalizzazione da sinistra. Se è vero che esistono ancora associazioni, gruppi e movimenti che lavorano con gli stessi scopi di allora, oggi il panorama è completamente diverso. Un cambiamento quantitativo e qualitativo, se lo intendiamo nel senso dello spessore e dell’incidenza in ambito politico.

In venti anni è mutato il “mondo fuori”: viviamo in un contesto dominato dalla paura, che porta a ripiegarci su noi stessi (singoli soggetti, gruppi, Stati); la guerra, per usare le parole di Papa Francesco, è “a pezzetti” e il terrorismo è entrato nelle nostre esistenze quotidiane; abbiamo vissuto una crisi economica durissima, che ha condizionato scelte e azioni politiche; siamo dentro una crisi generale della partecipazione in seno alle democrazie contemporanee. Ma le ragioni della “metamorfosi arcobaleno” si trovano anche all’interno: più che nelle presunte debolezze concettuali e teoriche, nella capacità di tenere insieme soggetti diversi e nello scacco verificatosi tra il dire e il fare. Le rivendicazioni delle piazze non hanno sempre coinciso con quelle di chi doveva concretizzare le scelte politiche “per la pace”.

Forse non esistono nuove versioni di quel movimento. Ma sicuramente esiste una continuità di questioni e di temi. Le lotte contro il cambiamento climatico rappresentano una ventata d’aria fresca e pongono problemi legati alla costruzione della pace su scala globale. Ci sono dei fili che hanno legato in maniera significativa pacifismo e femminismo, che sarebbero da ripercorrere per creare nuove tessiture. La pace è un concetto complesso, che per sostenersi ha bisogno di tante componenti. Non è possibile dire se ritornerà ad essere un tema centrale. Certo è che quel movimento segnò una strada, ramificata, non semplice, a tratti impervia. Molto spesso camminiamo sugli stessi sentieri senza nemmeno rendercene conto”.

Una protagonista del movimento dei primi anni del Duemila è stata Raffaella Bolini di Arci: Il 15 di febbraio 2003 a Roma ci fu la manifestazione più grande di tutto il Pianeta. L’Italia aveva un grande movimento pacifista e di solidarietà internazionale – anche in Iraq. Ma ciò che rese possibile il 15 febbraio fu la forza grande dell’altermondialismo, quello di Genova, Porto Alegre, Firenze contro la globalizzazione della ingiustizia. Fu quel movimento a promuovere e organizzare il 15 febbraio, a livello globale e nazionale. Senza i no global, il 15 febbraio non ci sarebbe stato.

A quel tempo, rappresentavo l’Arci nel movimento dei movimenti. Eravamo riusciti a costruire una grande convergenza antisistemica di tutti i diversi temi, contenuti, pratiche. E ciò permetteva di cogliere i momenti cruciali nel mondo, e di mobilitarsi insieme: contro la guerra all’Iraq si erano fatti pacifisti tutti, non solo quelli a tempo pieno.  Dopo quel periodo, una convergenza così non c’è più stata. In questo lungo periodo di frammentazione tematica si sono sviluppate competenze e pratiche fortissime, ciascuna sul proprio terreno: e molte hanno prodotto grandi passi avanti sia sul terreno dei contenuti sia nel coinvolgimento di attori sociali.

Ma la frammentazione è anche una grande debolezza. Frammentati pesiamo meno, il potere ne approfitta, e non riusciamo ad offrire un punto di riferimento generale di fronte alla crisi di sistema che, ora con la pandemia, si mostra ormai in tutta la sua drammaticità. Anche il pacifismo è tornato un tema fra i tanti, e non il più diffuso: come se occuparsi del mondo sia un lusso per i tempi buoni, non per quelli di crisi.

Negli ultimi tempi, ci sono segnali di contro-tendenza. Sono sulla scena grandi movimenti intersezionali, come in Cile, negli USA, in Polonia, dove intorno a una vertenza specifica si riunisce tutta l’opposizione democratica. E la stessa pandemia spinge a convergenze che tengono insieme i diritti dell’ecosistema, della natura e degli umani, come la Società della Cura in Italia. E’ una idea di alternativa sistemica che, mettendo al centro la difesa e l’accudimento di tutta la vita sul pianeta, può rinnovare e attualizzare anche i valori del pacifismo italiano”.

Roberto Savio, giornalista, economista e analista di problemi internazionali:  “Il Movimento pacifista si poneva il problema della spesa militare, che se investita meglio poteva risolvere molti altri problemi. Ma le spese militari non sono il solo elemento di scandalo. Oggi con i soldi di Bill Gates, tanto per citarne uno, si potrebbe risolvere molti problemi nel mondo. Già negli anni 70 mi battevo affinché il 10% delle spese militari andasse alla ‘sicurezza umana’. Se si è più sicuri, se si ha un lavoro degno, si gode di diritti, si è tutti più sicuri.

La crisi del movimento pacifista è dovuta a varie questioni: la fine della guerra fredda e l’arrivo del neoliberalismo spinto da una finanza che è diventata un mondo a sé. Del pacifismo oggi non si sente urgenza perché il tema conflitti è limitato a zone specifiche e non è globale.

Credo che la questione Pace tornerà presto di moda perché siamo alle porte di una seconda guerra fredda, ben peggiore della prima, tra la Cina e l’Occidente. Credo arriverà di nuovo un’ondata del movimento per la pace perché ci sarà conflitto globale. Come sappiamo la Guerra provoca una serie di conseguenze. In questi anni è stato più facile occuparsi di alcune di queste, come la migrazione, piuttosto che di guerra in sé. Gli anni della globalizzazione hanno aumentato la frammentazione anche dei temi. Un ragazzo di 18 anni oggi ha molte più possibilità di impegno e sceglierà temi che rileva essere più concreti della pace. In effetti prima il mondo era più semplice, duale. Oggi non è più così.

In questi anni in molti si sono impegnati contro il razzismo, si sono creati forti movimenti di donne, per non parlare del tema che secondo me è il vero centro della discussione attuale: l’ambiente. Se non vengono risolte le questioni legate al clima, il resto diventa un dibattito. Credo che il tema dei temi, che prima poteva essere considerato la pace, oggi debba essere il clima e il nucleare.

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