Buon 25 Aprile!

"E’ questo che dobbiamo fare oggi anniversario della Liberazione: ricordarci che è una festa di popolo, di gente, non di uniformi e istituzioni". L'editoriale del direttore

di Raffaele Crocco

Mi piace pensare che la differenza sia tutta lì: fra chi pensa che il 25 Aprile è la Festa della Liberazione e chi, da anni, ne parla come di una “ricorrenza istituzionale”, il “Giorno della Liberazione”. Perché le parole sono importanti. Se è una Festa resta di popolo, di gente viva e vitale, rimane di quelli che vogliono ricordare chi è morto per creare un Mondo migliore. Se diventa ricorrenza si trasforma in un affare di Stato, con bandiere e stendardi, la fanfara e l’esercito che sfila. La ricorrenza istituzionalizza. Diventa una data fra le tante sul calendario, una di quelle che segnano una tappa della storia. La Festa dilaga e trasforma quel giorno nel segno di un’appartenenza precisa, nella data di nascita di un’Italia trasformata e diversa.

E’ questo che dobbiamo fare il 25 Aprile. Ricordarci che è una festa. Una festa di popolo, di gente, non di uniformi e istituzioni. Il 25 Aprile dovremmo ricordare certo e riflettere, proporre, discutere. Ma dovremmo anche cantare, ballare, mangiare assieme e stare bene. Perché è la festa del popolo che si libera dal fascismo e dal nazismo.

Certo, è vero: è complicato festeggiare la Liberazione sapendo di non esserci mai liberati davvero. Gli eredi del Ventennio, ora in camicia bianca e tailleur, li abbiamo ancora qui, che governano sostituendo, per ora, il manganello degli squadrasti con il manganello istituzionale, che cala ormai puntuale su ogni forma di dissenso in piazza. Usando le denunce e la censura al posto dell’olio di ricino. Svuotando le istituzioni democratiche a colpi di leggi che esaltano l’ordine, le regole e la governabilità.

Soprattutto comandano – perché questo fanno, il governare è cosa delle democrazie reali – cancellando la Storia, modificandola, piegandola alla ragione della loro esistenza. Una manovra, questa, che sta riuscendo bene e di cui siamo stati in parte complici. Lo siamo da quando fatichiamo a far entrare nelle nostre scuole i temi legati alla Resistenza, perché considerati “divisivi”. Da quando mettiamo sullo stesso piano la “shoah” e le “foibe”. Da quando abbiamo cominciato a considerare uguali i partigiani e i giovani fascisti morti. Umanamente è vero: sono individualmente tutte vittime della ferocia che le ha travolte. Storicamente e politicamente, però, la linea che li divide è invalicabile.

I partigiani e le partigiane erano i liberatori, i ragazzi di Salò erano dalla parte sbagliata e aberrante della giustizia e del diritto umano. Se tutto questo accade, abbiamo un modo per reagire e cambiare le cose. Facciamo in modo che il 25 Aprile resti la “Festa della Liberazione”. Usciamo dall’istituzione. Riprendiamoci questo giorno e facciamolo restare nostro, bello, emozionante. Tracciamo una linea netta fra chi il fascismo lo ha sconfitto e lo vuole sconfiggere tutti i giorni e chi, invece, è nostalgico o semplicemente qualunquista. Loro, è chiaro, a questa Festa non potranno, né vorranno, mai partecipare.

In copertina, un’immagine tratta dal sito dell’Anpi

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