220 giorni di guerra in Ucraina. Il punto

L'avanzata delle forze di Kiev e il decreto del Presidente Zelensky. Le difficoltà russe e i soldi americani. Modi si offre di mediare

di Raffaele Crocco

In 15 giorni, l’esercito ucraino è avanzato di 55 chilometri nel Nord Est del Paese. Di fatto, dicono gli analisti, le perdite russe sono ingenti e le forze armate del Cremlino controllano oggi meno territorio di quanto ne avessero nei primi giorni dell’invasione, in febbraio. Uno smacco reale. I soldati di Kiev hanno liberato Davydiv Brid, Starosillya, Novopetrivka e Dudchany. L’offensiva preme verso Sud, verso la città strategica di Nova Kakhovka. 
Chissà se sono state queste vittorie a convincere il Presidente Zelensky a firmare il decreto che pare la pietra tombale di ogni possibile tentativo di fine della guerra. Cosa è successo? Il 4 ottobre, il Presidente ucraino ha ratificato una decisione del 30 settembre del Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale dell’Ucraina. E’ l’organismo che fornisce consulenza sulla guerra al Presidente. Il decreto stabilisce che è impossibile “condurre negoziati con il Presidente della Russia, Vladimir Putin” e ribadisce la necessità di rafforzare i sistemi di difesa del Paese. Da qui, per altro, è nata la nuova richieste di Zelensky di armi, avanzata come sempre a Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Europea.

Il Governo ucraino si è affrettato a spiegare che Kiev è pronta a trattare con la Russia, ma non con Putin: “non sa cosa siano – hanno aggiunto – dignità ed onestà”. La riposta di Mosca è arrivata per bocca del portavoce di Putin: “la Russia aspetterà con pazienza il successore del presidente Putin oppure che il Presidente ucraino cambi posizione. Nessun negoziato è possibile, se non si tengono in considerazione le posizioni russe”.

Dopo 220 giorni di guerra, l’impressione resta quella maturata negli ultimi mesi: i due contendenti intendono scrivere la parola fine ai combattimenti solo a fronte di una vittoria militare. Ipotesi, questa, che resta lontana, nonostante le recenti vittorie ucraine. Kiev non è in grado di battere l’esercito russo o almeno appare ancora improbabile. Sul fronte russo, anche la stampa filo Putin ammette le difficoltà al fronte. Alexander Kots, corrispondete di Komsomolskaya Pravda, ha scritto che “l’operazione speciale si trova in crisi operativa. L’esercito russo soffre di mancanza di uomini, cattive comunicazioni ed “errori” dei comandanti”.

L’idea di battere la Russia sul campo sembra allettare gli Stati Uniti. Il Presidente Biden ha annunciato un nuovo pacchetto di aiuti per Kiev, mettendo sul tavolo 625milioni di dollari. La reazione del Cremlino è stata durissima: in questo modo, hanno fatto trapelare da Mosca, si alimenta solo la tensione globale e la Russia resta pronta a difendere i propri territori e i propri interessi. Un messaggio girato anche all’Unione Europea: se continuerete ad addestrare gli uomini di Kiev – questo il messaggio recapitato dai vertici del Cremlino – verrete considerati cobelligeranti. Nessuno si ferma, insomma. I civili continuano a morire. Almeno 30, tra cui alcuni bambini, sono morti nel bombardamento di un convoglio d’auto, il 4 ottobre. I danni della guerra, poi, sono nel futuro dei due Paesi. L’economia russa è in piena crisi, nonostante gli aiuti cinesi. Quella ucraina è allo sbando: la banca Mondiale ha pronosticato un crollo del Pil del 35% nel 2022.

Nessuno o quasi aiuta. Il Premier indiano Modi ha telefonato a Zelensky, dicendosi pronto a proporsi come mediatore. Un gesto importante, ma isolato. Intanto, la Bielorussia getta benzina sul fuoco, parlando di “provocazione” per i 15mila soldati ucraini schierati ai confini. Per altro, proprio in questi giorni la Polonia ha annunciato di avere terminato la costruzione dell’ennesimo muro, per chiudere la frontiera con la Bielorussia. Si tratta di un muro per tener fuori dall’Europa i migranti, che proprio di lì passavano, ben prima della guerra. Si tratta di decine di migliaia di persone in fuga da Afghanistan, Siria, Pakistan. Tutte vittime di guerra. Tutti esseri umani di cui non ci occupiamo più.

 

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