Onu, aspettando la riforma: il peacekeeping

a cura di Alice Pistolesi

In settant’anni le Nazioni Unite hanno operato in settantuno missioni che hanno lasciato sul campo oltre tremila soldati morti. Le missioni Onu non sono state sempre uguali: le operazioni di peacekeeping che conosciamo sono infatti relativamente giovani.

Fino al 1988 le Nazioni Unite hanno schierato solo 14 volte le forze di pace. Durante la Guerra Fredda, infatti, Stati Uniti e Unione Sovietica si sono spesso bloccate a vicenda nel Consiglio di sicurezza.

Di fatto quindi è nel 1992, con il mandato del segretario generale Boutros Boutros-Ghali, che i caschi blu hanno iniziato ad assumere incarichi più complessi.

Con la fine della Guerra fredda il loro ruolo è cambiato passando da ‘sorveglianti di pace’, a ‘impositori di pace’. Un esempio su tutti di questo cambio di passo è la Somalia del 1992, quando i soldati statunitensi e delle Nazioni Unite subirono pesanti perdite contro i ribelli di Aidid.

Secondo molti le missioni hanno negli anni dimostrato di essere scarsamente efficaci. Le motivazioni di ciò, secondo più osservatori, sono da ricercarsi nella scarsità di informazioni che la stessa Onu ha del Paese in cui va ad operare, lo scadente equipaggiamento e i mezzi poco adeguati e la bassissima motivazione  dei militari impegnati.

La maggioranza dei soldati proviene infatti da Paesi africani che li invia principalmente per un ritorno finanziario.  Gli Stati Europei spesso decidono di non partecipare alle missioni in Africa, ad eccezione di quella in Mali che si è trasformata in un’operazione antiterrorismo e dove sono infatti coinvolte truppe europee.

Per tutti questi motivi e per altri ancora che in questo dossier proviamo velocemente ad analizzare, di riformare le missioni Onu, così come di riformare l’Onu stesso si parla da anni, senza essere mai arrivati ad una soluzione che soddisfacesse almeno la gran parte degli attori internazionali (vedi focus 1).

Il Segretario generale, Antonio Guterres, sta valutando una serie di ipotesi di riforma delle missioni. Una delle sue proposte è quella di creare piccole squadre in grado di intervenire nella fase iniziale di un conflitto. In questo modo si ridurrebbero notevolmente i costi, anche se in molti casi potrebbe essere difficile eliminare la presenza militare.

La questione costi è infatti dirimente. L’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, Nikki Haley, nel marzo 2018 ha sollecitato i membri dell’Onu a incrementare la propria quota di finanziamento per il Dipartimento delle operazioni di pace (DPKO).

Gli Stati Uniti di Trump, infatti, hanno in più occasioni dichiarato non si faranno più carico di coprire oltre il 25% dei costi delle missioni di peacekeeping.

Nel 2018 Washington copre il 28,5% dei 7,3 miliardi di dollari stanziati a bilancio per le operazioni.

I dieci Paesi che contribuiscono maggiormente alla spesa sono: gli Stati Uniti, la Cina che è il secondo maggior contributore, seguita da Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Russia, Italia, Canada e Spagna.

Il precedente Dossier Onu, aspettando la riforma: l’istituzione è uscito il 3 luglio 2018.

Le Operazioni in corso

Le missioni di peacekeeping attive a giugno 2018 sono quindici.

Ecco quali sono:

  • UNTSO: la United Nations Truce Supervision Organization, (Organizzazione delle Nazioni Unite per la Supervisione della Tregua) è la più vecchia fra le missioni di peacekeeping e si occupa di preservare il rispetto del cessate il fuoco proclamato dopo la fine del conflitto arabo-israeliano del 1967. L’UNTSO vigila sulle alture del Golan e sul canale di Suez.
  • UNMOGIP: la United Nations Military Observer Group in India and Pakistan (Gruppo di Osservatori Militari delle Nazioni Unite in India e Pakistan) si occupa di sorvegliare il cessate il fuoco tra India e Pakistan nello Stato di Jammu e Kashmir.
  • La UNFICYP: la United Nations Peacekeeping Force in Cyprus è la Forza delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace a Cipro.
  • UNDOF: la United Nations Disengagement Observer Force (Osservatori delle Nazioni Unite per il ritiro) si occupa di mantenere il cessate il fuoco tra le forze israeliane e siriane e di supervisionare l’attuazione dell’accordo di disimpegno delle forze israeliane e siriane nel Golan.
  • UNIFIL: United Nations Interim Force in Lebanon (Forza temporanea delle Nazioni Unite in Libano). Originariamente creata dal Consiglio di sicurezza per confermare il ritiro israeliano dal Libano, ripristinare la pace e la sicurezza internazionali e aiutare il governo libanese a ripristinare la sua effettiva autorità nella zona, il mandato è stato adattato due volte, a causa degli sviluppi del 1982 e del 2000. Dopo la guerra del 2006 si occupa anche di monitorare la cessazione delle ostilità, accompagnare e sostenere le forze armate libanesi nel sud del Libano ed ha esteso la sua assistenza per garantire l’accesso umanitario alle popolazioni civili e il ritorno volontario e sicuro degli sfollati.
  • MINURSO: United Nations Mission for the Referendum in Western Sahara (Missione delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara Occidentale). Nata nel 1991 la Missione ha il compito di sorvegliare il rispetto del cessate il fuoco e organizzare il referendum di autodeterminazione del popolo saharawi, che però non si è ancora realizzato.
  • UNMIK: la United Nations Interim Administration Mission in Kosovo (Missione delle Nazioni Unite per l’amministrazione temporanea del Kosovo) ha il mandato di “contribuire a garantire condizioni di vita pacifica e normale per tutti gli abitanti del Kosovo e di promuovere la stabilità regionale nei Balcani occidentali”.
  • La UNMIL (Missione delle Nazioni Unite in Liberia) si è conclusa nel marzo 2018. La missione era stata schierata nell’ottobre 2003 dopo la firma dell’accordo di pace.
  • UNOCI: la United Nations Operation in Côte d’Ivoire (Operazione delle Nazioni Unite in Costa d’Avorio) ha l’obiettivo di “facilitare l’attuazione da parte dei partiti ivoriani dell’accordo di pace firmato nel gennaio 2003”.
  • MINUJUSTH: United Nations mission for justice support in Haiti. Succeduta alla Minustah, conclusa nel 2017, ha il compito di mantenere la pace ad Haiti, aiutare il governo di Haiti a sviluppare la polizia nazionale haitiana; rafforzare le istituzioni di stato di diritto, incluse la giustizia e le prigioni, e promuovere e proteggere i diritti umani.
  • UNAMID: African Union and United Nations Hybrid Operation in Darfur (Operazione Ibrida dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite in Darfur). Adottata nel 2014 ha il compito di proteggere i civili, facilitare la fornitura di assistenza umanitaria, garantire la sicurezza del personale umanitario, mediare tra il governo del Sudan e movimenti armati non firmatari del Documento di Doha per la pace nel Darfur, sostenere la mediazione dei conflitti della comunità.
  • MONUSCO: la United Nations Organization Stabilization Mission in the Democratic Republic of the Congo  è la Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione delle Repubblica Democratica del Congo. La MONUSCO ha preso il posto dalla MONUC ed è stata autorizzata a utilizzare tutti i mezzi necessari per svolgere il suo mandato, in materia di protezione di civili, personale umanitario e difensori dei diritti umani e di sostenere il governo del Paese negli sforzi di consolidamento della pace.
  • UNISFA : United Nations Interim Security Force for Abyei (Forza di sicurezza interinale delle Nazioni Unite per Abyei). L’istituzione dell’UNISFA è arrivata dopo che il governo del Sudan e il Movimento di liberazione popolare del Sudan (SPLM) hanno raggiunto un accordo ad Addis Abeba, in Etiopia, per smilitarizzare Abyei e consentire alle truppe etiopi di monitorare l’area.
  • UNMISS: United Nations Mission in the Republic of South Sudan (Missione delle Nazioni Unite nella Repubblica del Sud Sudan). La missione lavora per proteggere i civili, creare condizioni favorevoli all’erogazione degli aiuti e monitorare e indagare sugli abusi dei diritti umani.

Compiti e quadro giuridico

Le missioni di peacekeeping rientrano nel sistema di sicurezza collettiva previsto dalla Carta delle Nazioni Unite. Per essere attuate necessitano della delega del Consiglio di Sicurezza al Segretario Generale il quale, attraverso accordi con gli Stati, opera il reperimento e il comando delle forze internazionali.

Le peacekeeping operations, possono prevedere misure implicanti l’uso della forza, ma non devono essere intese come interventi punitivi ma piuttosto come azioni di polizia internazionale. Le operazioni possono limitarsi a monitorare il cessate il fuoco o svolgere attività come l’assistenza umanitaria, il monitoraggio del rispetto diritti umani, il disarmo e la reintegrazione di ex combattenti.

I compiti delle operazioni multidimensionali sono quindi: preservare la pace, stabilizzare lo Stato, addestrare le forze armate e la polizia, ma anche contrastare militarmente i terroristi. Oltre che dalle Nazioni Unite, possono essere condotte da organizzazioni regionali, sub-regionali, da coalizioni di stati o da singoli stati.

Alla base delle operazioni sta l’articolo 39 della Carta Onu, ossia il rilevamento di una minaccia alla pace, di una violazione della pace o di un atto di aggressione, per il quale l’organo deputato alla sicurezza internazionale ritenga non soddisfacenti le misure previste dall’articolo 41 (come l’interruzione dei rapporti diplomatici o il blocco economico totale), ma ritiene opportuno agire con la forza.

Attraverso i caschi blu le Nazioni Unite intervengono in situazioni interne estreme, spesso agendo in combinazione con il personale civile delle Nazioni Unite. Le missioni di pace promosse dall’Onu hanno ricevuto il premio Nobel per la pace nel 1988. Dal 1948, quasi 130 Paesi hanno contribuito a missioni di pace con personale militare e di polizia civile.

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