Dossier Agenda 2030/ Conflitti e violenza sessuale – 2

Questo dossier fa parte degli approfondimenti dedicati all’Agenda 2030 e analizza il target 5: Parità di genere.

a cura di Alice Pistolesi

Dove ci sono conflitti gli abusi sessuali sono all’ordine del giorno. In questo dossier continueremo l’analisi del rapporto ‘Conflict related sexual violence’, redatto dalle Nazioni Unite prendendo in considerazione alcuni casi che coinvolgono aree di crisi.

Tratteremo quello che è successo nel 2018 nella Repubblica Centrafricana con gli abusi delle milizie, nel Myanmar ai danni delle donne Rohingya, in Siria e in Iraq con il gruppo Stato Islamico, in Libia nei centri di detenzione, e infine, in Bosnia a vent’anni dagli stupri su base etnica che distrussero il Paese.

Il rapporto approfondisce anche i casi della Repubblica Democratica del Congo, del Mali, della Nigeria, del Nepal, della Costa d’Avorio, dello Sri Lanka, del Burundi, dello Yemen, del Sudan, del Sudan del Sud e della Somalia.

Qui il primo dossier ‘Conflitti e violenza sessuale – 1‘ che analizza i tratti globali del rapporto.

*Le foto sono tratte dalla pagina Facebook e dal sito www.un.org/sexualviolenceinconflict/

Gli stupri in Iraq e Siria

In Iraq il maggiore problema del 2018 è stato ancora una volta il gruppo Stato Islamico. Il governo regionale del Kurdistan stima che gli scomparsi yazidi siano 3.083, tra cui 1.427 donne e ragazze. A questo numero va aggiunto quello delle donne e ragazze di altre comunità prese di mira da Isis, tra cui i turkmeni sciiti. Nei campi per sfollati, donne e bambini con affiliazione percepita a Isis o provenienti da aree che precedentemente erano sotto il controllo del gruppo, erano oggetto di violenza sessuale, sfruttamento, circolazione limitata e mancanza di accesso a servizi e documentazione civile. Tutti questi fattori, uniti alle difficoltà economiche, contribuiscono ad un ulteriore sfruttamento sessuale. La violenza sessuale rimane anche in questo caso sottostimata a causa della paura di rappresaglie, preoccupazioni di sicurezza e sfiducia nel sistema legale.

Situazione drammatica anche in Siria: nel 2018 le notizie hanno confermato che la violenza sessuale e in particolare il matrimonio precoce o forzato continuano a colpire donne e ragazze. Secondo il rapporto nella Repubblica araba siriana, l’uso della violenza sessuale durante la detenzione e ai posti di blocco è di routine. Nel 2018 sono state denunciate “forme medievali di punizione” da parte di membri di gruppi estremisti nei confronti di uomini ‘accusati’ di omosessualità.

Occhi sulla Libia

Il caos libico è il terreno ideale per la violenza sessuale. Le donne e le ragazze migranti sono particolarmente vulnerabile allo stupro e ad altre forme di violenza sessuale. Molte sono esposte alla prostituzione forzata e allo sfruttamento sessuale in condizioni di schiavitù. Le persone nigeriane sono particolarmente vulnerabili alla tratta di gruppi armati e di reti criminali multinazionali, sono detenute in “case di collegamento” a Tripoli e in Sabha dove vengono sottoposte ad abusi sessuali da parte di uomini armati.

Dal momento che in Libia manca la legislazione e un sistema anti-tratta per identificare e proteggere i sopravvissuti, queste donne temono il processo e per questo non denunciano. Nel 2018, la missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia ha documentato quante donne e ragazze migranti sono state vittime o testimoni di abusi sessuali da parte di contrabbandieri, trafficanti e membri di gruppi armati, così come dai funzionari del Ministero degli Interni, durante il loro viaggio attraverso la Libia e nei centri di detenzione per migranti. I sopravvissuti hanno descritto di essere stati portati via da uomini armati e ripetutamente violentate da più persone.

Molti hanno riferito di essere stati violentati di fronte ai loro figli e ad altri testimoni. Sono stati inoltre denunciati casi da vera e propria tratta di schiavi: le persone hanno confessato di essere stati “venduti” più volte, e che alcune donne hanno avuto figli dopo gli stupri. Molte non sono tornate nei propri paesi per paura di stigmatizzazione e rifiuto.

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