Una vittoria per Ruto ma non per il Kenya

Odinga contesta il risultato elettorale delle presidenziali e sale la tensione che riporta alla memoria i periodi bui delle precedenti tornate. Nonostante la calma durante il voto del 9 agosto che ha tenuto a casa però 7 milioni di aventi diritto

di Marta Cavallaro

Lunedì 15 agosto William Ruto è stato ufficialmente dichiarato vincitore delle ultime elezioni presidenziali in Kenya, diventando il quinto Presidente del Paese. Lo scarto con cui ha superato Raila Odinga, suo principale avversario appoggiato dal Presidente uscente Uhruru Kenyatta, è stato minimo. Ruto ha ottenuto il 50,49% delle preferenze contro il 48,85% di Odinga con una differenza di soli 233.211 voti tra i due. I numeri riflettono il testa a testa tra i due candidati favoriti che ha segnato questa tornata elettorale fino alla fine. Ruto ha saputo toccare trasversalmente le corde di un’ampia fascia della popolazione al di là dell’appartenenza etnica. Si è presentato con il suo passato di venditore ambulante di polli e noccioline e ha inquadrato le elezioni come una guerra di classe (più che di etnia) tra chi ha e chi non ha. Figlio di nessuno, Ruto ha sostenuto di essersi fatto da solo in contrasto con le dinastie politiche da cui provenivano i suoi avversari.

Ma sembra ancora presto per cantare vittoria. Martedì 16, nella sua prima apparizione in pubblico dopo la dichiarazione dei risultati, Odinga ha rifiutato di accettare la sconfitta e ha annunciato che la sua coalizione percorrerà tutte le vie legali per contestare il risultato delle elezioni ed ottenere giustizia. L’unica opzione disponibile è tirare in ballo la Corte Suprema. Non sarebbe la prima volta che una cosa del genere si verifica in Kenya: nel 2017 la Corte Suprema aveva già annullato e ordinato di ripetere le elezioni presidenziali, allora perse da Odinga contro l’attuale presidente Kenyatta, perché segnate da irregolarità evidenti. Le circostanze attuali sono però ben diverse dall’epoca: non è ancora chiaro su quali basi Odinga intenda contestare i risultati di un’elezione che è stata ampiamente descritta dai kenioti e dagli osservatori internazionali come più trasparente e pacifica che mai. Secondo molti analisti, la probabilità di brogli sarebbe pari a zero.

Per ora Odinga sembra voler puntare sui contrasti all’interno della Commissione elettorale, che si è divisa pubblicamente poco prima della dichiarazione ufficiale dei risultati. Quattro dei sette commissari hanno infatti annunciato che non avrebbero appoggiato l’esito comunicato da Chebukati, presidente della Commissione, accusandolo di aver escluso gli altri membri dalle fasi finali del conteggio dei voti e di aver rifiutato qualsiasi discussione sulla verifica dei risultati. Nelle sue dichiarazioni Odinga (nell‘immagine a sinistra)  ha definito la vittoria di Ruto invalida, perché frutto di una decisione unilaterale presa da Chebukati senza coinvolgere gli altri membri della Commissione.

Che il risultato elettorale sarebbe stato contestato era quasi prevedibile, visti i precedenti all’indomani delle elezioni nel 2007 e nel 2017. Il fatto che tutto ciò sia avvenuto pacificamente è stato invece una felice sorpresa. In campagna elettorale entrambi i candidati si sono impegnati a risolvere eventuali controversie per vie legali e nel rispetto della Costituzione. Le promesse sono state reiterate da tutte le parti in occasione dell’incontro di giovedì scorso con la delegazione USA guidata dal Senatore Chris Coons. Lo stesso Odinga, pur contestando l’esito elettorale, ha esortato esplicitamente i suoi sostenitori a mantenere la calma.

Che sia Ruto o Odinga il vincitore definitivo, c’è da chiedersi se questa tornata elettorale possa essere considerata una vittoria per il Paese. In un commento personale l’analista politica keniota Najnala Nyabola spiega che agli occhi degli osservatori internazionali la pace è spesso l’unica variabile tenuta in considerazione per misurare il successo delle elezioni nel continente africano. Ma la pace non sempre basta e le ultime elezioni, sebbene siano state pacifiche, non possono ancora considerarsi un successo per il Kenya. Volti conosciuti della politica keniota, sia Odinga sia Ruto hanno un passato oscuro alle spalle difficilmente trascurabile. Entrambi inseguono il potere da anni senza ritegno, sorprendendo la nazione ad ogni tornata elettorale con colpi di scena e giochi di potere (l’ultimo dei quali, la famosa stretta di mano tra Odinga e il presidente uscente Kenyatta, un tempo suo rivale di lunga data). Oggi nemici, nel passato Ruto e Odinga sono stati alleati. Facevano parte della stessa squadra nelle elezioni presidenziali del 2007, famose per gli episodi di violenza post-elettorale che hanno prodotto più di mille morti e 600 mila sfollati. Su Ruto, se tutto va bene prossimo Presidente del paese, pende ancora l’ombra delle accuse di crimini contro l’umanità per il sia ruolo nella violenza che ha sconvolto il paese nel 2007 all’indomani delle elezioni (anche se poi il caso è stato chiuso dalla Corte Penale Internazionale per mancanza di prove).

Scoraggiati da candidati che promettono di risolvere gli stessi problemi che hanno creato, piuttosto che scegliere tra Odinga e Ruto molti hanno deciso di non optare per nessuno dei due e sono rimasti casa: quasi 7 milioni di votanti, molti dei quali di età inferiore ai 30 anni, non si sono presentati alle urne. Chiunque diventerà il nuovo Presidente del Paese, le sfide da affrontare saranno reali: contrastare la crisi economica imperante, combattere la disoccupazione e la corruzione, tagliare il debito nazionale, organizzare la ripresa post-pandemica. Fino a quando i cambiamenti promessi in campagna elettorale non si realizzeranno, la Presidenza rimarrà una vittoria personale del candidato di turno da cui il Kenya e il suo popolo saranno esclusi.

In copertina William Ruto  (cropped)

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