Un nuovo piccolo fronte alle Maldive. Il punto

Mentre continuano le guerre in Europa e Vicino Oriente si apre un ennesimo contenzioso asiatico tra India e Cina sull'arcipelago

di Raffaele Crocco

Mentre a Gaza suona la campana dei 203 giorni di morte, più lontano si apre un altro piccolo fronte di tensione internazionale. Le Maldive, isole dei sogni per villeggianti benestanti, sono al centro di uno scontro fra Cina e India. Il recente cambio di governo ha portato le isole a schierarsi a fianco della Cina, dopo anni di alleanza con l’India. Truppe e installazioni di Delhi erano presenti. Sono state cacciate e sostituite con un accordo di sicurezza militare firmato con Pechino lo scorso mese. Per il nazionalista Modi, alle prese con la lunga fase elettorale indiana, un colpo che ha mal digerito e che ha portato ad un attacco diplomatico aperto.

Storie di ordinari litigi internazionali, che nel Risiko mondiale in corso mostrano pero’ una certa “fragilità di campo” nel fronte degli “antagonisti” ai “filoamericani”: Cina e India sono di fatto alleate politico-economiche nel Brics. Lo scontro mostra una debolezza che nasce dall’assenza – così la definiscono gli osservatori – di un linguaggio comune e di obiettivi condivisi. La cosa viene notata anche nell’atteggiamnto di solidarietà ai palestinesi, ritenuto complessivamente troppo blando, poco efficace.

Discussioni accademiche, che non tolgono nulla alla realtà tragica: a Gaza si continua a morire. E il rischio reale e’ che la strage si moltiplichi all’infinito. Nonostante le contraddittorie pressioni degli alleati statunitensi ed europei, che vorrebbero congelare l’operazione, l’esercito israeliano sarebbe pronto ad entrare a Rafah. Il quotidiano israeliano Haaretz e altri media internazionali, citando un alto funzionario della Difesa, hanno raccontato che “l’esercito israeliano ha effettuato tutti i preparativi necessari per entrare a Rafah, che ritiene l’ultimo bastione di Hamas nella Striscia di Gaza e potrà lanciare un’operazione non appena avrà ottenuto l’approvazione del governo”. Una eventualità che spaventa gli Stati Uniti.

Il Presidente Biden continua a ripetere a Netanyahu che la situazione a Rafah è insostenibile e che ogni azione militare andrebbe preceduta dallo sgombero del milione e mezzo di esseri umani che sono ormai rifugiati. L’operazione richiederebbe alcune settimane e Tel Aviv non sembra disposta ad attendere. D’altro canto, da qualche ora Netanyahu ha incassato un nuovo, consistente pacchetto di aiuti militari targati proprio Washington. Una mossa che certifica come la politica del Governo israeliano abbia, di fatto e al di la’ delle parole, il benestare degli Stati Uniti. L’effetto è che, mentre la situazione umanitaria a Gaza viene definita “catastrofica” dalle organizzazioni sanitarie internazionali, le azioni militari israeliane proseguono anche a Nord, con l’attacco costante a postazioni Hezbollah nel Sud del Libano. Sotto traccia, in Cisgiordania continua lo sgombero coatto dei palestinesi dalla loro terre, ad opera degli aggressivi coloni israeliani. E’ un’azione a largo raggio, quella di Israele, che odora sempre più’ di “soluzione finale” ai danni dei palestinesi.

Più a Nord, in Ucraina, l’altro tavolo da gioco del Risiko planetario segna l’approvazione un un nuovo pacchetto di aiuti militari a Kiev, 60 miliardi i dollari, votati dal Senato statunitense dopo settimane di blocco. Un’operazione che rappresenta una boccata d’ossigeno essenziale per il Presidente ucraino Zelensky, sempre più in difficoltà sul piano militare. Secondo molti osservatori, la situazione al fronte, sarebbe sempre più disperata, non per mancanza di armi, ma per l’impossibilità di sostituire le perdite. Il governo ha modificato l’età di reclutamento per arruolare altri uomini e la Polonia sta avviando una “politica di rimpatrio” per gli ucraini in età utile per il fronte. Tutto questo, però, potrebbe non bastare e il comandante ucraino Oleksandr, ha spiegato al Washington Post che le sue unità si trovano solo al 35% rispetto al normale. Questo renderebbe impossibile rispondere alle offensive russe, che al momento si stanno intensificando.

Secondo molti esperti, gli aiuti potrebbero arrivare a breve, ma potrebbero non essere più in grado d fare la differenza. La situazione, per gli ucraini, appare disperata a Chasiv Yar, città che Putin vorrebbe conquistare per celebrare con una vittoria l’anniversario del 9 maggio, giorno della vittoria nella “Grande Guerra Patriottica” contro il nazismo. I russi stanno impedendo l’arrivo di rifornimenti ai soldati ucraini, che sono senza cibo e acqua. In più, usano bombe che risultano devastanti. Difficile che la città resista per molto tempo. Mentre la situazione e’ disperata, nessuno mette seriamente in campo strumenti per negoziare la fine della guerra, giunta quasi al ventiseiesimo mese. Solo Papa Francesco ha nuovamente invocato la pace in tutto il Mondo. Ha ricordato che “una pace negoziata è meglio di una guerra senza fine”.

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